La scuola non è una spiaggia.
Vi dico la mia sull’abbigliamento in classe

di Giovanni Gaglio, preside dal blog de Il Corriere della Sera, 15.4.2012

Una circolare sull’abbigliamento “trasgressivo” dei ragazzi l’ho scritta anch’io. Era quasi un anno fa, lo scorso mese di maggio. Dopo aver incrociato più volte, nei corridoi, studentesse con i pantaloni a vita così bassa che si vedevano le mutande e ragazzi con bermuda calanti e infradito, ho preso carta e penna e ho scritto.

Ho detto loro che vestiti così potevano andare a un happy hour, o in vacanza, ma non a scuola. Quando mi capita di incontrare miei studenti abbigliati in quel modo non faccio mai finta di nulla: se vedo una ragazza con la pancia fuori la fermo e le faccio una battuta, qualcosa del tipo: «Signorina, va in spiaggia?», oppure le dico, in siciliano, «Si copra che prende una congestione».

E’ chiaro però che un richiamo a un abbigliamento consono vale anche per tutti gli adulti che lavorano nella scuola. E comunque, ci tengo a sottolineare, la circolare sull’abbigliamento è soltanto la prima parte di un ragionamento.

I ragazzi a scuola ci passano gran parte della loro giornata, questo per loro è il primo luogo in cui esprimersi, anche con l’abbigliamento. Va bene mettere dei paletti su calzoncini corti e canotte, l’ho fatto anche io, ma è più efficace un richiamo diretto, anche duro ma con il sorriso.

L’obiettivo non è mai imporsi ma farli riflettere, anche su un abbigliamento inopportuno a scuola.