Nell'inferno della "tecnodidattica"
la lezione si valuta con un click

 dal blog di Giorgio Israel, 22.3.2011

Alcuni giorni fa un ricercatore universitario mi ha trasmesso un messaggio a lui inviato da una società informatica che si occupa di “tecnodidattica”, e di cui ometto il nome per non farne una questione personale, poiché da un esame sommario si può constatare che il problema è (purtroppo) generale. Nel messaggio si propone un sistema informatico per la valutazione automatica e “oggettiva” (e dalli…) del “livello di apprendimento degli studenti” direttamente in classe durante la lezione. Ecco alcuni passaggi:

«Gentilissimo professore, da tempo si parla di qualità della formazione ed in generale della qualità delle Università in Europa ed in Italia. Ciò che viene chiesto in maniera insistente è la valutazione continua dell’apprendimento del discente. In un’aula colma di studenti capire nel giro di pochi secondi se la platea ha compreso l’argomento svolto per un docente non è cosa facile. Il tutto può essere realizzato solo con l’ausilio di sistemi automatici di verifica, dove al semplice click di un telecomando, di cui ogni studente è dotato, si può verificare la comprensione dell’argomento trattato. Su questo principio si basa il funzionamento di risponditori che con la sicurezza del segnale di radio frequenza (non ad infrarossi, la cui portata è molto breve), riesce a testare il livello di apprendimento dell’aula. Durante la fruizione del test il docente non è costretto a rimanere vicino al suo PC per gestire l’avanzamento delle domande visualizzate sul proiettore, perché può far uso di una tavoletta wireless. […] In questa maniera si rende standardizzata la metodologia di verifica su ogni sede, lasciando all’utente una sicura immagine di oggettività nella fruizione del test, anche dal punto di vista formale».

Il mio corrispondente osserva che, in tal modo, si è disceso un ulteriore gradino della scala che porta all’inferno della valutazione “standard”, “oggettiva”, “esatta”.

Mi pare piuttosto che si sono discesi tutti i gradini che portano al sottoscala della cialtroneria e dell’abbrutimento culturale. Chi ha avuto un’idea simile ha un’idea dell’“apprendimento” degna di un allevamento di polli in batteria. Se si tratta di verificare che 7 per 4 fa 28, può anche andare. Ma, altra cosa è verificare il livello di comprensione dei versi della Divina Commedia: «L’amore di Colui che tutto move, per l’universo penetra e risplende, in una parte più e meno altrove». In tal caso i livelli di comprensione sono innumerevoli, da quello banalmente testuale a quelli che coinvolgono astronomia e teologia. Lo stesso dicasi per le equazioni di Maxwell, che uno può tornare ad approfondire per il resto della vita. Poiché si presume che la “verifica” avvenga cliccando una serie di test, ne consegue che l’insegnamento, per essere tecno-verificabile, deve essere standardizzato entro un sistema di formulette di fronte alle quali il peggiore nozionismo fa la figura della creatività più sfrenata.

Inutile dire, poi, quale farsa diventi una classe del genere, in cui l’insegnante spara sentenze e domande a pillole, gli studenti cliccano e lui controlla girando “liberamente” tra i banchi con il tablet in mano. Davvero un ambiente altamente “riflessivo”, adatto alla concentrazione e ai pensieri più profondi…

Non riesco a ricordare chi osservò che il mondo della tecnologia ha aspetti irresistibilmente comici. In effetti, il nostro scenario tecno-didattico è di una comicità degna di una sequenza di Hollywood Party. Pur di osservarlo dall’esterno, però. Altrimenti, ha ragione il mio corrispondente a dire che starci dentro equivale a scendere in un inferno, e neppure animato come quello di Dante.