SCUOLA

Cameron, le buone maniere non bastano...

Federica Ghizzardi il Sussidiario 21.4.2012

L’ultima proposta in fatto di educazione ai figli arriva dal Premier britannico David Cameron, padre di tre bambini Nancy, Arthur e Gwen, che propone una formula dal sapore un po’ retrò. I bambini devono alzarsi in piedi quando entrano i genitori: una proposta che nel Ventunesimo Secolo può sembrare un tantino bizzarra. “Occorre che i ragazzi facciano sport per imparare cos'é il successo e a volte anche cosa significa il fallimento” ha aggiunto poi il premier britannico in un comizio del partito conservatore in Scozia. Affermazioni che stupiscono, soprattutto, per il fatto che l’Inghilterra ha da sempre un grosso problema di delinquenza minorile, dato dall’abuso di alcol, usanza diffusa nel paese e che negli ultimi anni coinvolge fasce di età sempre più basse. Il Ministero della Salute britannico ha, infatti, stimato che l’età in cui si inizia a bere birra abitualmente si è attestata intorno agli undici anni. Abbiamo chiesto per Il Sussidiario.net un commento a Marcello Tempesta, Docente di Pedagogia generale all’Università del Salento.

 

Professor Tempesta, serve davvero partire dalle buone maniere per impartire ai figli una buona educazione?

Certamente, la cultura degli ultimi decenni ha avuto uno dei suoi punti cardine nell’abolizione del concetto di forma. L’informale e il destrutturato è diventato à la page, e molte volte, l’assenza della forma ha trascinato con sé anche quello della sostanza. Non credo, però, che la risposta alle problematiche dell’emergenza educativa contemporanea, tema che tocca tutti i paesi del mondo occidentale, avvenga attraverso il recupero di un rigore formale. Mi pare anzi di vedere in questa riscoperta dell’educazione, nel senso di buone maniere, una riduzione dello spessore del senso dell’educazione che non è solo rispettare le regole. Per un verso, posso capire che ci sia una spinta contraria a quella degli ultimi trent’anni che, in qualche modo, ha distrutto ogni forma: dalla crisi educativa, però, non si esce con un ritorno al passato, perché va affrontata con strumenti più profondi.

Secondo lei, da dove occorre ripartire? Come trasformare l’amore in educazione efficace?

Capendo qual è la duplicità educativa dell’essenza familiare. Un genitore è luogo degli affetti, dell’accoglienza, del calore ma anche luogo dell’indirizzo, dell’educazione morale, dell’indicazione, della proiezione della realtà. Questa duplicità, purtroppo, non è retta facilmente dalla famiglia contemporanea. In genere, oggi si tende a far prevalere la dimensione della cura e degli affetti e nessuno pare voglia prendersi l’impegnativo compito di formulare una proposta o un indirizzo. Sbilanciarsi verso le regole piuttosto che verso la sfera affettiva deforma la dimensione educativa.

 

Ritiene che oggi sia più difficile educare, perché il genitore trova faticoso essere un buon esempio?

Probabilmente oggi essere genitore è più difficoltoso che in passato. D’altra parte bisogna cercare di sfuggire a questa idea per cui i genitori non sarebbero adeguati ad educare i figli, ma ci vorrebbero esperti e professionisti: un grosso limite per la famiglia moderna è costituito da questo senso di incompetenza, per cui si vuole demandare il proprio compito a chi ne sa di più, in genere gli psicologi. Il genitore, invece, non deve rinunciare a qualcosa di complesso, ma altrettanto affascinante, e che solo lui può fare.

 

Alcuni ritengono che i genitori tendano a proteggere all’estremo i propri figli? Lei è d’accordo?

E’ un giudizio fondato. Uno dei problemi della famiglia contemporanea è l’iperprotettività. Si ha quasi paura che il proprio figlio si possa sbucciare il ginocchio, dimenticando che senza la caduta il bimbo non impara a camminare. Preservare da qualunque forma di sofferenza o sacrificio significa evitare il tirocinio del faticoso mestiere di diventare adulti: bisognerebbe sorreggere e lasciare andare, o ancora, accompagnare e ritrarsi. Ecco, un’altra ambivalenza difficile da far digerire alle mamme e ai papà moderni. Oggi, però, è difficile per un figlio compiere delle scelte: non è disorientante il mondo odierno per un ragazzo? La complessità sociale è notevole, però credo che il punto sia sempre stabilire quali sono i criteri esistenziali e di orientamento che i genitori vivono per sé. Se, questi ultimi hanno dei riferimenti potranno, con discrezione, non rinunciare a proporli: si badi bene, non un’imposizione ma una proposta. Tutto questo fa parte del complesso compito del genitore che deve saper indicare per cosa vale la pena vivere e comportarsi in un certo modo.

 

Spesso, i familiari non conoscono i propri figli. Mi riferisco, ad esempio, a certe famiglie che si stupiscono che i propri ragazzi vengano coinvolti in manifestazioni o fatti di cronaca violenti.

Questo è un fatto crescente e mi pare che ci sia una sorta di autismo fra le generazioni e la loro difficoltà a comunicare: seppure oggi il gap fra, da una parte, padri e madri e dall’altra i figli, si sia assottigliato rispetto al passato, quando il salto anche solo di una generazione era più evidente. Eppure, non molto tempo fa, fra i componenti di un nucleo familiare, che spesso comprendeva anche i nonni, che vivevano nella stessa casa con i nipoti, c’era una specie di flusso di umanità e una diversa capacità di far tesoro delle esperienze altrui. Ai giorni nostri, purtroppo, viviamo una frantumazione dei rapporti che rende difficile tutto questo.