La lettera

Chi ha ucciso il tema in classe
è il vero nemico della scuola

Mastrocola: «Errore enorme svalutare la letteratura».
Replica della scrittrice alle accuse dell'ex ministro Tullio De Mauro

Paola Mastrocola Il Corriere della Sera, 16.5.2011

Caro Direttore,
leggo sul «Corriere della Sera» di ieri, nell'articolo di Dino Messina, che Tullio De Mauro al Salone del libro mi attacca dicendo che sbaglio a criticare, nel mio ultimo libro, la scuola pubblica, ricordando che così fanno anche Berlusconi e alcuni ministri di questo governo. Che colpo basso!

Insegno in un liceo di Stato, e ho firmato l'appello per la scuola pubblica promosso da «Repubblica» proprio contro le parole di Berlusconi; ho scritto Togliamo il disturbo proprio perché tengo alla scuola pubblica e mi fa pena vederla ridotta così: criticarla, anche duramente, mi sembra il primo onesto e doveroso passo in sua difesa, per cambiarla, visto che non funziona. Difenderla invece a oltranza e in modo astratto, difenderla soltanto in quanto pubblica e come tale meritevole di per sé mi sembra il peggior servizio che le si possa fare. Che la difendano, poi, coloro che molto hanno contribuito al degrado culturale ora in atto mi pare veramente troppo.

Ricordo che negli anni Sessanta-Settanta De Mauro, e altri linguisti e pedagogisti, hanno molto favorito, in nome di un primato del presente, una forte svalutazione della letteratura in quanto cosa del passato, nonché residuo di un crocianesimo da combattere. Oggi, poi, un'idea per me deleteria di scuola ha vinto e ci governa da una dozzina d'anni, cioè proprio dagli anni della micidiale coppia di ministri Berlinguer-De Mauro. Sono loro che, secondo me e secondo tanti docenti, hanno inferto un ulteriore colpo all'insegnamento, dando il via a un'idea di scuola utilitaristica, subordinata al mondo della produzione e del consumo, a un'idea di sapere solo strumentale e piattamente, immediatamente «spendibile» sul mercato e nella vita di tutti i giorni. Sono state queste idee (non certo il mio libro!) a svalutare e mortificare la scuola pubblica, facendo trionfare il «saper fare» sul sapere astratto e disinteressato proprio di una formazione culturale. Peccato!

Letteratura vuol dire lettura di libri, trasmissione dei grandi classici che hanno fatto la nostra storia e ci hanno per millenni arricchito delle loro idee: era lo strumento più alto che avevamo, noi insegnanti di lettere, per alzare il livello culturale dei nostri ragazzi! Era lo strumento più democratico del mondo perché, proprio arrivando a quell'altezza, potevamo con la scuola ancora dare una chance di crescita a chi veniva da famiglie senza libri e tradizione di studio. Invece De Mauro ha spazzato via la scrittura del tema, dicendoci di insegnare ai ragazzi a scrivere un verbale!

Se oggi i nostri ragazzi non sanno più leggere e scrivere, se non sanno organizzare i loro pensieri, è anche perché abbiamo creduto più ai verbali che ai grandi libri della letteratura. De Mauro è il primo che dovrebbe interrogarsi sul degrado degli ultimi dieci anni, a partire ad esempio dall'idea berlingueriana del «diritto al successo formativo»: è in nome di questa malintesa democraticità del sapere che la scuola ha abbassato così tanto l'asticella; voleva alzare i numeri degli istruiti, e così ha abbassato l'istruzione, a un livello tale che adesso moltissimi ragazzi che s'iscrivono al liceo e poi all'università sono costretti ad abbandonare gli studi perché la loro preparazione è drammaticamente inadeguata. Abbiamo oggi una dispersione post-obbligo altissima, che non è più dovuta alla povertà economica delle famiglie, ma ai danni cognitivi che noi abbiamo provocato alle menti dei giovani con una scuola dell'obbligo che non prepara più a niente, e con una scuola superiore che su quelle fragili basi è costretta a lavorare.

Tullio De Mauro d'altronde pensa che l'idea classica di insegnamento - quella cioè che si fonda sull'insegnante che fa lezione e l'allievo che ascolta la lezione, prende appunti, studia a casa e poi viene interrogato - sia un mero e ignobile riversare nozioni in un imbuto: l'allievo sarebbe un imbuto, e il suo insegnante un miserabile «depositario di sapere» (così dalle parole che riserva al mio libro prendendone in esame, peraltro, una sola frase, su «Internazionale» del 29 aprile). Ma che cos'altro dovrebbe essere un insegnante se non un depositario del sapere, cioè una persona che ha studiato e umilmente ogni giorno cerca con passione, e contro tutto il mondo esterno che lo ostacola!, di passare quel che ha studiato e ama ai suoi allievi, e che molto si dispiace se questi poi non studiano? Anche ripetere la lezione, anche studiare a memoria serve, anzi, aiuterebbe a ripristinare quelle capacità di organizzazione logica che i nostri ragazzi oggi - dopo una scuola tanto democratica! - sembrano aver perso.

Mi chiedo quale scuola stia difendendo oggi il professor De Mauro. Ma di una cosa sono certa: la scuola che difende lui non è quella che voglio io, è una scuola che lascia desolatamente massa la massa, non la innalza e non la promuove (per di più dicendo, invece, di volerlo fare...). Su questo, forse sarebbe il caso che la sinistra cominciasse a riflettere.