SCUOLA

La "rivoluzione" delle competenze
non rischia di dimenticare i prof?

Maria Teresa Sigari* il Sussidiario 6.4.2012

Caro direttore,

in riferimento all’intervista con il direttore generale del Miur per gli ordinamenti scolastici, dott.ssa Carmela Palumbo, pubblicata il 26 marzo 2012, c’è da chiedersi se l’intenzione era quella di chiarire i dubbi sul tema delle competenze o sul problema di adottare un modello unico di certificazione, perché dall’intervista emergono ancora molti dubbi a proposito sia dell’uno che dell’altro tema.

L’affermazione del direttore circa lo scoglio da superare per giungere ad una certificazione delle competenze, individuato “nel fatto che la didattica non è ancora orientata per essere poi valutata in termini di competenze” focalizza certamente il problema. Subito dopo, però, nel sostenere che “il vero problema è quello di costruire le prove di accertamento” per rilevare le competenze, intendendo per prove “le cosiddette prove esperte o di realtà”, realizziamo che tra il ministero e la quotidiana attività degli insegnanti c’è ancora un certo scollamento.

Il problema, crediamo, è di altra specie: le competenze espresse nel modello di certificazione come descrizione sintetica di un percorso formativo hanno senso se gli insegnanti nella loro programmazione individuale declinano la propria area, individuando le operazioni mentali da osservare come indicatori del processo di apprendimento che consentiranno di limitare l’area di ricerca delle competenze.

Per riconoscere la “situazione di competenza” è necessario, infatti, identificare la competenza e accertarla non con delle “prove esperte”, ma attraverso un processo di osservazione basato su una raccolta di dati sistematica. L’uso di schede continuamente strutturate in funzione dell’oggetto o dell’interesse dell’osservazione, aggiunge una dimensione di efficienza al lavoro dell’insegnante intesa come rapidità e facilità nell’impiego e consente di elaborare un’ipotesi interpretativa dell’attività osservata per la certificazione, rilevando la frequenza con cui la capacità viene espressa.

Mentre osserva il processo di apprendimento, l’insegnante può rilevare, oltre alla conoscenza della disciplina, anche la eventuale carenza delle funzioni cognitive come la capacità di raccogliere informazioni, individuare collegamenti e relazioni, usare strategie, riflettere, risolvere problemi... tutte capacità relative all’aspetto cognitivo, meta cognitivo, motivazionale e dunque tutti elementi che costituiscono l’insieme delle competenze.

In relazione poi all’attività collegiale degli insegnanti, di cui si dice che il modello predisposto dal Miur e le linee guida terranno conto, vanno utilizzati strumenti didattici comuni come la mappa disciplinare, attraverso la quale gli insegnanti possono individuare una o più tematiche su cui lavorare insieme, gli obiettivi e le competenze comuni da accertare, rilevare e certificare.

Si tratta quindi di mettere in atto modalità didattiche, alcune preesistenti, facili da prevedere e da organizzare, altre più innovative e complesse da attuare, prediligendo quelle che focalizzano i processi mentali messi in atto dagli studenti.

Non basta perciò proporre linee guida per indicare alle scuole come “inserire organicamente il modello di certificazione o come impiegarlo”, è necessario formare gli insegnanti a pratiche metodologiche innovative che consentano forme di intervento strutturato per rendere l’apprendimento non solo intuitivo, ma un processo cosciente di decisione.

Ci riferiamo in modo particolare ai sistemi educativi cognitivi che offrono strumenti e pratiche per verificare se gli studenti hanno veramente acquisito la capacità di utilizzare la loro conoscenza, vale a dire se hanno acquisito la capacità di “imparare ad imparare”.

È necessaria una formazione degli insegnanti iniziale e continua, perché il punto non è quello di innovare il “metodo”, ma quello di conoscere ed applicare i tanti metodi che la ricerca pedagogica ha elaborato, per rispondere in modo idoneo al bisogno di ogni studente. In questo modo si può attuare finalmente una ristrutturazione e quindi una riqualificazione professionale degli insegnanti.

Certamente, se il ritardo nell’investire in modo consistente nella formazione degli insegnanti sarà ancora prolungato, ci vorranno molti anni per sentirne gli effetti e questo certo non sarà a causa di “una formazione di matrice universitaria” orientata fino alla recente riforma esclusivamente ad ottenere competenze nella disciplina.

 

* Maria Teresa Sigari, formatore Apef