Ici alle scuole private,
Sì all'Imu solo se gli istituti non fanno
profitto, di Virgilio Bartolucci Diritto di Critica, 28.2.2012 La commissione Industria del Senato approva all’unanimità il testo del governo concernente le misure sull’Imu alla Chiesa. Nella sintesi tra le diverse posizioni, Monti fa contenti tutti. Un colpo che rischia di far venire un attacco di bile a politici consumati, toglie le castagne dal fuoco ai partiti, fa gridare al miracolo quanti non sono abituati a vedere pagare la Chiesa come ogni comune mortale e addirittura non scontenta i vescovi. Monti, il buon pastore. Il modo con cui il premier si materializza nella commissione Industria del Senato – il luogo più incandescente della politica nostrana, dove si coagulano le pressioni delle lobby tese a smontare il decreto sulle liberalizzazioni facendo leva su partiti ridotti a “taxi” delle moderne corporazioni – è un capolavoro tutto politico del presidente del Consiglio più “tecnico” della nostra storia repubblicana. Monti riduce la commissione di palazzo Madama, tesa e riluttante, impaurita dai malumori giunti da oltre Tevere, ad un gregge di pecorelle e la conduce verso una condivisione unanime, al riparo dai malumori della Santa Sede. La soluzione. Il premier non ha dubbi: il governo ha fornito una risposta “chiara e inequivoca” che mette fine alle polemiche sul presunto dietro front sull’Imu ai beni ecclesiastici. Ad essere “esenti dal pagamento saranno le scuole non commerciali”, ossia, “non pagheranno quelle senza scopo di lucro, paritarie e aperte a tutti”. Quali scuole private non sono commerciali? Ma – rimandando, tra l’altro, all’editoriale di Paolo Ribichini pubblicato su Ddc – è lecito chiedersi se scuole cattoliche di questo tipo esistano. Secondo Monti sì. Si tratta degli istituti che “svolgono la propria attività con modalità concretamente ed effettivamente non commerciali”. È lo stesso presidente del Consiglio a indicare la differenza: “l’attività paritaria è valutata positivamente se il servizio è assimilabile a quello pubblico”, frase non chiarissima che poi viene esplicitata con un rimando alla didattica e in particolare ai programmi scolastici adottati. Ma la distinzione si basa anche sull’adozione o meno di contratti nazionali per il personale laico e sulla “rilevanza sociale” della scuola. Un requisito che si può legare all’accoglienza di alunni disabili, come pure ad un servizio “aperto a tutti i cittadini alle stesse condizioni”, con una selezione all’ingresso non discriminatoria. No al lucro, sì all’investimento didattico. Va detto che la distinzione tracciata da Monti non tocca mai direttamente la questione della retta e del suo valore economico. La differenza economica nel pagamento della scuola prescelta, differenza peculiare tra istituti pubblici e privati, non appare che sullo sfondo delle parole del premier. Il distinguo economico, secondo il presidente del Consiglio, si lega al bilancio – che deve essere “tale da preservare in modo chiaro la modalità non lucrativa” –, oltre che all’impiego di un eventuale “avanzo” da destinare “all’attività didattica”. E la retta? Una norma che lascia una porta aperta a livello interpretativo e pone diversi interrogativi. Anche una retta di diverse migliaia di euro può, in teoria, andare a comporre un bilancio non lucrativo. Ad esempio, se va a finanziare apparecchiature didattiche, particolari attività scolastiche, o lo stesso mantenimento dell’istituto. Un compromesso per accontentare la Ue. Monti si rende perfettamente conto di trovarsi di fronte ad una “materia che non era facile e forse non è un caso che non era mai stata affrontata in tutti questi anni”, però – ribadisce –, l’intento dell’esecutivo, in accordo con il funzionamento e la logica della commissione Ue, mira a “definire questa delicata materia in un modo che la ponga in futuro al riparo da qualsiasi polemica e interpretazione distorta”. Il premier non ha dubbi che “con l’emendamento presentato, il Governo intende rafforzato quanto chiarito in sede giurisprudenziale” e sottolinea che “il no profit è attività troppo seria e importante per permetterci che comportamenti non in linea si insinuino” e “che serie attività vengano macchiate nella percezione dell’opinione pubblica per la mancata chiarezza fiscale”. Ai parlamentari, che si sono complimentati per la presenza in commissione, Monti ha ribadito l’importanza della materia e si è raccomandato di non modificare la norma sull’Imu per la Chiesa, «informalmente» presentata alla Commissione europea allo scopo di ottenere rassicurazioni sulla chiusura della procedura d’infrazione. Contenti i politici, contenta la Chiesa. Le parole del capo del governo hanno fatto breccia anche nelle gerarchie ecclesiastiche. Il presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, monsignor Gianni Ambrosio, ammette che “vanno nella direzione giusta, quella portata avanti anche in Europa. Scuole e oratori sono attività no profit e non ha senso tassare attività che hanno chiara rilevanza pubblica e sociale”. Ambrosio ammette che larga parte della Chiesa era dominata da “una preoccupazione molto seria”, ma concede che “bisogna rafforzare davvero il senso del dovere nel pagare le tasse, è un principio che riguarda tutti”. Per ora la polemica sembra disinnescata, ma per esserne certi bisognerà attendere la concreta applicazione di un testo che non appare scevro da diversita’ interpretative in antitesi tra loro. |