Scuola

L'esame di Stato? Il problema
è chi vuole l’"indietro tutta"

Claudio Cereda il Sussidiario 7.7.2012

Dopo tanti anni, per via di un cambio di residenza, ho rivisto gli esami in una regione diversa. Ottima occasione per ragionare su cosa si debba cambiare. Non è nel mio stile farmi impaniare in elucubrazioni da pedagogismo spinto e dunque non farò voli pindarici (o inni alla “felicità” del candidato). Nel 1981 gli esami li feci a Roma e per l’occasione scrissi sul quotidiano Il Manifesto un pezzo intitolato “Gli esami non finiscono mai... ed è giusto”. Non ho cambiato opinione.

Secondo me l’esame di Stato serve: serve al sistema di istruzione per avere un riscontro in uscita, serve al candidato per abituarsi alle prove della vita (che non avvengono nella bambagia), serve a docenti e presidenti per riflettere sulla scuola fuori dal proprio contesto (e imparare).

Secondo me l’ideale sarebbe una commissione completamente esterna. La scuola si limiti a documentare bene il lavoro fatto e poi lasci a dei professionisti esterni il compito di valutare la capacità degli studenti nel dare il meglio di sé in termini caratteriali e culturali.

Costa molto? Basterebbe associare alla commissione da 50 a 60 studenti (3 classi anziché 2) ed essere più rigorosi e attenti nel giochino delle trasferte e l’operazione avverrebbe a saldi invariati. In realtà l’optimum sarebbe mandare la commissione fuori regione, ma sono note le porcherie sui rimborsi gonfiati e sulle fatture fasulle dei primi anni 90 che indussero a cambiare sistema.

La prima cosa da sistemare è quella del documento del 15 maggio. L’idea era bella e giusta, ma la applicazione pratica non lo è stata altrettanto o comunque non lo è ovunque. Dice il regolamento sugli esami che tale documento esplicita “i contenuti, i metodi, i mezzi, gli spazi ed i tempi del percorso formativo, nonché i criteri, gli strumenti di valutazione adottati e gli obiettivi raggiunti”.

La previsione è chiarissima: materia per materia vanno descritte le unità didattiche svolte (in maniera sufficientemente analitica) e rispetto ad esse vanno precisati i tempi, i metodi e gli obiettivi raggiunti. Si tratta di una informazione essenziale per la commissione che se ne serve per impostare il testo della III prova e la conduzione del colloquio (livello di approfondimento, approccio al tema). Invece molti documenti del 15 maggio si limitano ad allegare i programmi senza controlli sulla loro struttura e sul livello di dettaglio e non prevedono la presenza (per default) delle relazioni finali dei docenti. Si arriva all’assurdo che ciò che costituisce l’oggetto del documento viene considerato un allegato, mentre il documento si carica di considerazioni più o meno sociologiche del tutto inutili. Tutto ciò finisce per mettere in difficoltà, per qualche materia, le commissioni che si ritrovano di fronte elenchi di autori o titoli senza informazioni sul tempo dedicato e sul tipo di approccio seguito.

La seconda questione che non funziona ha a che fare con la ciclicità (interno/esterno) nella nomina dei commissari per la prima e seconda prova. Mentre per la prima prova mi pare si sia arrivati ad un buon livello di collegialità e ad una professionalità alta, per la II prova (per ragioni di formazione culturale) il commissario, sia esso interno sia esterno, si trova caricato di una responsabilità debordante non solo nel merito della correzione e valutazione ma financo nella predisposizione di griglia e criteri (Itc e licei). In ogni caso con uno squilibrio negli esiti tra quando la materia è interna e quando è esterna.

Ho già commentato su queste pagine l’insensatezza della prova scritta di matematica (scientifico ordinamento) di quest’anno ed è inutile che l’Unione matematica (Umi) predisponga poi delle griglie dettagliate e complesse se esse vengono poi riferite a testi risibili.

La terza cosa che non funziona riguarda la fase di apertura del colloquio (quanto pesa, come si valuta). L’idea era bella e intelligente e avrebbe dovuto realizzare due obiettivi: consentire al candidato di presentare i risultati di un lavoro di ricerca/approfondimento svolto nell’intera classe quinta, dare alla commissione la possibilità di valutare le capacità espositive di un candidato al di fuori da una condizione di stress (argomento già noto all’interessato).

