SCUOLA

Il mito dell’eccellenza:
corsa verso la felicità o verso il nulla?

Anna Alemani, il Sussidiario 3.3.2011

Qualche giorno fa, nella palestra di un liceo del quartiere (Paulus Hook, Jersey City, NJ), ho assistito alla proiezione di Race to Nowhere (“Corsa verso il nulla”), un documentario su un aspetto molto dibattuto dell’attuale sistema scolastico degli Stati Uniti: la crescente pressione a cui gli studenti sono sottoposti per raggiungere l’eccellenza - accademica ma non solo. Race to Nowhere si concentra sul caso degli adolescenti che frequentano il liceo, ma la corsa inizia fin da piccoli: l’intero sistema scolastico pubblico si sta trasformando in un meccanismo per formare e selezionare gli studenti migliori, quelli destinati a vincere la competizione con i loro coetanei ed entrare nelle università più prestigiose d’America, accedere alle professioni più ambite, guadagnare il più possibile e poter finalmente vivere contenti.

Vicki H. Abeles, per la prima volta regista, punta il dito contro programmi pubblici come No Child left Behind (Nessun bambino lasciato indietro) dell’amministrazione Bush e Race to the Top (Corsa verso il massimo), la principale iniziativa dedicata all’educazione del presidente Obama. Questi programmi hanno basato la riforma del sistema scolastico sull’introduzione di rigidi criteri di selezione per gli insegnanti e standard accademici per gli studenti. La riforma ha inoltre incoraggiato la competizione tra gli istituti scolastici, dato che i fondi erogati dal governo federale ai singoli Stati dipendono direttamente dal raggiungimento di questi standard, e quindi dai risultati dei test su determinate materie a cui sono sottoposti gli studenti a vari livelli.

Fondata sulla convinzione che l’introduzione d’obiettivi quantificabili a livello d’apprendimento contribuisca a migliorare i risultati individuali, la riforma ha causato uno spostamento dell’attenzione degli studenti da “imparare” a “imparare a fare i test” e da “prepararsi per l’università” a prepararsi per “presentarsi bene” all’università. La competizione per entrare in un college Ivy League (le otto università più famose del Nord Est degli Usa: Brown, Columbia, Cornell, Dartmouth, Harvard, Princeton, University of Pennsylvania e Yale, ndr) è spietata e non basta avere il massimo dei voti in classe, bisogna anche riuscire negli sport, partecipare ad attività culturali, fare volontariato, etc. Molti adolescenti finiscono per cercare scorciatoie, come copiare nei test o usare farmaci che potenziano la performance.

Lei stessa madre di tre figli, Abeles è particolarmente preoccupata per gli effetti immediati di questo processo d’indottrinamento di massa: stress, anoressia, depressione e un crescente tasso di suicidi fra gli adolescenti. Tuttavia sono messe in evidenza anche alcune delle conseguenze indirette: per rendere il massimo nei test gli studenti tendono a memorizzare passivamente quello che sanno verrà chiesto nell’esame, invece che imparare ciò che è necessario imparare per diventare bravi professionisti. Questi test a risposta multipla si concentrano infatti su criteri misurabili come capacità linguistiche e matematiche, mentre altre conoscenze umanistiche sono considerate inutili persino per essere valutate. È tuttavia evidente che capacità tecniche non bastano a formare manager, innovatori, pensatori e imprenditori. Inoltre è ragionevole chiedersi se studenti che non sono motivati dalla curiosità, dalla passione e soddisfazione personale non finiranno per cercare scorciatoie o agire poco eticamente anche nella loro vita professionale.

A parte l’enfasi posta sul fatto che la tensione compromette la salute fisica e mentale degli adolescenti, una conclusione interessante del film è che spesso il motivo che spinge questi ragazzi a partecipare alla corsa è il loro desiderio di uniformarsi, essere accettati e soddisfare le attese di altri, prima di tutto dei loro genitori. Come se il desiderio di riuscire a scuola fosse fatto proprio, ma non coincidesse col loro vero desiderio. In questo scenario nemmeno gli insegnanti offrono una soluzione, valutati e pagati loro stessi sulla base dei risultati di questi test. E anzi molti insegnati qualificati abbandonano il sistema pubblico, scoraggiati e demotivati.

Race to Nowhere dà una descrizione vivida e realistica della realtà, ma non fornisce una risposta soddisfacente alla questione posta e a tratti suona più come un lamento.

