Brunetta rimandato alla Consulta Deve difendere i tagli di stipendio al dipendente che si ammala. La Corte dovrà giudicare se è legittimo sanzionare i lavoratori pubblici e non i privati Antimo di Geronimo ItaliaOggi, 20.9.2011 Le trattenute previste dal decreto Brunetta che vengono applicate ai docenti e agli Ata in caso di assenze per malattia potrebbero essere incostituzionali. Secondo il giudice del lavoro di Livorno, ridurre la retribuzione al dipendente pubblico è contro il principio di uguaglianza, perché non è previsto per il lavoratori del settore privato.
E in più viola il diritto alla salute, il principio di retribuzione
sufficiente e il diritto di assistenza del lavoratore inabile.
Insomma, ce n'è abbastanza per interrogare la Corte costituzionale.
Che se dovesse dare ragione al giudice di Livorno potrebbe
cancellare con un colpo di spugna l'articolo 71 del decreto
Brunetta: una delle disposizioni più odiate dai dipendenti pubblici,
perché riduce la retribuzione , anche se solo per la aprte
accessoria, quando il lavoratore si assenta per malattia. Una
disposizione che interessa tutto il pubblico impiego e la scuola in
particolare, che è il settore statale più corposo con il suo milione
di dipendenti. L'ordinanza di rimessione, di cui si è avuta notizia
solo in questi giorni, porta la data del 5 agosto scorso (1330/2010
r.g.) ed è motivata facendo riferimento a 4 norme costituzionali:
gli articoli 3, 36, 32 e 38 della Carta.
Il giudice di merito ha posto l'accento, anzi tutto, sul fatto che
la decurtazione della retribuzione, che consiste nella mancata
attribuzione del compenso accessorio per i primi 10 giorni di ogni
episodio di assenza (poche decine di euro), è prevista solo per il
personale della pubblica amministrazione e non per i dipendenti del
settore privato. Il tutto nonostante entrambe le tipologie di
personale siano caratterizzate da un identico vincolo di
subordinazione. E ciò, secondo il giudice rimettente, viola il
principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.
Il giudice ha fatto presente inoltre che, per effetto dell'art. 71,
il lavoratore legittimamente ammalato si trova privato di voci
retributive che normalmente gli spetterebbero in funzione del suo
lavoro, subendo pertanto una riduzione del corrispettivo in busta
paga. «Riduzione che, dati gli stipendi che percepiscono ad oggi i
lavoratori del comparto pubblico», si legge nell'ordinanza «diventa
tale da non garantire al lavoratore una vita dignitosa. Di fatto la
malattia diventa un lusso che il lavoratore non potrà più
permettersi, e ciò appare in contrasto con l'art. 36 della
Costituzione che prevede che sia garantita una retribuzione
proporzionata ed in ogni caso sufficiente a garantire un'esistenza
libera e dignitosa».
L'art. 71, inoltre, sempre secondo il Tribunale di Livorno,
incidendo pesantemente sulla retribuzione del lavoratore malato,
crea di fatto un abbassamento della tutela della salute del
lavoratore che, spinto dalle necessità economiche, viene di fatto
indotto a lavorare aggravando il proprio stato di malattia. Il tutto
in violazione dell'art.32 della Costituzione, che qualifica il
diritto alla salute come diritto fondamentale. Il giudice rimettente, infine, ha fatto riferimento anche all'art. 38 della Costituzione. Che risulterebbe violato per effetto del trattamento deteriore previsto dal decreto Brunetta, perché la Costituzione garantisce i mezzi di sostentamento al lavoratore inabile al lavoro. La violazione deriverebbe, appunto, dalla decurtazione stipendiale, che priverebbe il lavoratore parzialmente inabile di parte della retribuzione utile al proprio sostentamento. Sulla base di queste considerazioni il giudice ha sospeso il giudizio ed ha trasmesso gli atti alla Consulta. La palla passa dunque alla Corte costituzionale che, se dovesse dare ragione al giudice rimettente, potrebbe cancellare la norma che dispone le decurtazioni e tutto ritornerebbe come prima della riforma. |