CRONACA

Voti, le scuole spaccate sul 4
"Mai al di sotto". "Fa crescere"

Dopo il caso Berchet di Milano. I presidi fiorentini la pensano così. Alla Pestalozzi
la soglia minima da non superare è il 5: “Aiutare i ragazzi nelle difficoltà”

di Maria Cristina Carratù la Repubblica di Firenze, 11.4.2012

E’ un numero, ma mica solo un numero. E’ un vero concentrato di segnali, che possono rovinare il sonno, avvelenare le vacanze, guastare i rapporti familiari. Ma anche far crescere, stimolare alla responsabilità, educare al realismo, a seconda dei punti di vista. In un paese dove la valutazione del merito, in tutti i settori, stenta ad ottenere piena cittadinanza, anche il voto scolastico fa discutere, specie a ridosso degli scrutini. E nelle scuole fiorentine, come al liceo Berchet di Milano, dove i docenti si sono spaccati in due da un lato i sostenitori della linea soft (mai voti sotto il 4, sennò è un’umiliazione per i ragazzi), dall’altro quelli del pugno duro (i voti bassi fanno crescere) la questione è all’ordine del giorno. Nelle scuole dell’obbligo, in realtà, si applica quasi ovunque il documento elaborato due anni fa dall’Ufficio scolastico provinciale insieme ai dirigenti degli 8 poli scolastici fiorentini dopo il ripristino del voto (al posto dei vecchi ‘giudizi’) deciso dall’ex ministro Gelmini, e che suggerisce di non andare mai sotto il 4.

A ScuolaCittà Pestalozzi la soglia è addirittura il 5: «Il rendimento scolastico dipende da tanti fattori» spiega il dirigente Stefano Dogliani, «e perché un voto, che è sempre una valutazione superficiale e sintetica, per un ragazzo risulti orientante e non puramente sanzionatorio, deve essere accompagnato quantomeno da note e giudizi». E soprattutto, «da un relazione costruttiva con lui, che lo aiuti a capire come superare le sue difficoltà».

In ordine sparso, invece, si procede nelle scuole superiori. «In Italia, purtroppo, la valutazione fa sempre paura» protesta il preside del liceo scientifico Castelnuovo, Giuseppe Di Lorenzo. «Se si riuscisse a fare del voto non solo un misuratore, ma una ‘narrazione’ del processo di apprendimento, un’occasione di dialogo fra docenti e studenti, verrebbe vissuto da tutti per quello che è». E cioè né bastone, né carota, «ma una grande occasione di crescita: per i ragazzi, e per gli stessi insegnanti, che per questa via dovrebbero imparare a giudicare anche se stessi».

Guai a temere i numeri, avverte anche la preside del Liceo artistico di Porta Romana Anna Maria Addabbo: «Io propongo di rivalutare l’intera scala decimale» dice. Dunque, sì al 3 e al 4, «che, ovviamente se dati a ragion veduta, per i ragazzi sono sempre significativi, ma sì anche ai 9 e ai 10, che oggi sono poco usati e invece sarebbero molto motivanti». Meno d’accordo la preside dello scientifico Da Vinci e del Dante, Donatella Frilli: «Dobbiamo ancora discuterne nel collegio dei docenti» dice «ma il mio parere personale è che sotto il 4 non si dovrebbe scendere, è già una insufficienza grave e non importa pesare ancora su un ragazzo, anche se è un caso disarmante». Sulla stessa linea il preside del liceo classico Michelangelo Massimo Primerano, che agli insegnanti della sua scuola, «purtroppo non molto ascoltato», ha dato «l’indicazione di non scendere mai sotto il 4, a meno che il compito non sia proprio in bianco». Affibbiare un voto troppo basso, lui ne è convinto, «è troppo demotivante, è come negare allo studente la possibilità di risalire». Di opposto parere Donata Biserni, insegnante di lettere nello stesso liceo: «Ho dato un sacco di 2 e 3, tutto dipende da come si dà un voto, dal rapporto che si crea con lo studente e da come gli si spiega quel numero» dice, «fermarsi al 4 se un compito vale di meno è un inutile formalismo che prende in giro i ragazzi».