SCUOLA
Berlinguer: precari e tirocinio, intervista di Federico Ferraù a Luigi Berlinguer il Sussidiario 4.7.2011
«Questi giovani hanno ragione. Non per un malinteso giovanilismo, ma
perché pongono alla politica una questione ineludibile: non si può
stare nel mondo senza soddisfare l’esigenza primaria di lavoro delle
nuove generazioni». A dirlo è Luigi Berlinguer, ex ministro
dell’Istruzione ed eurodeputato del Pd, commentando la lettera
aperta al Ministro Gelmini a firma Clds - Coordinamento Liste per il
Diritto allo Studio, uscita giovedì scorso su ilsussidiario.net.
Vorrei fare una considerazione preliminare. Il dato più drammatico
della crisi economica mondiale è che in tutto il mondo i giovani ne
stanno pagando il costo più alto. In Italia la disoccupazione
giovanile è al 30 percento, e nel Mezzogiorno questa cifra aumenta
della metà. Qualunque governo non può permettersi di ignorare il
problema e deve fare proposte con la massima urgenza.
Ma è l’unico modo per uscire dalla crisi. L’Europa e il mondo si
dividono in due «partiti»: i paesi che hanno investito in istruzione
e ricerca, e quelli che hanno tagliato i fondi. Germania, Finlandia
e altri paesi del Nord Europa hanno investito e vedono il Pil in
aumento pur avendo fatto severissimi tagli di risanamento
finanziario al loro bilancio. Non hanno un Tremonti che taglia
trasversalmente tutto, ma selezionano i tagli e investono nei
capitoli di spesa che sono imprescindibili. Certo bisogna volerlo
fare.
La Gelmini ha fatto sforzi sovrumani per riuscire a salvare il
salvabile, ma la linea Tremonti è di manifesta chiusura al futuro.
È vero. Una società deve
garantire il futuro a se stessa, e in questa operazione c’è un
rischio che questi giovani spiegano molto bene. Se per quindici anni
sono costretti a non potersi abilitare, perderemo il turnover per
colpa nostra e ci ritroveremo con il personale docente più anziano o
tra i più anziani d’Europa. Non possiamo permettercelo. Avere un mix
equilibrato nel corpo docente è un bene per tutti. non solo per una
ragione etica, ma anche per una ragione funzionale.
Una scuola che si rispetti
ha bisogno di una docenza con molta esperienza didattica, ma anche
con molta spinta innovativa. Avere un corpo docente misto, dal punto
di vista generazionale è essenziale, perché questo ha grandi
conseguenze culturali e formative. Non vorrei essere frainteso: non
sto dicendo che gli anziani sono conservatori mentre i giovani sono
innovativi, perché conosco giovani conservatori e anziani
innovativi. Alla scuola occorre gente di sangue nuovo.
C’è una ben precisa norma
che fin dal 1994 prevede di assumere per il 50 percento dalle
graduatorie, e per il 50 per cento da concorso. Mi pare una
soluzione intelligente e praticabile: non ignoriamola. Non ci sono
concorsi in Italia dal 1999. Chi era ministro nel ’99? Ma non voglio
fare apologia di reato. Certo è che allora di precari ce n’erano
tanti, ma questo non ha voluto dire non avere un occhio di riguardo
per questa categoria. Non tale, però, da escludere anche l’altra
parte. Dispiacerà a qualcuno quello che dico, ma sono sicuro che è
giusto.
Ci sono paesi in cui già
avviene quello che gli studenti propongono, ma per iniziare
un’attività di questo tipo in Italia bisogna essere un po’ più
cauti. Non sono contrario, ma è una cosa da fare a piccoli passi,
perché legato alla nostra realtà nazionale c’è un pericolo molto
forte. Anzi, due. Primo, quello del localismo leghista, secondo,
quello del clientelismo tipico italiano ma soprattutto dell’Italia
meridionale.
Sì, perché i leghisti
sostengono che uno che non sa il dialetto veneto, che loro chiamano
impropriamente lingua, non può insegnare in Veneto; ma questa è una
bestemmia per la cultura italiana. Anch’io sono perché si insegnino
i dialetti del posto, però prima bisogna sapere l’italiano e
l’inglese. Diversamente non solo non si sa più chi è Leopardi, ma si
finisce per imbarbarire il paese.
Le scuole in certe zone
finirebbero per reclutare soltanto clientes, anche se ci
fosse un’unica lista di abilitazione nazionale. L’esperienza
accademica insegna che l’abilitazione dev’essere legata
all’assegnazione di un posto, deve cioè essere a numero chiuso. In
altri termini, non ti abilito, perché c’è un altro più bravo di te:
qui la forza della competizione funziona. Ma se non c’è nessuno che
viene «sacrificato», io - istituto - chiamo tutti quelli che sono
amici. Ripeto, quella della chiamata diretta fondata sull’autonomia
non è un’idea sbagliata, ma va attuata con un processo graduale.
In modo sperimentale: si
potrebbe iniziare, qualcuno lo ha suggerito, consentendo alle scuole
di reclutare l’organico non per intero, ma limitatamente ad alcune
funzioni che integrano l’attività educativa. Razionalizzare,
insomma, applicando l’organico funzionale. È una strada, ce ne
possono essere anche altre.
Sono di fatto già
regionali, perché se lei vince la cattedra in una regione, per
potersi trasferire in un’altra deve fare i salti mortali. Io sono
contrario agli albi regionali chiusi. La presenza di docenti nel
nostro paese che non insegnano nel territorio di provenienza ha
arricchito enormemente la nostra cultura. È un campo che va
regolamentato per disciplinarne gli abusi, che rischiano altrimenti
di prevalere.
Guardi, la cosa più urgente
da fare è chiudere rapidamente questa fase intermedia. Primo,
occorre far partire rapidamente il TFA. Secondo, risolvere casi come
quello che ha ricordato, e che riguardano non poche persone e non
solo nelle paritarie. Non c’è dubbio che vanno studiati e presi
provvedimenti che permettano di inserire nel sistema anche questi
docenti. In parallelo, serve un programma di assorbimento dei
precari nel rispetto delle leggi che già ci sono. Che si parli di numeri: è la condizione. Non solo nell’interesse dei docenti, ma della scuola tutta. E che si faccia una programmazione che non sia solo condizionata dalle ristrettezze. |