intervista

I voti al sud? I soldi non c’entrano,
manca il controllo 

intervista a Tiziana Pedrizzi  il Sussidiario 5.1.2012

«Sembra sempre più evidente che non si possono semplicemente prendere i voti che danno le scuole come indicatore del livello di preparazione degli studenti. I voti indicano piuttosto gli atteggiamenti degli insegnanti, che sono macroscopicamente diversi soprattutto fra le diverse zone dell’Italia». Insieme a Tiziana Pedrizzi, dirigente scolastico e ricercatrice dell´Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell´Autonomia Scolastica, commentiamo i dati delle analisi statistiche pubblicate dal ministero per l’Istruzione che, dopo aver messo a confronto gli studenti di tutta Italia, hanno evidenziato che gli studenti della Campania prendono i voti più bassi d’Italia. «Prendiamo il caso della maturità - spiega Pedrizzi -. La percentuale di lodi (0,8%) della Campania non è bassa, sfigura certo nei confronti dell’1,5 della Calabria (dove evidentemente si è perso il rapporto con la realtà) ma è perfettamente in linea con le medie del Nord: 0,4 in Lombardia (la regione migliore per PISA 2009), 0,7 in Piemonte e Veneto, 0,8 in Liguria, 0,9 in Friuli. Ma poiché tutte le valutazioni standardizzate esterne (INVALSI e PISA) segnalano un gap negativo per la Campania, se ne deduce al contrario che i voti sono ottimisti nei confronti della realtà».

Pedrizzi ci spiega poi che «bisogna capire quanto la percentuale di selezione influisca sul livello dei voti. Se si legge il rapporto INVALSI 2011, per quanto riguarda le percentuali di posticipatari presenti nel campione selezionato all’esame di terza media, viene rilevata una loro maggiore presenza nelle regioni settentrionali ed una diminuzione costante nel passaggio dal Centro al Sud. Il fenomeno viene attribuito non solo alla maggiore presenza di popolazione di origine immigrata, ma anche alla maggiore tendenza del Nord a bocciare. E’evidente che il livello dei voti tende ad abbassarsi in presenza di una maggiore percentuale di studenti con problemi. E’ vero che lo status economico sociale è determinante per definire il livello degli apprendimenti, ma non esiste un determinismo assoluto. Pensare che il problema si risolva aumentando gli investimenti, erogando cioè più fondi senza controllo significa fare errori tragici. Lo stato degli edifici delle scuole in Campania come in altre regioni cui giustamente il governo Monti vuole porre rimedio non è dovuto alla mancanza di fondi (che anzi questi sono sempre più alti colà) ma al fatto che le Amministrazioni locali non hanno voluto spenderli.

Chi si aggira nel mondo della scuola da decenni conosce la drammatica tentazione di non uscire mai dalle “aree a rischio” per non perdere i fondi in più che vengono loro destinati. Si parla di allungare il tempo scuola per colmare le lacune? Si eviti allora di permettere tempi pieni delle scuole medie che si concludono alle 13,30. In alcune regioni come la Campania sembra esserci una tragica difficoltà a comunicare fra le popolazioni, che continuano a sottovalutare il valore e l’utilità della cultura, e i ceti piccolo borghesi che insegnano i quali tendono ad accentuarne il carattere teorico-astratto ed elitario. Non a caso vi viene poco compresa la “cultura del lavoro” e la formazione professionale latita».

(Claudio Perlini)