SCUOLA
Berlinguer: precari e tirocinio, intervista di Federico Ferraù a Susanna Mantovani il Sussidiario 6.7.2011
I giovani universitari che desiderano insegnare si scontrano con una
drastica chiusura di prospettiva: è un problema grave e complicato».
Susanna Mantovani, prorettore e docente di Pedagogia nell’Università
di Milano Bicocca, ha letto su ilsussidiario.net la lettera aperta
al ministro Gelmini firmata dagli studenti del Clds. «È vero quello
che dice Berlinguer» continua Mantovani «cioè che la Gelmini ha
fatto degli sforzi importanti, ma il nodo va sciolto. La sola
ipotesi che i giovani, dai più piccoli ai più grandi, in un mondo
che cambia così rapidamente potrebbero non incontrare le generazioni
a loro più vicine, mi sembra qualcosa di assolutamente
improponibile».
È comprensibile l’aspirazione di chi è precario da molti anni, però
non si può pensare di saltare una generazione e non dare una
prospettiva ai giovani. Non solo perché in questo modo si bruciano
desideri, energie, ambizioni degli attuali studenti e futuri
docenti. Occorre cambiare prospettiva: parliamo sempre «di»
studenti, ma quasi mai ci mettiamo in condizione di capire quello
che servirebbe davvero agli studenti.
Non è solo questione di ricambio generazionale. Da una recente
ricerca che ho avuto modo di condurre sulle impressioni di 500
ragazzi che hanno frequentato un anno di scuola in Italia, emerge
che una delle cose che più li ha colpiti è la generazione degli
insegnanti. La sola ipotesi che i giovani, dai più piccoli ai più
grandi, in un mondo che cambia così rapidamente potrebbero non
incontrare le generazioni a loro più vicine, mi sembra qualcosa di
assolutamente improponibile.
Bene, perché prevede un partenariato di scuola e università che
trova nel tirocinio la chiave di volta, e permette di superare i
vizi di fondo delle due istituzioni, la scuola quello di arroccarsi
e l’università quello di guardarsi l’ombelico, cosa che riesce
sempre a fare benissimo. Gli insegnanti più esperti avrebbero un
ruolo di primo piano, e questo è molto importante per la formazione
sul campo. L’auspicio culturale è che il partenariato diventi ancora
più fluido.
Comprendo bene il principio ispiratore: non è detto che la
formazione acquisita si giochi solo nella scuola. Va detto però che
non si possono nemmeno creare migliaia di profili professionali
senza prospettive. Qui si tratta di regolare bene un punto molto
delicato. «Prendo l’abilitazione, ma non pretendo la garanzia
dell’assunzione»: d’accordo; senza contare che c’è anche una
«mortalità» professionale, quella di chi si accorge, facendo il
tirocinio, che l’insegnamento non è la sua strada. L’importante,
però, è che gli abilitati non creino come tali ulteriori diritti
acquisiti. Che è uno dei nostri grandi problemi insoluti.
Le scuole, ma con dei correttivi. Vedrei bene un sistema che
garantisse molta più possibilità di cooptazione. Non mi piace che
uno venga preso perché è più in alto nel punteggio. So che è molto
poco sindacale quello che le dico, ma preferisco un sistema
aziendale. Una scuola non può subire la scelta. Dovrebbe poter fare
una scelta ragionata, non arbitraria, ma eticamente ben fondata - un
po’ come avveniva nei concorsi universitari quando funzionavano
bene.
Sì. Non libertà totale, se no creiamo scuole in cui tutto e tutti
sono omogenei. Che in una scuola arrivi qualcuno che non è scelto
obbliga ad un confronto, è una cosa che arricchisce.
La modalità tecnica richiederebbe un’altra discussione, qui importa
intendersi sui principi, e su questi io sono molto liberale: se c’è
una cosa da copiare dalle grandi aziende è il reclutamento del
personale, che solitamente avviene in modo molto serio. Non si può
non pensare ad una selezione basata sulle attitudini, oltre che
sulle capacità. Quando abbiamo tanti casi in cui i maestri e gli
insegnanti hanno gravi problemi - non sto parlando di personale
inadatto, non arrivo a questo -, qualcosa non ha funzionato. E non
abbiamo più gli strumenti giuridici per allontanarli.
No, affatto. È una
questione di principi che hanno gradualmente perduto il loro punto
di equilibrio. Si pensa troppo al diritto della persona che educa,
occorre anche pensare alla complessità e alla delicatezza del
problema in chi l’educazione la riceve. Siamo un sistema sbilanciato
nei confronti dei diritti di chi aspira a un lavoro e che non tiene
sufficientemente presenti i diritti dell’utenza. Gli studenti hanno
bisogno di docenti di più generazioni, giovani, medi e più anziani.
Questa ricchezza è ciò di cui la scuola ha bisogno. Servirebbe un
nuovo bilanciamento, temperato per non cadere negli eccessi opposti.
Sono d’accordo. Si guarda
al numero di docenti precari da collocare e non ai giovani che
avranno quei docenti. Per mia esperienza personale e amministrativa
non credo nelle soluzioni facili, perché non ci sono; se ci sono,
non sono soluzioni, come mostra bene la lettera degli studenti. Il
reclutamento libero per esempio è qualcosa che richiede passi
graduali, non può essere un soluzione immediata. È un obiettivo; mi
piacerebbe però che fosse un obiettivo di cui si discute, facendo
anche le scelte che servono per approssimarlo. Certamente, e lo dico con grave ansia per la loro condizione. Controbilanciare i diritti acquisiti non significa negarli. Occorre vedere il problema nella sua complessità: si può risolvere il problema dei precari assumendo dalle graduatorie e chiudendo di fatto ai giovani il tirocinio abilitante, ma così facendo perdiamo il grande capitale umano dei giovani. È quello che vogliamo? |