Insegnanti tra 'burnout' e percezione di sé Un parallelo tra due indagini svolte in Italia e in Francia Tuttoscuola, 30.1.2012 Lavorare nella scuola pubblica non fa bene alla salute, né degli insegnanti né del personale amministrativo. O almeno così suggeriscono i dati di uno studio nazionale francese realizzato da un consorzio, costituito da sindacati e una cassa assicurativa. Un operatore su sette (14%) dichiara una situazione di 'esaurimento professionale' (o burnout, disagio spesso riscontrato nei medici e in chi si occupa di malati soprattutto gravi) e quasi uno su 4 (24%) vive uno stato di tensione durante l'attività lavorativa. In generale la ricerca - condotta su 5 mila persone - indica che "una proporzione non trascurabile" di questi lavoratori sono a "rischio di disturbi psico-sociali". Più vulnerabili gli ispettori, i maestri elementari, gli uomini e le persone con più di 55 anni. Secondo l'indagine gli operatori sono sottoposti ad una pressione psicologica elevata. Unico elemento che aiuta a ridurre i rischi è il margine di possibilità di decidere, che per alcune figure impiegate nella scuola francese è considerato "accettabile", e dunque utile a contenere i livelli di stress. Il fenomeno del 'burnout' non è diffuso solo Oltralpe, ma anche tra gli insegnanti italiani. Nell'ultimo decennio l'insegnante è diventato il bersaglio di una operazione di demolizione del riconoscimento sociale che lo ha invece accompagnato per lungo tempo nel secolo scorso. Accusato di fare un part-time di fatto, di esercitare un doppio lavoro e di evadere le tasse attraverso le lezioni private. La figura e il ruolo del docente è sempre più "sotto esame". Con il risultato di una sempre maggiore disaffezione,stress, percezione della perdita del proprio prestigio sociale, disorientamento, da parte del corpo docente che continua comunque a svolgere, nella gran parte dei casi, con "passione" la propria professione. È uno dei dati che emerge da una recente indagine sugli insegnanti italiani "Valori costituzionali e comportamenti professionali", condotta dal Cidi (Centro di iniziativa democratica degli insegnanti),per conto del Comitato Italia 150, attraverso la quale 2.300 insegnanti hanno evidenziato le proprie motivazioni e disillusioni, idee e comportamenti, valori e prospettive della loro professione in un momento particolarmente delicato della scuola italiana. Il primo dato che emerge è che contrariamente a quanto si pensi comunemente, "quella dell'insegnante è un'attività che raramente si sceglie per caso, mentre rimane in genere decisivo l'aspetto vocazionale". Infatti alla domanda sul perché si insegna, oltre la metà del campione (53,1% ha scelto l'opzione 'per realizzare una mia aspirazione personale' mentre quattro su dieci (41,1% hanno indicato 'per contribuire alla formazione dei giovani'. Una percentuale molto contenuta (13,5%) riconduce tale scelta alla volontà di 'trasmettere le conoscenze apprese'. Analizzando i motivi di insoddisfazione la ricerca conferma i sintomi di una profonda insoddisfazione per una professione che ha scarso riconoscimento sociale (per il 69,4% del campione) e che è caratterizzata dalla mancanza di una progressione economica (per il 52,7%). Gli insegnanti puntano il dito anche sul alcune trasformazionedella scuola : ben il 34% del campione esprime, ad esempio, un giudizio negativo sull'autonomia scolastica, ritenuta colpevole di aver 'trasformato la scuola in un'azienda'. Sempre rispetto all'autonomia scolastica, un numero analogo di intervistati fa sentire la propria delusione, ritenendola "un'occasione perduta perché applicata male e senza risorse" (per il 35,5%). Ma, quando si chiede di indicare i motivi di soddisfazione, la stragrande maggioranza degli insegnanti (55,7%) risponde "Mi mette a contatto con i giovani" ( nella scuola secondaria tale risposta raggiunge il 74,5%), ben il 48,5% indica tra i motivi di soddisfazione il fatto di sapere il proprio lavoro "è molto importante per la società” oppure