SCUOLA

C'è un "pensiero unico"
che incombe sulle Indicazioni nazionali

Fabrizio Foschi il Sussidiario 11.6.2012

La revisione delle Indicazioni Nazionali per le scuole dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, cui il Miur ha dato avvio, è una fase estremamente seria di un percorso che può portare alla riflessione sulla scuola attiva, abbandonando i sentieri talvolta ardui, perché utopici, della scuola che verrà. Sarà così?

Nella scuola italiana, più precisamente nel lungo segmento che va dai primi approcci all’apprendimento fino al termine della scuola secondaria di I grado, si sono sovrapposti nell’ultimo decennio due tipi di Indicazioni (cioè orientamenti programmatici) con inevitabile disagio per il personale che doveva applicarli, essendo densi i documenti di riferimento di visioni pedagogiche di diverso se non contrapposto orientamento.

Le “Indicazioni Nazionali per i Piani di studio personalizzati” (2004) facenti capo al ministro Moratti lasciavano da parte i vecchi programmi prescrittivi ed erano imperniate su una pratica, per cui il docente era chiamato a tradurre gli obiettivi specifici di apprendimento (prescrittivi) in unità di apprendimento, tanto valide quanto rispondenti alle esigenze specifiche della classe a cui erano rivolte. Si leggeva appunto, in uno degli allegati al decreto istitutivo, che “è compito di ogni scuola autonoma e dei docenti assumersi la libertà di mediare, interpretare, ordinare, distribuire ed organizzare gli obiettivi specifici di apprendimento... nelle unità di apprendimento”. Sennonché comparvero tra gli obiettivi per la classe terza media una serie di “educazioni”, compresa l’educazione all’affettività (che si proponeva di esplorare il nesso affettività-sessualità-moralità) che fecero storcere parecchio il naso a chi riteneva che tali ambiti non potessero essere appaltati all’istruzione statale, per quanto di buona qualità, essendo di esclusiva prerogativa di un rapporto di libertà educativa che si accende tra persone.

Le “Indicazioni per il curricolo” (2007) del ministro Fioroni, nate all’insegna dell’educare-istruendo, intendevano correggere una certa frammentarietà cui le unità di apprendimento potevano dare corso e fornivano una loro interpretazione del passaggio dall’insegnamento all’apprendimento che ogni scuola sensata dovrebbe proporsi. Interpretazione centrata sul concetto di curricolo, cui un’amplissima letteratura costituiva la base di appoggio. Il curricolo avrebbe dovuto evitare l’accumulo delle informazioni per dare alla progettazione didattica dall’infanzia alla scuola superiore una “progressività” tale da promuovere la connessione tra i saperi. Le Indicazioni per il curricolo a tale proposito introducevano le competenze, intese come “traguardi per lo sviluppo delle competenze”.

Tra piani personalizzati e curricolo, che ne era della scuola reale? Il Miur se la cavava nel 2009 suggerendo che le indicazioni Moratti fossero applicate “come aggiornate dalle Indicazioni per il curricolo” di Fioroni: un consiglio tanto criptico quanto perfido, data la discordanza dei testi. Nel 2011 partiva perciò un interessante monitoraggio, affidato all’Ansas e all’Invalsi, che si prefiggeva di raccogliere dalle istituzioni scolastiche statali e paritarie del primo ciclo di istruzione utili elementi a sostegno dell’eventuale revisione delle Indicazioni.

Gli esiti del monitoraggio sono pubblici, anche se non troppo dibattuti (ed è un peccato, perché offrono il polso della scuola reale). Quali indizi si possono scoprire sondando qua e là le tabelle riassuntive? Posto che il monitoraggio, che ha coinvolto 5.986 istituzioni statali e 4.250 paritarie, non aveva uno scopo referendario, bensì relativo al “contesto di riferimento all’interno del quale le scuole hanno sperimentato Indicazioni e riforme del sistema” (dalla nota del 2 aprile 2012), si scopre che le Indicazioni Nazionali “Moratti” sono state applicate dall’87,5% delle scuole (56,6 abbastanza; 30,9 molto): non rifiutate dunque a priori anche se superate dalle Indicazioni per il curricolo, applicate da quasi il 95% delle scuole (50,9 abbastanza; 44,0 molto). Ancora, il 94,1% delle scuole ha modificato il Pof (Piano dell’offerta formativa) sulla base delle Indicazioni. Nella scuola primaria l’offerta formativa è stata modificata prevalentemente in Teatro/ danza/ musica (68,3%); nella scuola secondaria di I grado l’ambito delle maggiori modifiche è quello delle Lingue (54,5%). Inoltre è significativo che il 73,3% delle istituzioni scolastiche valuti positivamente gli apprendimenti sulla base degli standard fissati dalla singola scuola, tenendo in qualche modo a distanza sia gli standard europei, che le prove nazionali (leggi Invalsi). Nel complesso non sembra avvenuta alcuna rivoluzione, semmai una sovrapposizione o assorbimento del nuovo entro la buona tradizione della scuola italiana che alla fine rende praticabile anche l’impossibile.

Ora è al lavoro la commissione per la revisione, come detto, che ha già fornito una bozza (30 maggio) sulla quale le scuole dovranno esprimersi compilando entro il 30 giugno un questionario a risposta chiusa. A supporto dovrebbero avviarsi altre iniziative, come seminari tematici gestiti in collaborazione con scuole, reti di scuole, enti locali, associazioni, università. Sono attese anche elaborazione di memorie, proposte, segnalazioni a cura di gruppi di consultazione costituiti ad hoc (CM. N. 46/2012).

Ora, come spesso accade, la bozza più che una bussola è già un documento con una sua esplicita fisionomia, per quanto accomodata. Per esempio, sono inserite, quasi come atto dovuto, le otto competenze-chiave europee del 2006 (tra le quali “imparare ad imparare”) che altri documenti successivi avevano provveduto a dettagliare meglio e ad adattare. In termini molto più espliciti, si fa intendere che le “nuove” Indicazioni saranno funzionali alla “progressiva generalizzazione degli istituti comprensivi” per i quali si vuole costruire una sorta di piattaforma unitaria dei saperi di base. Questa piattaforma si chiama appunto “curricolo” che nella vulgata tradizionale non è un’organizzazione delle conoscenze, ma una loro ristrutturazione in funzione di una scuola omogenea e progressiva.

Al netto di altre osservazioni sugli aspetti di contenuto disciplinare, ci pare che questa ottica debba e possa essere modificata se e nella misura in cui la consultazione è davvero un’occasione di apertura alla scuola reale e alle esperienze di insegnamento/ apprendimento che abbiano a cuore la crescita umana e culturale degli alunni, prima ancora della funzionalizzazione dei saperi ad una presunta globalità, in sé molto nebulosa.