Formazione docenti
fra conferme e rotture

di Calogero Virzì La Tecnica della Scuola, 23.5.2011

Dopo un blocco triennale delle Ssis si affaccia all’orizzonte, incompleto, ma discretamente definito il nuovo sistema per diventare insegnanti.

Il nuovo regolamento definisce la formazione dei docenti della scuola dell’infanzia, della primaria e della secondaria di primo grado in modo esaustivo. Per la scuola secondaria di secondo grado e per l’alta formazione artistica, musicale e coreutica bisogna attendere nuovi decreti ministeriali che definiranno le tabelle contenenti i requisiti per l’accesso alla prova e la confluenza delle classi di concorso.

Definire la confluenza delle classi di concorso non è impresa semplice, né indolore. Sono in gioco i posti di lavoro nella scuola, ma anche i destini di molte cattedre universitarie. Dire che un abilitato in filosofia possa insegnare anche lettere non è cosa indifferente né per chi rischia di perdere il posto e neppure per gli alunni che dovranno accettare un insegnante non specialista della materia. Sul fronte dell’Università l’accorpamento delle classi di concorso e l’allargamento delle aree avranno ripercussioni sull’ordinamento delle cattedre universitarie. Si capisce perché il decreto con le nuove tabelle non è ancora pronto e c’è motivo di temere anche un inevitabile ulteriore ritardo sulla base delle straordinarie spinte e controspinte che le diverse lobby produrranno.

Il nuovo regolamento attinge dalle Ssis gran parte della sua linfa. Diversi sono gli elementi di continuità, ma anche le discontinuità sono numerose e a volte preoccupanti per i loro evidenti effetti negativi.

C’è sostanziale continuità nella definizione degli obiettivi della formazione iniziale dei docenti. Il modello di insegnante che si vuole formare è lo stesso, identiche sono, sostanzialmente, le competenze richieste: disciplinari, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionali. Manca solo il richiamo alla competenza nella ricerca didattica presente nel modello Ssis.

C’è continuità nell’assenza di costi nuovi per lo Stato. Ieri come oggi per diventare insegnanti ogni disoccupato ha dovuto e deve finanziare con denaro proprio i corsi che doveva o dovrà frequentare.

C’è continuità nelle condizioni di accesso. Sia il modello Ssis che il nuovo regolamento prevedono lo sbarramento all’ingresso. Finora il rapporto fra i candidati e gli ammessi è stato attorno a 1 a 5. Nell’ateneo di Catania (i dati degli altri atenei sono sostanzialmente omogenei) ogni anno abbiamo avuto da 2.500 a 3.000 candidati per circa 500 posti. A livello nazionale per 11 mila posti si sono presentati annualmente oltre 55 mila aspiranti. La selezione all’ingresso è stata massiccia: 11 mila ammessi e 44 mila bocciati. Tutto questo però porta ad un’amara constatazione. Dopo tre anni di blocco (speriamo che non diventino quattro) la fase transitoria coinvolgerà oltre 150 mila aspiranti. Il Ministro, in conferenza stampa, ha indicato la cifra di 600 mila non abilitati iscritti nelle graduatorie di istituto per le supplenze e quindi interessati ad usufruire della fase transitoria. Di quali strutture e di quali competenze dispone l’Università dopo la destrutturazione delle Ssis per fronteggiare un fenomeno di tali proporzioni? Ma ancora: esisterà una fase transitoria? Se i percorsi verranno autorizzati dal Ministro sulla base del fabbisogno delle scuole, definito a livello regionale e con proiezione triennale, non bisognerà aspettare l’esaurimento delle attuali graduatorie prima di indire nuove abilitazioni?

C’è parziale continuità nella definizione del sapere e del sapere insegnare. Le Ssis, per la prima volta in Italia, hanno imposto nella formazione iniziale dei docenti di scuola secondaria l’obbligo del tirocinio. Fino all’anno 2000 per il Ministero dell’Istruzione bastava sapere per sapere insegnare. Con l’avvento delle Ssis tutto è cambiato: l’aspirante docente ascoltava all’Università le teorie didattiche, effettuava subito dopo una verifica in laboratorio, andava in classe ove verificava il modello adottato dal docente titolare e sperimentava direttamente con gli alunni il modello che si era costruito; infine tornava dal docente universitario per ridiscutere l’intero percorso alla luce dell’esperienza diretta e della riflessione condotta con l’aiuto di un supervisore. Questa dimensione ricorsiva rendeva il tirocinio centrale nella formazione del docente. L’attuale modello conferma tale obbligo sul piano formale, ma sostanzialmente scorpora il tirocinio da tutto il resto, lo priva della sua relazione sistemica con il resto del processo formativo, penalizza la valenza metacognitiva, lo priva delle sue principali potenzialità professionalizzanti, ne confina il ruolo alla dimensione addestrativa.

Non c’è continuità nella scelta del docente chiamato a partecipare alla formazione iniziale per conto della scuola secondaria. Con le Ssis la scelta del supervisore del tirocinio è avvenuta tramite concorso universitario (scritto ed orale), con l’attuale modello il docente tutor è scelto dal capo di istituto.

Non c’è continuità nella definizione del soggetto chiamato a gestire i nuovi percorsi formativi. Nelle vecchie Ssis, in genere, la scuola era presente negli organismi di gestione. Con tale presenza l’istituzione scolastica, ovvero il vero committente della formazione iniziale del docente, collaborava nella definizione e costruzione della professionalità insegnante. Nel nuovo modello i tutor scolastici sono presenti solo nella gestione del tirocinio. La formazione generale (disciplinare, pedagogico-didattica, laboratoriale) è gestita in modo esclusivo e autoreferenziale dall’Università, come se la scuola non avesse nulla da dire e da chiedere nella scelta dei saperi, delle metodologie e delle competenze necessarie per essere bravi insegnanti. Non solo. Con le Ssis la gestione era centralizzata in ogni ateneo. Ciò comportava un’evidente economia di scala. Il nuovo modello prevede ampia autonomia per ogni consiglio di corso. Il risultato sarà enorme dispendio di energie umane e materiali, difficoltà inimmaginabili nella ricerca dei docenti di scienze della formazione da parte di ogni consiglio di corso, problemi logistici insuperabili in molte facoltà già superaffollate.

Non c’è continuità nella definizione dei tempi di formazione. Con la frequenza delle Ssis si conseguivano 40 crediti in due anni. Il nuovo modello prevede 60 crediti da conseguire in un anno. E’ pura demagogia. E’ vero una legge dello Stato stabilisce che 60 crediti universitari possono essere mediamente acquisiti in un anno accademico. Tale principio è stato trasferito nella definizione del modello formativo, mettendo assieme cose profondamente diverse. I 60 crediti universitari si possono acquisire in un anno anche perché sono comprensivi delle ore di studio individuale; i 60 crediti del corso di formazione dei nuovi docenti si conseguono con la frequenza obbligatoria delle lezioni (900 ore) e con la presenza obbligatoria in classe come tirocinanti (475 ore). Calendario alla mano combinare assieme in maniera ininterrotta per tutti i giorni utili in un anno, circa 250, le diverse attività teoriche, laboratoriali e di tirocinio sarà un’impresa titanica se non impossibile.