Il Paese senza meritocrazia

Il Rapporto Isfol 2012. Gli Stati Ue investono sull’alta formazione
l’Italia fa il contrario e affonda la competitività.

di Gianmaria Roberti la Discussione, 29.6.2012

In Italia la produttività del lavoro è debole, come gridano gli apologeti dei ritmi produttivi teutonici: dal 1998 è cresciuta di poco più di 4 punti percentuali, a fronte di un incremento medio Ue pari al 15,7%. Di contro, se studiare paga, nel Belpaese è molto meno redditizio, rispetto al turbo-Stato governato dalla Merkel: il tasso di disoccupazione dei laureati italiani è aumentato nel 2007-2011 dell'1%, mentre in Germania è diminuito dell'1,4%.

D’altro canto, nello Stivale, se la passano male anche i giovani che si incamminano sulla strada della formazione professionale: fra il 2008 e il 2010, il numero medio annuo di occupati con contratto di apprendistato si è ridotto di oltre 100.000 unità. Cartoline dall’Italia del 2012, redatte dal rapporto Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori), presentato ieri alla Camera. Un rapporto che disegna i contorni di un Paese a bassa competitività, che dà un calcio alle alte competenze, consegnandogli un biglietto per espatriare, verso lidi meno ingrati. «Dal 2008, oltre a presentare, in linea con gli altri paesi una diminuzione delle professioni ad alto valore aggiunto, così come un decremento delle occupazioni a valore intermedio - spiega Aviana Bulgarelli, direttore generale dell’Isfol - il nostro Paese mostra, in controtendenza rispetto al resto d’Europa, una forte espansione delle professioni così dette elementari». Il dato «evidenzia che mentre i nostri maggiori competitors europei, seppur in fase recessiva, hanno sviluppato la produzione in alcuni settori ad altro valore aggiunto, l'Italia non ha colto l’occasione della crisi per riconvertire le proprie economie e sviluppare settori ad alta specializzazione».

Il rapporto Isfol accende subito i riflettori sull’allarme-produttività: il nostro Paese «rischia una contrazione del suo livello di competitività perchè non riesce ad investire efficacemente sul capitale umano». La prova sta nella linea opposta alla tendenza rilevata nell'Ue: ha «disinvestito» nei lavori ad alta specializzazione e tecnici e invece ha «incrementato» l'occupazione nelle professioni elementari.

Se in Europa cresce l'occupazione nelle professioni caratterizzate da elevate competenze - tendenza che, secondo l'Isfol, proseguirà anche nei prossimi anni - in Italia le professioni ad elevata specializzazione si sono contratte dell'1,8% negli ultimi 5 anni, contro un aumento medio in Europa del 2% (Germania 4,3%, Regno Unito 4%, Francia 2,8%). Con una quota, quindi, che è del 18% contro il 23% della media Ue. Mentre registra un aumento dell'1,1% delle professioni elementari e una stabilità delle professioni intermedie, dove le professioni tecniche hanno però subito una diminuzione di 22 punti percentuali, a fronte di un aumento per esempio del 13% della Francia. «Lo scenario che abbiamo delineato - dichiara il direttore generale dell'Isfol - è stato affrontato dal Governo italiano attraverso la riforma del mercato del lavoro» ed «anche con il decreto Sviluppo il Governo si è occupato di competenze, prevedendo un incentivo per favorire le assunzioni di lavoratori altamente qualificati».