Le cose non vanno così. Salvo per qualche istituto tecnico, per qualche corso serale e/o per qualche studente/scuola particolarmente seri, vengono presentati materiali in cui la dimensione dell’approfondimento manca e in cui, molto spesso, nemmeno gli insegnanti delle discipline di riferimento sono stati coinvolti in un’azione di guida rispetto a taglio e bibliografia. Ci si limita così a valutare solo la capacità espositiva, la consapevolezza, la qualità della presentazione e resta irrisolto il nodo del nesso tra fase di apertura e fase di indagine disciplinare.

La commissione, nel predisporre la griglia di valutazione, fissa un range per valutare questa fase di colloquio e, qualunque scelta faccia, farà qualche ingiustizia. In realtà bisognerebbe dare alle commissioni qualche margine di autonomia in più e ciò richiederebbe che l’ordinanza ministeriale fosse meno insistente nelle prescrizioni sulla necessità di indagare tutto.

D’altra parte queste prescrizioni sono sopravvenute nel tempo per combattere l’impostazione di colloqui che, fondandosi prevalentemente sulla fase di apertura, finivano per essere monotematici ed unilaterali. Si dirà che, se la commissione ha coraggio, farà ciò che ritiene più opportuno, motivandolo. Non è così perché il colloquio è pubblico, perché ci sono le dinamiche interni/esterni, perché l’Italia (dal Parlamento alla società) è la patria degli avvocati. Perché non prevedere che, in presenza del candidato, si sorteggino quattro discipline su cui impostare il colloquio? La stessa cosa la farei la mattina del lunedì per la III prova.

Il mio auspicio è che con l’andata a regime del riordino Gelmini (2+2+1) l’ultimo anno venga davvero recuperato come anno della sintesi, della riflessione, dell’orientamento in uscita e dunque si carichi di temi di ricerca e fasi monografiche opzionali accanto a un corpo base unitario. Le conseguenze sull’esame sarebbero ovvie.

Ci sono poi alcune questioni che non hanno a che fare con l’esame di Stato, ma con la scuola concreta; parlo della mancanza di innovazione e rinnovamento dei contenuti. C’è voluto un provvedimento di Berlinguer per obbligare le scuole a fare la storia del 900, ma per il resto non è cambiato quasi nulla, anzi ho l’impressione che nei licei si sia scelta la linea dell’indietro tutta. Non si fanno più argomenti del 900 che si facevano 10 o 20 anni fa.

Siamo nel 2012 e in fisica si arriva alle equazioni di Maxwell (1865) mentre dal Cern ci fanno sapere che è stato finalmente osservato il Bosone di Higgs (la particella che spiega la asimmetria in massa nelle particelle fondamentali dell’universo su cui si regge il modello standard). In scienze si sta ritornando ad un approccio prevalentemente descrittivo con scarse spiegazioni e scarso uso del metodo scientifico (inclusi i riferimenti fisico chimici). In letteratura (nonostante il trend della I prova tipologia A che batte su Montale, Saba, Ungaretti, ma c’è stato anche Pavese) l’autore più recente è Pirandello (i giovani leggono Acciaio di Silvia Avallone e noi li interroghiamo su Mastro don Gesualdo). In filosofia sembra che dopo Nietzsche non sia accaduto più nulla e si continua ad iniziare la quinta con Kant (ma non perché si è approfondito Hume e Locke in quarta). In matematica le prove dell’esame di Stato spingono alla mancanza del rigore, alla mancata scelta delle procedure ottimali e della consapevolezza (e gli studenti, tra un po’, faranno lo studio di funzione con limiti e derivate anche per disegnare una retta o una parabola).

Alzare il livello, alzare il livello e innovare. Senza di ciò qualunque dibattito sulla didattica per competenze, sulle nuove tecnologie e/o sull’esame di Stato, mi appare privo di senso. Scusate se insisto: ma per me il governo dei tecnici dovrebbe occuparsi in modo tecnico delle diverse aree di governo del Paese, non solo di economia e welfare. Il Nobel a Carlo Rubbia per l’osservazione sperimentale dei bosoni W+, W- e Z0 è del 1984. Speriamo che la scuola italiana se ne accorda prima del 2100 e se ne accorga il ministro della’Istruzione che faceva il presidente del Cnr.