Se la matricola valuta la scuola

di Francesco Antonioli Il Sole 24 Ore, 1.4.2012

Lo chiamano "esercizio". Termine appropriato, visto che si parla di scuola. E pratica preziosa, dal momento che nell'ambiente – al di là delle dichiarazioni di principio – c'è una malcelata resistenza ad accettare verifiche o controlli sulla qualità dell'insegnamento o dell'offerta formativa. A dire il vero la Fondazione Giovanni Agnelli, dal 2008 orientata full time allo studio del variegato mondo dell'istruzione, ha impostato qualcosa di più complesso che un semplice "esercizio": un vero e proprio metodo per valutare le secondarie superiori a partire dalle performance dei loro diplomati immatricolati nelle università italiane.

Il risultato, diffuso ieri, si visualizza nella top ten delle migliori scuole di quattro regioni italiane. Ne hanno passate al setaccio 1.011: 453 in Lombardia, 213 in Piemonte, 179 in Emilia Romagna e 166 in Calabria. È stata ricostruita la carriera universitaria di circa 145mila giovani a partire dalle informazioni raccolte dalla Anagrafe nazionale degli studenti universitari, che raccoglie i dati amministrativi ricevuti dalle segreterie di ateneo. «Questa operazione permette di trarre indicazioni utili sulla qualità delle "basi" formative acquisite e dunque sul lavoro svolto presso le scuole superiori di origine», scrivono nella presentazione del report Gianfranco De Simone e Martina Prosperettti della Fondazione Agnelli e Bruno Monastero del Politecnico, i ricercatori che in team hanno incrociato dati e numeri, profitto e velocità dei ragazzi nel primo anno accademico, quello in cui l'influenza della scuola superiore è ancora rilevante (qui riferito al 2007-2008 e 2008-2009, ultimi anni con informazioni complete). Tutto ha concorso: crediti, esami, votazioni ottenute, il tipo di corso. Sono riusciti a "tracciare" anche chi si è iscritto fuori regione, ma non all'estero. Hanno escluso – per efficienza statistica – le scuole con meno di dieci allievi approdati all'università.

Il primo "ranking" è l'effetto scuola, cioè la predisposizione ad affrontare bene gli studi universitari che deriva dall'aver frequentato una particolare istituzione scolastica. È stato "depurato" da altre possibili determinanti: le caratteristiche individuali degli studenti – che differiscono per talenti e abilità, per esempio –, le specificità territoriali o la localizzazione dell'istituto, nonché il "tipo" di scuola scelto spesso anche in virtù dell'estrazione sociale. L'operare congiunto di questi altri elementi contribuisce a creare una seconda graduatoria – il "ranking finale" –, utile soprattutto per le famiglie, che possono così avere ulteriori elementi per orientare le scelte dei figli.

Ed ecco le sorprese, anche se per il Piemonte (dove l'analisi è stata condotta per il terzo anno consecutivo) è la conferma di un trend. Buona qualità degli istituti tecnici (in vetta ovunque), anzitutto. C'è poi un "vantaggio relativo" dei segmenti liceali dell'offerta formativa rispetto agli istituti tecnici, nell'attrazione di studenti più dotati scolasticamente e di estrazione socio-culturale più elevata. La provincia, inoltre, va meglio della grande città: i ragazzi dei piccoli centri hanno in genere performance universitarie migliori (vuoi per il maggior controllo sociale, vuoi perché l'investimento dei "fuori sede" è più gravoso e bisogna impegnarsi a fondo). Infine, deludono la maggior parte delle scuole non statali, nonostante alcune realtà di eccellenza, specie in Lombardia. A Torino, i Salesiani del liceo Valsalice (dove hanno studiato il cardinal Bertone e il giudice Caselli), sono al nono posto e staccano di molte posizioni tutti gli altri istituti di quel tipo.

«Siamo consapevoli dei limiti di una ricognizione di questo tipo – ragiona l'economista Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli –, tuttavia ci piacerebbe arrivare presto a un monitoraggio nazionale. Quando abbiamo iniziato, tre anni fa e soltanto per il Piemonte, ci sono state molte reazioni piccate. In seguito, a poco a poco, ha prevalso il desiderio di capire e si è innescato un dibattito positivo tra insegnanti e dirigenti scolastici. Interrogarsi su come le scuole preparano all'università è forse un piccolo tassello, ma decisivo per impostare il futuro».

L'indagine sulla Calabria (con 23.497 studenti sotto la lente) è stata sollecitata dall'assessore regionale all'Istruzione Mario Caligiuri che aveva saputo dell'iniziativa piemontese. «Il primo ranking, quello per "effetto scuola" – incalza Gavosto –, è un'indicazione importante per i responsabili della politica scolastica nazionale e territoriale. Però è bene notare che questo approccio è valido soprattutto nel caso in cui l'esito privilegiato dagli studenti di una data scuola sia proprio il proseguimento degli studi all'università, come avviene nei licei. È il motivo per cui non abbiamo considerato nel nostro "esercizio" gli istituti professionali». Al contrario, la scelta di inserire gli istituti tecnici – spesso indicati come istituti superiori là dove le scuole sono multi-indirizzo – deriva dal fatto che più della metà dei loro diplomati si iscrive all'università.

«Le classifiche aiutano a capire i fenomeni – commenta Giuseppe Colosio, direttore dell'Ufficio scolastico della Lombardia –, ma vanno considerate nel loro valore relativo. La Fondazione Agnelli ha messo a punto un buon strumento, che però ha dei limiti: dalla nostra regione, per esempio, molti giovani vanno a studiare all'estero e questo elemento manca. C'è poi un'eccessiva contrapposizione tra piccoli centri e aree metropolitane. Mi colpisce positivamente, invece, il riferimento alle buone performance degli istituti tecnici. La scuola deve migliorare nel suo insieme e tutto ciò che contribuisce a ragionare con intelligenza va ben accolto».