Idonea al “concorsone”: assunta d’ufficio dopo di A.G. La Tecnica della Scuola, 25.9.2011 Nel 2000 l'esame a Latina andò bene. Ma poi ha percorso altre strade ed è diventata giornalista. Lei stessa ammette: chiamata a insegnare italiano senza aver svolto aggiornamenti o lezioni di pedagogia, ripreso in mano le materie, imparato a parlare alla classe. Quello che invece hanno fatto a loro spese i precari: come la presidente dei Cip, Maristella Curreli, immessa in ruolo dopo 20 anni di supplenze. La scuola italiana è sempre prodiga di paradossi. Soprattutto quando si parla di personale precario. Così apprendiamo, con piacere, che quello che si sta concludendo è il primo mese da insegnante di ruolo del presidente del Cip, Maristella Curreli, uno dei precari storici più attivi nel contrastare tagli e politiche di ridimensionamento del personale scolastico. Dopo 20 anni di supplenze, con tutto il loro drammatico carico d’incertezze, ha accettato una cattedra di inglese da dividere tra due scuole medie della zona di Pula, a 40 chilometri dalla sua Cagliari. “Provo una forte emozione – ci ha detto - una gioia indescrivibile, una sensazione di leggerezza, come se mi fossi tolta un grande peso e per un attimo dimentico tutti i sacrifici, delusioni e umiliazioni di anni di precariato”. Ma da presidente di un’associazione che tutela i precari non dimentica i 200.000 che rimangono al palo: “il mio pensiero va subito a loro. Tristezza e rabbia per non aver potuto fare di più prendono il posto della gioia. Mi domando chissà quanto dovranno ancora penare prima di poter leggere una sola data sul loro contratto di lavoro. Questo è il risultato di politiche sbagliate, di scelte sciagurate fatte di tagli e distruzione della scuola statale. Con istruzione e formazione tolta ai nostri ragazzi che dovranno confrontarsi nei prossimi anni coi loro colleghi europei” (l’intervista completa è stata pubblicata su “La Tecnica della Scuola” numero 2/2011). Una storia, quella della Curreli, simile a quella di decine di migliaia di (quasi) eterni supplenti. Molto diversa da quella di Wanda Marra, ormai diventata giornalista professionista ed assunta al “Fatto quotidiano”, ma nominata in ruolo, a sua insaputa, dall’Ufficio scolastico provinciale di Latina, a partire dal primo settembre. Una chiamata d’ufficio avvenuta a 11 anni dall’ultimo concorso ordinario, in occasione del quale fu dichiarata idonea come insegnante di Italiano, Storia, Educazione civica e Geografia. Salvo poi prendere la strada dell’esperta in comunicazione. In tanti anni la Marra non ha fatto nemmeno una supplenza. Facendo finire così nel dimenticatoio quel concorso e la voglia di fare l’insegnante. La diretta interessata ricorda che quella “carta” era stata “provata un po’ per caso: d’altra parte – allora come ora – era quasi un obbligo per un laureato in Lettere percorrere tutte le strade”. Qualche settimana fa l’esito di quel concorso si è materializzato. Attraverso “un telegramma, poche righe, per informarmi della mia assunzione. Con tanto di ordine perentorio: ‘Pregasi comunicare accettazione o eventuale rinuncia entro 48 ore pena decadenza nomina in ruolo’” nella classe di concorso A043. La donna, ormai giornalista con un contratto a tempo indeterminato in tasca, non ha però pensato nemmeno per un attimo che le sarebbe piaciuto sedere dietro una cattedra. Spiega di non aver “mai fatto un giorno di supplenza: non avevo nessuna energia da investire in quel campo”. E cio “nonostante gli indubbi vantaggi di un posto garantito e statale negli anni 2000, l’indiscussa nobiltà di un lavoro da educatore e il privilegio di un impiego con orari più che umani”. Ma cosa sarebbe accaduto, invece, se la Marra non fosse riuscita ad affermarsi come giornalista? Che si sarebbe ritrovata catapultata dentro un’aula partendo praticamente da zero. “Non ho fatto corsi di aggiornamento o di addestramento – ammette -, non ho mai ripreso in mano le materie che avrei dovuto insegnare, non ho imparato a parlare davanti a una classe, né seguito lezioni di pedagogia. E dunque prendere in esame l’ipotesi di accettare un lavoro che non ho mai fatto, e che indubbiamente non so fare, è stato quanto meno strano. Per fortuna, non c’è stato bisogno di considerarla sul serio”. Per fortuna! |