che "è una lavoro creativo (48,2%). La maggioranza assoluta degli intervistati (57,3%) confermerebbe comunque la scelta di insegnare contro il 7,7% che cambierebbe in ogni caso. Anche nel caso delle funzioni della scuola pubblica l'indicazione che prevale è quella valoriale. Ben oltre l'82% degli intervistati, infatti, indicano quella di "educare ai valori e alle regole della convivenza civile" la più importante funzione della scuola pubblica. Tale finalità ottiene un ampio consenso e distacca nettamente le altre importanti funzioni tra le quali "acquisire un metodi di apprendimento (54,1%) e "acquisire conoscenze e competenze disciplinari" (51%). Poca rilevanza assumono, invece "preparare e orientare ad una professione" (17,7%) e "fornire un'occasione di conoscere cose nuove" (17%). Per quanto riguarda ciò che si vorrebbe fare e ciò che si fa. Il campione afferma di privilegiare nel proprio lavoro di insegnanti un mix di aspetti che comprendono "potenziare le capacità individuali" (58,8%), "realizzare l'integrazione di tutti gli alunni della classe" (57,7%), "trasmettere conoscenze e competenze" (56,2%). La maggioranza degli intervistati afferma di riuscire soprattutto a "trasmettere conoscenze e competenze" (64,6%). "Fornire una formazione culturale alta" raccoglie, al contrari, pochi consensi sia come aspetto da privilegiare (12%) sia come ciò che si riesce effettivamente a realizzare in classe (4,5%). Sempre per quanto riguarda i valori, per la quasi totalità del campione la scuola dovrebbe educare soprattutto a "rispettare le norme", "all'importanza della cultura" (entrambi i valori per il 98,7% dei rispondenti dovrebbero essere trasmessi 'molto o abbastanza' dalla scuola ) e alla "libertà di pensiero e di espressione (per il 98,5%), a insegnare il "rispetto degli altri e la loro integrazione (per il 98,5%). Seguono, di poco, l'uguaglianza delle persone" (98%), la "solidarietà, l'impegno e il senso di giustizia" (per il 97,5%). Tra le mura scolastiche, al contrario, non si dovrebbero invece insegnare il "successo economico" (per quasi due terzi degli intervistati) e il "rispetto e la difesa del nostro paese" (la scuola dovrebbe trasmetterlo 'poco o per nulla' per circa per circa il 12%). Per quanto riguarda la valutazione, secondo gli insegnanti serve poco "a premiare chi studia e a punire chi non lo fa" ( appena il 5,8% del campione); la sua funzione è soprattutto quella di "verificare quali contenuti e quali competenze non sono adeguarti e vanno ripresi nella lezione " (lo ritiene poco più del 60% degli intervistati), ma anche a far "comprendere agli allievi e alle famiglie quali sono i miglioramenti e le carenze nello studio" (60,9%) e a "individuare gli allievi più deboli sui quali intervenire con azioni di recupero oppure quelli più meritevoli di approfondimento" (58,5%). Per quanto concerne, invece, ciò che effettivamente è trasmesso a scuola , i dati mostrano tutto sommato una congruenza tra "dover essere" ed "essere", anche se con percentuali che denotano forse una efficacia inferiore alle attese: restano ai primi posti "la libertà di pensiero e di espressione" (per il 77,7% degli insegnanti intervistati la scuola la insegna 'molto o abbastanza'), "l'uguaglianza delle persone" (76,4%), "il rispetto degli altri e la loro integrazione" (per il 73,5%), "la solidarietà (68,4%), "l'impegno" (66,6%) e "il rispetto delle norme (66,7%). Sempre per oltre due terzi del campione, la scuola insegna "il valore della pace" (70,9%). Il giudizio sugli studenti della propria scuola , infine, appare piuttosto articolato. Per la maggioranza degli studenti "l'arte di arrangiarsi" è la caratteristica più diffusa tra gli allievi (per il 73,9%). Seguono "lo scarso senso civico (69%) e il "pressappochismo (68,5%). Si combinano con questi "difetti" valutazioni più positive degli studenti: tra le principali qualità indicate la "creatività (67,5%) e la "solidarietà (65,9%).
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