In difesa della scuola pubblica Sergio Belardinelli e Giorgio Israel, dal blog di Giorgio Israel, 1.3.2011 Vogliamo spiegare perché l’attacco rivolto da Silvio Berlusconi alla scuola pubblica sia stato un grave errore. In primo luogo, come trascurare il fatto che la scuola pubblica rappresenta la quasi totalità del sistema dell’istruzione? Anche se il sistema privato si sviluppasse rapidamente, qualsiasi governo dovrà misurarsi col sistema pubblico per chissà quanto tempo ancora. L’Italia non può mettere in mora la scuola (come l’università) statale, da cui dipende quasi tutta la formazione, senza autosospendersi a tempo indeterminato dal novero delle nazioni avanzate. Attaccare la scuola pubblica in quanto tale è come prendersela con carabinieri e polizia. Peraltro, è stato il governo, nella persona del ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini, a promuovere il tentativo di migliorare la scuola pubblica attraverso una serie di provvedimenti e non di demolirla, come ha sostenuto parte dell’opposizione, che trova paradossalmente conferma alle sue tesi nelle parole di Berlusconi. Chi, come noi, si è impegnato a fondo nella riforma della formazione degli insegnanti e nella stesura delle nuove Indicazioni nazionali per i licei, lo ha fatto con convinzione profonda e nell’intento di migliorare il sistema pubblico dell’istruzione. È deprimente pensare di aver fatto un inutile intervento su un corpo condannato. Nel nostro lavoro, abbiamo trovato conferma di quel che sapevamo, e cioè che la scuola italiana è ancora piena di energie vitali, di entusiasmi, di cultura, di capacità, che sono un lievito che può permetterle di risollevarsi. Non è vero che «gli insegnanti della scuola pubblica inculcano agli studenti valori diversi da quelli delle famiglie». In un contesto tanto vasto e complesso vi è di tutto: vi è chi inculca valori distruttivi ma anche chi inculca valori migliori di quelli su cui vivono certe famiglie. È un tragico errore lanciare il messaggio che “gli” insegnanti e la scuola meritino solo di essere rottamati. È sbagliato, ingiusto e autodistruttivo, perché umilia energie positive consegnandole a posizioni meramente protestatarie. Oltretutto non crediamo che un attacco alla scuola pubblica in quanto tale interessi i fautori del sistema privato – salvo il sacrosanto richiamo alla parità scolastica – né i fautori della scuola religiosa. Non dimentichiamo che il mondo cattolico vede nella scuola pubblica un luogo decisivo per vincere la sfida educativa. Occorrerebbe piuttosto fare un discorso critico su ciò che nel passato trentennio ha massacrato la scuola pubblica: le responsabilità di quelle forze politiche che l’hanno trasformata in un ammortizzatore sociale, la mano morta dei sindacati che hanno preteso di farne una proprietà esclusiva, il predominio di un pedagogismo costruttivista che l’ha usata spregiudicatamente come terreno di sperimentazione delle sue sgangherate dottrine. Sono mali che si sono perpetuati in modo bipartisan e che per il terzo aspetto hanno afflitto anche le scuole private. L’azione governativa in questi ultimi anni ha per la prima volta positivamente iniziato a correggere questi mali. È un’opera di lunga lena che non andrebbe abbandonata. Invece, ci preoccupa, e molto, una caduta di tensione che vede il riemergere del costruttivismo pedagogico, anche nelle forme di una visione aziendalistica della scuola insensibile ai valori della conoscenza e che predica insensatamente che non conta quel che si conosce ma soltanto il metodo. Non è da sorprendersi che le forze che hanno degradato una delle migliori scuole del mondo tornino alla controffensiva, ma il messaggio che la scuola pubblica è da buttar via può suscitare una reazione difensiva dietro la quale può mascherarsi il riemergere di quelle forze distruttive.
Non è bene lanciare messaggi che
provocano delusione e scoraggiamento in chi si è battuto e si batte
per salvare il sistema italiano dell’istruzione. |