Inoltre, se il tasso di disoccupazione tra coloro che hanno la licenza media o il diploma si attesta fino a livelli doppi rispetto a quelli registrati per coloro che possiedono un titolo universitario (l'indicatore riferito ai laureati è pari al 5,4%, mentre per i diplomati è superiore di 2,5 punti percentuali e raggiunge un valore del 10,4% per chi possiede la licenza media), rispetto ad altri paesi europei rimane comunque uno svantaggio dell'Italia: il tasso di disoccupazione dei laureati italiani è aumentato nel 2007-2011 dell'1% mentre in Germania è diminuito dell'1,4%. Ed anche sotto il profilo del reddito, nei paesi Ocse le retribuzioni dei lavoratori con istruzione terziaria superano mediamente del 50% quelle dei lavoratori con istruzione secondaria. La media europea è pari al 48,3%. Il dato italiano si ferma al 36,2%. Quanto alle oltre 100.000 unità annue in meno tra gli apprendisti, tra il 2008 e il 2010, la flessione si quantifica nel 19% e raggiunge la quota di 542 mila giovani. Rispetto all'andamento dell'occupazione complessiva tra i 15 e 29 anni, l'incidenza dell'apprendistato è quindi diminuita, passando dal 16,1% del 2008 al 15,1% del 2010. Parallelamente è aumentata l'età media degli apprendisti: la classe degli under-18 in apprendistato si è più che dimezzata nel triennio considerato (da circa 17.000 a 7.500); anche la classe dei 19-24enni - che rimane la più rappresentativa - ha subito un andamento decrescente. Risulta invece in crescita la popolazione più adulta, con 30 anni e oltre. L'apprendistato rimane comunque uno dei principali strumenti per l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, con «probabilità di trasformazione in occupazione stabile migliori di altre tipologie contrattuali».

Riguardo alla formazione degli adulti, l'Italia è ferma al 5,8%, una percentuale superiore solo a quello della Grecia. Secondo i dati Isfol, tra il 2005 e il 2010 la percentuale di aziende con più di 9 addetti che hanno organizzato iniziative di formazione è passata dal 32,2% al 45,1% ma la media europea arriva al 60%. L'ammontare finanziario mobilitato per la formazione continua nel Paese è stimabile in poco più di 5 miliardi di euro l'anno (di questi, circa 1 miliardo viene messo a disposizione dalle leggi nazionali di sostegno, dai Fondi paritetici interprofessionali e dal Fondo sociale europeo).

L’Italia è dunque ancora indietro sulla qualificazione del capitale umano. Si tratta anche di un fattore storico. «Si registrano livelli di scolarizzazione bassa, abbiamo il 18% di dispersione scolastica tra le corti giovanili e occupati senza qualificazione - precisa la Bulgarelli -. Molto si sta facendo per colmare questo gap nei sistemi di apprendimento. Oltre alle filiere tradizionali si va consolidando quella della formazione professionale con numeri che diventano sempre più significativi. Si avvia inoltre la formazione tecnico superiore. Si tratta di filiere formative che oltre a rispondere meglio alla domanda di lavoro espressa dalle imprese, permettono un livello di innovazione maggiore rispetto alle filiere generaliste».

Tra i percorsi di apprendimento «risulta positivo il contratto di apprendistato, come strumento privilegiato di collegamento tra formazione e lavoro che attualmente coinvolge il 15% dei giovani occupati. Con le recenti riforme che lo riguardano l’apprendistato si avvicina sempre più al modello duale tedesco». La relazione positiva tra titolo di studio, livello retributivo e probabilità di trovare lavoro è acclarata.

«Certo – specifica il direttore generale dell’Isfol - dipende da cosa si studia. Risulta infatti migliore il premio retributivo e occupazionale per lauree tecnico scientifiche, mentre meno positiva è la situazione per chi sceglie lauree umanistiche». In ogni caso «studiare in Italia è meno premiante che negli altri paesi europei». Infine, un monito: «Oggi è necessaria flessibilità da parte dell’offerta formativa che non può più essere autoreferenziale per confrontarsi positivamente con il sistema produttivo - rammenta la Bulgarelli -. Si devono prevedere inoltre metodologie didattiche innovative, dove la componente esperienziale integra la formazione teorica e dove l’apprendimento passa anche per la partecipazione». E magari per maggiori chances di trovare lavoro.