A scuola si anticipano
le "pulizie di primavera".

Le dimissioni di Berlusconi porteranno anche un cambio del ministro della Pubblica Istruzione. È vero che il centro-destra ha badato solo a tagliare la spesa, ma col centro-sinistra le cose non andarono diversamente.

di Ciro Raia da il mediano, 14.11.2011

Da qualche giorno si vive un clima da “cambio di governo” in tutto il Paese. Nonostante la drammatica e preoccupante situazione delle Borse, serpeggia, ovunque, una moderata speranza di cambiamento. Nella scuola c’è un’atmosfera particolarmente vivace, perché -più delle implicazioni personali per valori, ideologie, cultura, modi di esporsi e partecipare orientati verso il centrodestra o verso il centrosinistra (ma anche, marcatamente, verso la destra o verso la sinistra)- si respira un vento (una quasi certezza) da “cambio di ministro”.

Si sa, alla fine di ogni esperienza, le colpe dello sfascio sono sempre dei vertici e, nella fattispecie, del ministro in carica. Si chiami Maria Stella Gelmini o Beppe Fioroni, Letizia Moratti o Luigi Berlinguer fa lo stesso. C’è da dire, però, che, pur se ogni giorno investiti da continua mancanza di senso, solo raramente si è messa in discussione la deludente politica scolastica governativa degli ultimi quindici/venti anni, considerandola una diretta emanazione di un sistema governativo coscientemente così costruito! Dalle stanze del centrodestra, infatti, la politica nei confronti della scuola (pubblica) è emersa come animata solo da una volontà punitiva: i docenti fannulloni e vacanzieri impenitenti, l’organizzazione aziendale con i pacchetti produttivi, la subordinazione gerarchica, gli standard d’apprendimento livellati e la valutazione meritocratica.

L’esatto contrario dell’altra sponda, il centrosinistra, dalle cui stanze, invece, ha spirato sempre l’aria di una politica scolastica di tipo eccessivamente rivendicativo, del tutto inadeguata a tradursi in occasione di rinnovamento serio, programmato e non demagogico.
Il piano di intervento scolastico del centrodestra dell’ultimo decennio ha avuto un solo leitmotive: il risparmio, la riduzione della spesa. Basta, per questo, rileggere la motivazione del ritorno al maestro unico nella scuola primaria (L. 169/2008), giustificata, unicamente, dall’esigenza di perseguire “gli obiettivi di razionalizzazione di cui all’articolo 64 del dl 25 giugno 2008, n.112”.

Precedentemente, negli anni di avvicendamento alla guida del Paese, quando era toccato al centrosinistra, non è che le cose fossero andate molto diversamente. Più fumo che arrosto, più forma che sostanza, più dichiarazione di intenti che riforme sensate e convinte: la demagogia degli organi collegiali, un poco chiaro concetto di collegialità (corresponsabilità, unanimità, maggioranza o altro?), il concorsone e i gradoni, una frettolosa revisione dei curricoli.
Forse, è inopportuno ma vero pensare che nessuno dei due schieramenti politici, negli ultimi quindici/venti anni, ha mai avuto in mente una sana e corretta politica per la scuola. Destra e Sinistra si sono contrastate, quasi sempre, contrapponendosi nelle scelte, abolendo (non migliorando) quanto fatto dagli altri, revisionando programmi e sistemi, abbandonandosi alla micidiale logica dello spoil system.

Una logica, quest’ultima, che, oltre a contrapporsi a quella del merit system, ha generato una distribuzione di incarichi, cariche e responsabilità unicamente agli affiliati della parte politica che aveva vinto le elezioni. Una sorta di “vae victis (guai ai vinti!)”, un monito per gli sconfitti: ai vincitori spetta il bottino! Così, è capitato che in poco più di un decennio si siano succeduti tre tentativi di riforme ordinamentali (riforma dei cicli di Berlinguer, riforma Moratti [2004] e riforma Gelmini), tre indirizzi programmatici (i contenuti essenziali del 2000, le Indicazioni Nazionali del 2004 e le Indicazioni per il curricolo del 2007) e tre riforme della valutazione della professione docente (il concorsone di Berlinguer, il tutor della Moratti e l’incentivazione (la premialità) ai docenti migliori della Gelmini).

In questa continua partita a dama, però, mentre le pedine bianche o nere (dipendeva da chi era al governo!) di Viale Trastevere si muovevano sulla scacchiera della politica, in contemporanea, è capitato che si sia perso di vista il progetto di scuola tracciato dalla Costituzione Repubblicana e imperniato sull’istruzione obbligatoria e gratuita, per almeno otto anni, come diritto e dovere di ogni cittadino! Si sono persi di vista, purtroppo, la scuola intesa come bene comune e l’alunno, che deve essere l’unico e privilegiato fruitore, con i suoi diritti, con i suoi doveri, con i suoi bisogni.

Allora è, forse, per questo che in questi ultimi giorni, in ogni scuola italiana si sta vivendo un clima di speranza, quasi, da pulizia di primavera. È come se si stesse, infatti, prossimi ad aprire le finestre, ad arieggiare la casa, a battere i tappeti e a spolverare i mobili. Ma non è solo con la speranza che può cambiare la scuola. Sono troppi i guasti prodotti negli ultimi anni e la scuola non è altro che lo specchio di una società in decadenza, senza ideali, senza motivazioni, senza risorse e senza cultura. Ci sarà pure qualcuno che l’ha voluta ridurre così?

Spesso c’è venuto fatto di parlare del padrone che vi manovra. Di qualcuno che ha tagliato la scuola su misura vostra. Esiste? Sarà un gruppetto di uomini intorno a un tavolo con in mano le fila di tutto: banche, industrie, partiti, stampe, mode” (Don Milani, Lettera a una professoressa, 1967). Diabolico, forse, è stato accettare, sostenere e, talvolta, difendere le logiche e le giustificazioni di quel “gruppetto di uomini intorno a un tavolo” per contiguità partitica, per simpatia, per fede o solo per vigliaccheria. Però, è confortante, ora, prenderne atto: sta riemergendo, di nuovo, la speranza che qualcosa possa cambiare, nella società come nella scuola! Ed insieme sta riprendendo quota la voglia di reinveistire nell’arma formidabile dell’istruzione (in struere= costruire su).

Nei corridoi e nelle sale delle scuole continuano, però, le litanie contrapposte: “Preside, ci sono molti ragazzi non hanno ancora i libri, non studiano, non capiscono, rallentano l’apprendimento dei pochi bravi, necessitano di immediati provvedimenti punitivi, non mi lasciano finire il programma…”. E subito un altro coro rincara: “Preside, sono disoccupato, se avessi i soldi non comprerei i libri a mio figlio? Preside, abbiamo uno sfratto in corso; mio figlio non vuole più venire a scuola, perché si sente respinto, non si sente accettato, gli hanno già detto che sarà bocciato”.

Credo che la scuola potrebbe fare moltissimi progressi se cercasse i modi per aiutare gli studenti a realizzare il loro potenziale invece di etichettarli quando non lo fanno”? (Carol Dweck, 2000). Non fosse altro che per questo, perciò, che è assolutamente necessario che le nuove politiche scolastiche, siano molto meno aziendalistiche e si sforzino di dare, invece, un senso concreto a parole come istruzione, educazione, formazione. Un impegno, insomma, teso a costruire una scuola, che cerchi seriamente di eliminare gli errori (tempi, spazi, strutture, programmi, metodi e conoscenze inadeguati, individualismi) e smetta di condannare unicamente gli erranti (gli alunni che perde e/o boccia).