Sulla polemica sollevata dai genitori francesi

Il controllo dei compiti a casa
serve alle famiglie per educare i figli Cultura

di Pietro De Marco l'Occidentale, 8.4.2012

La prima amplificazione del dibattito sui ‘compiti a casa’ fa riflettere, su più punti. Anzitutto (avvertono i competenti) sulla inconfrontabilità del caso francese, da cui il dibattito nasce, con quello italiano: la scuola francese ha prevalentemente lunghi orari, diversamente da quella italiana; esportare in Italia le ragioni dei genitori francesi è distorcerle. E, in effetti, il dibattito - in rubriche radiofoniche aperte agli ascoltatori - ha preso subito un andamento confuso. Il delimitato problema dei ‘compiti’ ha trascinato con sé l’intera materia di un manuale di sociologia dell’educazione (che ho insegnato per anni), dalla selezione scolastica ‘classista’ alla professione dell’insegnante alle relazioni scuola-famiglia alle finalità dell’istituzione-scuola. ‘Tutto si tiene’, forse, ma di certo non tutto va invocato nello stesso tempo.

In questo avvitarsi caotico delle opinioni su e contro i ‘compiti a casa’ colpisce una convergenza di ansie genitoriali, qualcosa come ansie da prestazione educativa, e di utopismo o massimalismo pedagogico. Chiamo massimalismo, anche se espresso blandamente, la tentazione che ha la formazione universitaria dei futuri insegnanti ad assegnare alla scuola l’intero compito formativo della persona; iniziando molto presto (dai primissimi anni di vita) per terminare molto tardi, anzi non terminare affatto: penso alla ‘formazione degli adulti’. Ora, i modelli sociologici della ‘socializzazione’, della costruzione del Sé verso la condizione adulta, sottolineano lucidamente l’azione convergente, non senza competizione e frizione, di più attori e pratiche (agencies) sociali.

La scuola, ultima arrivata (come ‘scuola di tutti’) nella storia, è solo una di queste agencies ed è desiderabile che resti tale. Una valutazione in contrasto, temo, con la convinzione, indotta negli insegnanti, che le altre agencies (tra le quali la famiglia, anzitutto, gli stessi mass media e altro) esercitino per se stesse un’azione di disturbo o distorsione della retta paideia. L’utopia del compito formativo della persona intera da assegnare alla scuola rivela l’insuperabile ‘illuminismo’ della Modernità. Come tale tende a delegittimare, e disorganizzare nelle individualità, le culture proprie del gruppo umano in cui opera. Ho ricordato in altra occasione un giudizio, attualissimo, di Chesterton: “Secondo l’illusione oggi [1910] di moda, attraverso la education possiamo dare alle persone qualcosa che noi non abbiamo avuto. A giudicare dai discorsi si potrebbe pensare ad una sorta di alchimia, quasi che, grazie alle virtù di un intruglio [pragmatistico-emancipatorio p.d.m.], fossimo in grado di produrre per caso qualcosa di splendido, creando ciò che noi non possiamo concepire (….). [Insomma, ‘persone bizzarre’] paiono ritenere che nelle teste dei bambini possano essere inserite cose che non erano nelle teste dei genitori o in nessun’altra parte”.

Ma, proprio per questa latente implicazione di ‘scuola totale’, la delega formativa totale alla scuola, che tenta i genitori, è un pesante errore. E non tanto perché seguire i compiti dei figli serva a controllare cosa fa l’insegnante, ma perché la formazione del carattere, della applicazione agli impegni, della serietà intellettuale di un/una giovane è oggettivamente assegnata alla famiglia. La forma duratura e intima della relazione genitori-figli non è fungibile da altra istituzione; insegnanti e ‘facilitatori’ variano nel tempo e sono difformi per profilo morale e tipo di prestazione. Va lasciata loro la libertà di essere ciò che sono; comunque non devono surrogare la genitorialità.

Ora, i compiti a casa, come sappiamo tutti, sono un’occasione (l’occasione) di elaborazione riflessiva non mimetica. Tutti l’abbiamo sofferta, quasi sempre con vantaggio. Il genitore, seguendo e aiutando, può evitare che anche il ‘compito a casa’ si trasformi nella pratica della memorizzazione minima, dello scopiazzarsi reciprocamente soluzioni già fatte. La famiglia, in virtù (e sotto condizione) della sua continuità, anche nel controllo dei ‘compiti a casa’ forma l’adolescente ad un metodo che è più che tale, è educazione ai valori e ai saperi. Solo su questa premessa può, se è il caso, negoziare con la scuola il carico di lavoro dei figli.