E' la scuola di tutti
che deve togliere il disturbo?

 dal MCE, marzo 2011

Dopo essere stato defraudato di cultura e di diritti, l’intero sistema formativo italiano subisce l’ennesimo tentativo di svuotamento di senso e di asservimento al sistema del mercato: ribaltando il significato della pedagogia popolare e democratica si attribuisce ad essa la responsabilità dei fallimenti formativi della scuola, omettendo colpevolmente i tagli di risorse, personale e tempo, che assottigliano inesorabilmente le possibilità per il successo formativo.

Si eliminano le condizioni che rendono possibile l’apprendimento per tutti e strumentalmente si sposta il problema sui contenuti. Si calpesta la possibilità di aumentare la qualità dell’offerta formativa attraverso la formazione dei docenti, relegata al puro volontariato, facendo ricadere su di loro la completa responsabilità delle disfunzioni.

Come e cosa fare a scuola diventa improvvisamente un problema centrale e il dibattito viene generato dalle profonde teorie di due pedagogisti di chiara fama internazionale: Silvio Berlusconi e Paola Mastrocola.

Ci sarebbe piaciuto che a parlare di scuola fossero gli addetti ai lavori, non un imprenditore/politico e un’autrice di libri che tenta di vendere il suo ultimo prodotto cavalcando banali luoghi comuni. Ma alle persone di scuola - quelle che si misurano quotidianamente con la fatica di scommettere su ciascun alunno nonostante l’assenza quasi totale di mezzi e strumenti - non è facile avere l’attenzione mediatica. Al nostro Primo Ministro non basta aver distrutto la scuola pubblica, vuole danzare sulle macerie propugnando “libertà di scelta” che per lui coincide con l’imposizione ai figli delle ideologie e delle confessioni dei padri, che definisce “possibilità di educare i propri figli liberamente, e liberamente vuol dire non essere costretti a mandarli in una scuola di Stato, dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare principi che sono il contrario di quelli dei genitori”. I figli, nel pensiero del pedagogista Berlusconi, sono proprietà dei genitori, che possono sceglierne destini e futuro. E gli insegnanti che operano pensando di affiancare i bambini nel difficile compito di costruirsi persona secondo i principi della nostra Costituzione - sarebbero coloro i quali propongono disvalori rispetto ai loro genitori.

Certo, per chi ha come unico obiettivo la “democratizzazione” del consumo, l’efficienza della scuola non può che essere tesa al solo profitto, secondo una strategia che riproduce denaro, potere e controllo per pochi, dando luogo ad un vuoto di valori identificativi. Una scuola formativa va contro questa logica, non “produce” persone in grado di entrare nel sistema produttivo per perpetuarlo acriticamente. Quello che proprio non piace al nostro Presidente del Consiglio è la consapevolezza che ogni azione didattica è permeata e guidata dai valori e dalle convinzioni degli insegnanti. Come direbbe Paulo Freire, “è inutile negare il valore politico di ogni atto educativo e il valore educativo di ogni atto politico”. Fare educazione è fare politica, sempre. Anche e soprattutto da parte degli insegnanti che dicono di non fare politica. Il sogno di Berlusconi è quello di rendere il lavoro degli insegnanti simile a quello dei parrucchieri, limitando il loro compito alla “messa in piega” di teste, secondo le pressioni sociali del momento.

Chi non si adegua è ideologico e inculca principi contrari a quelli richiesti dai genitori degli alunni.

Ma vediamo quali principi si “inculcano” nella “scuola di Stato”: in questi giorni in una scuola primaria a Copparo (Ferrara) i corridoi, le aule della scuola sono pieni di cartelloni, giornali murali, resoconti di esperienze, storie. Spicca un bel lavoro sui fondamentali articoli della Costituzione.

Una serie di manifesti con foto delle classi della scuola dal 1906 (in occasione del centenario) ripercorrono un secolo di vita italiana, con trascrizione di interviste ad anziani insegnanti ed ex alunni, racconti di episodi gustosi come quello della bidella che incautamente, nel riempire i calamai con l’inchiostro, ne versò sul quaderno di bella copia di un alunno particolarmente diligente, che scoppiò in pianto. Ma prontamente l’insegnante, “severa” ma “giusta”, scrisse sul quaderno di quell’alunno un grande DIECI, riportando il sorriso sulle sue labbra.

Si leggono, su quelle pareti, anche storielle elaborate al computer di animali che si aiutano e cooperano fra loro. Grafici, rappresentazioni del mondo, storie interculturali, e molto altro consentono di leggere le attività svolte in quella scuola.

Nelle aule, cartelloni con le “regole di vita” della convivenza in classe.

Ecco, crediamo che sia questo che dà fastidio al pedagogista Berlusconi per un verso, e alla non ideologica prof.ssa Mastrocola per un altro: che la scuola faccia cultura, che si occupi di aspetti che loro considerano futili o inutili, improduttivi. Di qui l’attacco convergente a Rodari, a don Milani, alla metodologia dell’animazione, della creatività, al far pensare e agire, al “democraticismo” (quello che la Mastrocola si dedica a spiegare al suo cane). Tutte cose riservate ai figli di Berlusconi e di quelli come lui. Gli altri devono imparare la dura disciplina del lavoro: esercizi e apprendimenti mnemonici e saperi non saputi. La cultura, nella loro accezione, è per i potenti, e non è per tutti. Spacciano percorsi elitari come “la” cultura, ritenendo naturale una scuola con tre livelli - poveracci, ceti medi, raffinati ricconi.

La vera cultura - che è conoscenza della realtà, della diversità, della complessità – costituisce un ostacolo, un intralcio e la scuola pubblica che la promuove è scomoda per questo, deve togliere il disturbo…

No, non “toglieremo il disturbo”: come operatori di scuola saremo sempre lì, a difendere un’idea di scuola funzionale a una società libera e inclusiva, come ci dice Célestin Freinet: “Moralmente, abbiamo il diritto di insegnare la libertà a chi forse sarà condannato a obbedire servilmente per tutta la vita? Non calcolate così la vostra economia pedagogica. Seguite la natura. Il sole brilla, forse non sarà che per un istante, approfittatene. La notte verrà sempre troppo presto. L'educatore non è un forgiatore di catene, ma un dispensatore di alimenti e di luce”.