SCUOLA

Una proposta (fattibile) per uscire
dalla "trappola" delle classi

Sergio Bianchini il Sussidiario 11.11.2011

Un marziano giunto a Milano nei giorni delle polemiche sulla scuola elementare di Via Paravia si sarebbe chiesto come mai un Ministro debba occuparsi dell’autorizzazione alla costituzione o meno di una classe, in una scuola elementare a 600 Km da Roma. La cosa è veramente paradossale in un sistema scolastico che ama definirsi flessibile e dove con enfasi si parla di autonomia delle istituzioni scolastiche protetta persino dalla Costituzione. Ma, come al solito, si potrebbe dire che dietro tutte le fumisterie incomprensibili ai più c’è sempre il problema della spesa pubblica e del numero di impiegati statali. Ormai lo Stato non ce la fa più e deve dimagrire ma il PSP (partito della spesa pubblica) opera implacabilmente.

Per fare chiarezza su tutta la questione dobbiamo entrare più a fondo nel merito dell’assegnazione del personale alle scuole ed esprimere qualche indicazione che speriamo il ministero non snobbi. Nel sistema della dotazione organica, cioè del personale, docente e non, assegnato ogni anno ad ogni singola scuola statale, il numero dei docenti è commisurato non al numero degli alunni iscritti, bensì al numero delle classi autorizzate. Per questo il pressing delle scuole per avere più personale si posiziona nella fase dell’autorizzazione delle classi, dove pesano i fattori degli alunni disabili presenti, della grandezza dei locali, della dislocazione della scuola se in città o in luoghi impervi come le montagne o le isole, e della qualità media dell’utenza della scuola. E così, nella fase di richiesta ed autorizzazione delle classi che generalmente si svolge a marzo di ogni anno, tutte le eccezioni alla storica regola aurea dei 25 alunni per classe vengono esposte, valutate ed accolte o meno. Queste eccezioni hanno sempre pesato moltissimo ed infatti il ministero tenta invano da anni di elevare a 22 alunni per classe (valore medio europeo) il valore medio della composizione delle classi.

Tutto ciò comporta innumerevoli ingiustizie, storture ed anche peggio. Oggi due scuole con lo stesso numero di classi possono avere un numero di alunni molto diverso perché il numero di alunni per classe può variare da 14 a 30. In situazioni limite il numero di alunni può scendere fino a 10 alunni, ed anche meno nel caso di circostanze più particolari.

Nelle scuole elementari e medie sull’organico assegnato pesa, oltre al numero delle classi autorizzate, anche la scelta di tempo scuola operata dai genitori. Alle elementari l’offerta teorica dovrebbe comprendere la formula delle 24 ore settimanali, delle 27 ore, delle 30 ore e delle 30 ore più 10 di intervallo mensa cioè la formula del tempo pieno. E’ facile immaginare quale pressing venga attuato impropriamente sui genitori dalle presidenze e dai docenti per indurli a scegliere il tempo pieno ed anche quali trucchi vengano spesso usati in questa direzione. La formula delle 24 ore settimanali non viene nemmeno illustrata nelle riunioni scolastiche. Chiaramente il costo in docenza del tempo pieno è quasi doppio di quello del tempo minimo.

Se in una scuola alcuni genitori (ad esempio 13) chiedono il tempo minimo o medio (27 ore) si risponde che il numero non basta a formare una classe e quindi si obbliga alla scelta massima. Ma se anche il numero supera la soglia fatidica dei 14 alunni ed è ad esempio 17, si dice che fare una classe così piccola obbligherebbe a fare le altre molto grandi perché il numero totale di classi autorizzate prescinde dal tempo scuola.

E’ chiaro quindi che per evitare distorsioni del “mercato” bisognerebbe assegnare la docenza alle scuole in base al numero di alunni e consentire la formazione di classi a tempo misto, formula scaturita ai tempi della riforma Moratti e poi azzerata. Ciò farebbe chiarezza anche sul volume del curricolo fondamentale e sulla corretta applicazione dell’insegnamento dei programmi. Con 24 ore settimanali obbligatorie trattate a classe intera ed un opzionale individuale e non di classe, ci allineeremmo al tempo scuola europeo che si aggira mediamente intorno alle 800 ore annue contro le nostre 1000.

L’assegnazione del personale potrebbe essere calcolata sul tempo settimanale minimo ed ampliata ad esempio di un 30-40-50 per cento (cosa possibile senza aumento della spesa), lasciando le scuole libere di articolare in maniera discrezionale l’offerta formativa mediante la specifica e mutevole composizione tra il lavoro obbligatorio a classe intera e quello mirato (non obbligatorio) per gruppi o individui, comprendente sia il recupero che l’integrativo ed anche l’intrattenimento dei figli di mamme lavoratrici. Un margine ulteriore potrebbe essere lasciato alle autorità scolastiche provinciali o regionali per aderire ulteriormente alle particolarità o alle vicende del territorio.

Si consentirebbe così una totale certezza delle risorse, si metterebbero le scuole in grado di fare una effettiva libera e flessible gestione delle risorse stesse basata sulle esigenze della didattica, degli alunni e delle famiglie e non sulle finzioni e sulle sceneggiate finalizzate a creare posti e assunzioni abusive. Inoltre si potrebbe attuare una vera collaborazione tra comuni e Stato in situazioni in cui il criterio statale attuale non consenta la classe, ma il comune sia disposto a contribuire in parte al costo del personale pur di conservare una scuola importante per motivazioni territoriali e sociali. Ad esempio, una frazione di 900 abitanti con 9 alunni di prima elementare in una località particolarmente cara alla comunità potrebbe cumulare il contributo statale tarato sui 9 alunni con risorse proprie, a quel punto non eccessive se si calcola che un alunno costa allo stato 6-7-8 mila euro l’anno.

Stiamo parlando di semplici misure di tipo amministrativo che non incidono sull’ordinamento scolastico, ma che darebbero alle scuole i margini necessari per accrescere sia la creatività che la sincerità e la responsabilità.