Ho scritto al ministro Profumo. di Domenico da paperblog, 29.1.2012
Qualche giorno fa avevo scritto al ministro della Pubblica Istruzione.
Ho abbastanza esperienza per sapere come vanno queste cose. Mi ero
detto: “Qualche collaboratore del ministro Profumo leggerà (forse) e
cestinerà”. Nella migliore delle ipotesi, lo stesso collaboratore
invierà un paio di righe di risposta, le solite frasi di
circostanza. Insomma, non mi aspettavo chissà cosa, tanto che non
avevo neanche intenzione di rendere pubblica la mia lettera. E
invece la risposta mi è arrivata, una email della segreteria del
ministero:
Ho quindi deciso di pubblicare la lettera e di cercare di diffonderla
per quanto mi è possibile. Vi chiedo di fare lo stesso, con tutti i
mezzi che avete a disposizione (email, facebook, twitter).
Probabilmente, non cambierà nulla. Ma è giunto il momento di
gridare, per dire almeno che non siamo più disposti a sopportare in
silenzio.
chi le scrive è un dottore di ricerca in Storia dell’Europa
mediterranea che ormai non sa più quanti bocconi amari ha ingoiato
da quando ha avuto la disgrazia – perché tale si è rivelata – di
vincere il concorso all’Università di Messina, nell’ormai lontano
2001.
Può dirmi: “se hai le prove denuncia, altrimenti stai zitto”. Lo
sappiamo tutti che è difficilissimo dimostrare l’imbroglio. Le
commissioni giudicano secondo criteri “oggettivi”. Li conosco bene.
Per gli insegnamenti a contratto, le esperienze di dottorati e
assegni di ricerca hanno una valutazione che oscilla da un punteggio
minimo ad uno massimo. Ovviamente, il candidato che “deve” vincere
ottiene il massimo e le sue pubblicazioni sono “attinenti” con la
materia messa a bando. Per gli altri non è mai così. Assegni di
ricerca, post-dottorati, concorsi per ricercatore: dalla
composizione della commissione di esame si sa già chi vincerà.
Perché una sola pubblicazione di 100 pagine (per metà un’appendice
con documenti copiati) può valere più di diversi libri, saggi e
articoli, purché edita su una rivista specializzata. Magari, quella
del preside della facoltà che ha indetto il concorso e che ha una
candidata, quasi cinquantenne ed estranea al mondo universitario, da
sistemare per ripagarla di servigi di altra natura. Siamo la prima generazione della storia d’Italia senza futuro. Siamo una generazione che non può farsi una famiglia perché non ne ha la possibilità. Siamo una generazione che tra trenta-quaranta anni farà esplodere una bomba sociale che neanche riusciamo ad immaginare. Perché non avremo niente, neanche uno straccio di pensione. Siamo una generazione senza sogni. E questa è la cosa che fa più male. Quando non si è più capaci di sognare, si sta cominciando a morire. È ciò che sta capitando a molti di noi. Perché anche i sogni (la carriera universitaria, nel mio caso) sono ormai una possibilità come tante altre. Come qualsiasi cosa che ci consenta di non dovere “chiedere”, di potere fare fronte alla vita con le nostre sole forze. Servono riforme strutturali. Servono percorsi formativi che portino ad uno sbocco lavorativo. Servono corsi di formazione che non siano soltanto uno strumento clientelare di gestione del potere. Il solito escamotage per stabilizzare gente nominata per intuito personale, quell’intuito che tutti conosciamo. La mia storia è certo una sconfitta personale, ma è anche l’esito tristissimo di un modello di sviluppo e di politiche occupazionali fallimentari. |