Chiunque abbia sperimentato il processo d’ammissione al college negli Stati Uniti sa che può essere stressante: devi scrivere su te stesso e le tue motivazioni, presentare lettere di raccomandazione, sostenere test attitudinali e colloqui personali. Le scuole cercano di selezionare i candidati più forti, coloro che con il loro successo contribuiranno ad accrescere la reputazione della scuola, e per far questo utilizzano criteri semplici e superficiali che garantiscono, se non la certezza, almeno la maggior probabilità di scegliere i migliori. È darwinismo, almeno nella sua versione più semplicistica, applicato all’educazione: si promuove una selezione naturale delle caratteristiche che accrescono la capacità di competere di un individuo.

L’obiettivo è quello di minimizzare il rischio del processo: rischio di selezionare uno studente destinato a fallire, rischio di insegnare ciò che si rivelerà inutile, rischio di incoraggiare comportamenti non conformi. Eppure, selezionando e promuovendo solo gli studenti considerati “migliori” sulla base di questi criteri misurabili, vengono trascurati quelli che hanno altre capacità utili ma non facilmente misurabili. Eliminando il rischio sacrifichiamo cioè anche un ricavo potenziale. “Le nature devianti - spiega Nietzsche in Umano troppo Umano - sono della massima importanza ovunque debba prodursi un progresso... le nature più forti conservano il tipo, quelle più deboli contribuiscono a farlo evolvere”.

L’educazione di per sé è fatta di una proposta libera di genitori, educatori o insegnanti ai loro ragazzi. È la libertà compresa in questa proposta che permette di distinguere una pressione positiva da una pressione negativa. Ciò che rende la pressione negativa è l’uso incondizionato di standard e teorie per valutare il progresso e l’apprendimento individuale. Questo confronto continuo con lo standard è controproducente, perché la realtà non coinciderà mai con l’astrazione.

La stessa tensione può essere positiva se si riparte dal desiderio di conoscere e imparare con cui siamo nati tutti, fornendo agli studenti i mezzi per seguire questa naturale inclinazione. Accanto a questi metodi di riforma, bisognerebbe utilizzare approcci più aperti e individuali, che pongano l’attenzione sull’ unicità di ogni singolo studente e sulla sua motivazione, lasciando liberi di esplorare, rischiare, sbagliare e correggersi invece che costretti ad aderire, imitare o compiacere. Soprattutto c’è bisogno di insegnanti esperti e dotati di libertà di curriculum, messi nella condizione di poter richiamare i propri studenti a questa curiosità originale e motivarli senza creare pressione.

Ma è estremamente difficile mantenere questo positivo, e certo è molto più semplice attaccarsi allo standard, soprattutto con i propri figli, perché questo positivo implica una libertà e la libertà implica un rischio e il rischio fa paura. Mi sembra che gli adolescenti di Race to Nowhere siano giovani che hanno perso la sicurezza in se stessi. E così i loro genitori. Mi sembra che gli Stati Uniti come popolo abbiano perso la sicurezza nelle proprie capacità nella competizione con popoli più affamati e motivati, come quelli di Cina o India. Forse apparteniamo a popoli troppo viziati e abbiamo dimenticato cosa ci motiva, cosa ci fa muovere. La motivazione non nasce da cosa “devi” fare ma da cosa “vuoi” fare.

Anziché ridurre i programmi, eliminare i voti o non dare più compiti (come il film propone), la questione della pressione della corsa potrebbe diventare tensione verso la propria soddisfazione se si sviluppasse la consapevolezza della propria motivazione e si ripartisse dal proprio desiderio. I genitori dovrebbero anche cominciare a dare fiducia ai propri figli, considerando gli adolescenti responsabili e competenti del proprio desiderio. Riuscire bene a scuola sarebbe allora visto come espressione del e non in opposizione al proprio desiderio di soddisfazione. Per dirla in due parole: non devi per forza desiderare di andare all’università per essere contento. Ma se lo desideri, questo è quello che la realtà ti chiede di fare.

In I problemi dei bambini la psicanalista francese Francoise Dolto’ dice “L’obiettivo è l’uscita da un oscurantismo latente che cresce a grandi passi per quanto riguarda l’educazione dei giovani... sono allevati in modo intelligente solo i bambini cresciuti nella fiducia dei genitori. Genitori che si impegnano a guidarne e sostenerne il desiderio nei limiti del possibile. Accettano che il desiderio si manifesti. I bambini hanno fiducia nei genitori rispettosi del proprio accesso all’autonomia che incoraggiano, confidando nella fiducia dei figli in se stessi. L’avvenire di una popolazione è rappresentato dalla sua gioventù”.