SCUOLA

Franzini: i posti per i nuovi prof ci sono,
ecco come trovarli

intervista a Elio Franzini il Sussidiario 7.7.2011

Lo scorso giovedì 30 giugno una lettera aperta al ministro Gelmini, firmata dal CLDS, ha criticato fortemente la scelta del ministero di stabilire, per l’avvio dei nuovi percorsi formativi, numeri di posti vicini allo zero in tutte le regioni e nella maggior parte delle classi di concorso, anche quelle più grandi. Elio Franzini, docente di Estetica nell’Università statale di Milano, attuale prorettore per la programmazione e i servizi alla didattica per la stessa università, è stato membro della Commissione ministeriale che ha stilato il Regolamento sulla formazione iniziale degli insegnanti.

Professor Franzini, come giudica allo stato attuale la situazione degli aspiranti insegnanti?

Sono molto preoccupato e trovo più che giustificata la lettera del Clds, sia nei toni che nei contenuti. Malgrado la Commissione di cui ho fatto parte abbia chiuso i suoi lavori in pochi mesi, abbiamo aspettato il decreto un anno e mezzo. Preferisco ora non entrare nel merito di quel decreto, che in sé ha molti difetti. In ogni caso, sembra che dalla sua uscita ogni occasione sia stata buona per ostacolare un’effettiva ripresa del processo.

E quando è stata resa nota l’ipotesi con i numeri previsti?

Vedere l’ipotesi di fabbisogno è stato deludente e scoraggiante. Di fatto è sancita per quasi tutte le classi di concorso l’impossibilità di abilitare nuovi docenti. È bene sottolineare che non si danno «posti» a nessuno; si dà un’abilitazione, un titolo culturale assegnato con un processo altamente selettivo, che mette i nostri giovani nella condizione di andare in aula. Non è un titolo che garantisce un posto di lavoro, ma che dà la possibilità di un posto di lavoro. A maggior ragione la scelta appare incomprensibile.

Che ripercussioni può avere sull’istruzione e sull’università escludere i giovani dai percorsi abilitanti?

Sarebbe un disastro sociale e culturale. Se questi numeri fossero confermati, e non si aprisse il tirocinio formativo attivo per un numero anche contenuto dei nostri giovani, sarebbe un danno per la scuola, che non avrebbe forze nuove, e per l’università, poiché renderebbe molto meno credibili alcuni importanti percorsi formativi. Si fa il tragico errore di non guardare avanti.

La lettera prende in esame i numeri sommari delle graduatorie ad esaurimento. È davvero plausibile che i precari nella scuola siano tanto numerosi (230 mila) ed esauriscano in alcune regioni l’intero fabbisogno di insegnanti?

Guardi, ho dei dubbi notevoli sulla determinazione di quel fabbisogno e sull’effettiva veridicità di quei numeri. Mi piacerebbe in ogni caso di vedere i numeri meglio specificati, perché a mio parere che i precari riescano a coprire esattamente il fabbisogno ed esattamente in tutte le classi di concorso, sarebbe uno scherzo del caso, una portentosa coincidenza da giocare al Superenalotto. È tutto così perfetto che viene difficile credere a tanta perfezione...

Si spieghi meglio, professore.

In tutte le classi di abilitazione il numero esatto dei precari coincide con quello del fabbisogno! Le graduatorie una volta erano pluriabilitanti, e fatte di persone che figuravano dunque più volte perché abilitate in più classi di concorso; tali graduatorie contengono anche persone che probabilmente - almeno in parte - ora fanno altro nella vita e non insegnano più. Questi semplici elementi devono giocoforza legittimare un approccio molto più articolato.

Con numeri così esigui, a volte nulli, non c’è il rischio concreto che il nuovo percorso di formazione non parta del tutto?

Certamente in alcune regioni non può partire, ma rischia di non partire anche in alcune classi di concorso di regioni di grandi dimensioni come la Lombardia. Ma non parte perché è tecnicamente impossibile farlo partire. Cosa facciamo, test d’accesso per cinque abilitazioni a fronte di 5mila iscritti? È paradossale. E non è tutto: nessuno ci ha dato né i numeri ufficiali, né i modi ufficiali con cui costituire il TFA, per cui anche da un punto di vista strettamente tecnico, non si saprebbe come procedere.

Vuole dire...?

Che non c’è una circolare applicativa su come fare il TFA. È stata preannunciata nella circolare che accompagnava il decreto riguardante le lauree, dicendo che poi una specifica circolare sarebbe stata emanata in relazione alle modalità di attivazione del TFA. La stiamo aspettando ancora da due mesi.

Per far partire i nuovi percorsi bisognerebbe garantirne un funzionamento ordinario, ossia il numero di posti dovrebbe essere il più possibile costante di anno in anno e non soggetto a scompensi troppo netti di disponibilità da un anno all’altro. Qual è la sua preoccupazione a questo proposito?

Che se non ci danno numeri almeno triennali, non si riesce a programmare proprio nulla. Quando vigevano le scuole di specializzazione, i numeri erano annuali e però erano più o meno quelli dell’anno precedente e potevano in previsione essere gestiti come tali. E ora cosa potrebbe mai impedire, dopo tre anni di blocco, di non avere numeri analoghi a quelli che venivano dati nelle SSIS?

Quali sono a suo avviso le possibili soluzioni? Esiste un modo più equo di calcolare il fabbisogno di insegnanti e di programmare gli accessi ai nuovi percorsi formativi?

Continuo a ritenere che in questa fase bisognerebbe valutare diversamente il fabbisogno, cercando di determinarlo come fabbisogno reale. Basterebbe chiedere ai vari uffici scolastici regionali quali sono le classi di abilitazione nelle quali le scuole hanno le maggiori difficoltà a reclutare.

È un’ipotesi percorribile?

Certamente. È una cosa che possono fare gli uffici scolastici regionali, tutti composti da persone valide e competenti, in grado di capire quali sono le classi di abilitazione in sofferenza e di ragionare in chiave minimamente prospettica. Esistono i pensionamenti, esistono le persone che hanno cambiato idea. Basterebbe fare una ricognizione per appurare se le persone che sono uscite dalle SSIS insegnano o non insegnano. Ebbene, ci si accorgerebbe che insegnano quasi tutte. Quindi il fabbisogno delle scuole è più ampio di quello che appare a prima vista, in particolare nelle grandi regioni e nelle grandi realtà.

In poche parole, professore...

In poche parole, non credo alla determinazione del fabbisogno che gli studenti giustamente hanno denunciato. Riuscivano ad essere assorbiti gli studenti che uscivano dalle SSIS, dopo tre anni di blocco, ora non c’è più posto? Cosa è successo nel frattempo? Almeno ce lo spieghino. E soprattutto, perché il ministro tre anni fa ci ha messo fretta per creare un nuovo sistema di formazione iniziale degli insegnanti per poi dirci che non ci sono posti? Perché allora è stato fatto un decreto applicativo? A futura memoria?

Ora cosa si dovrebbe fare?

Direi che forse è il caso di valutare meglio il fabbisogno e di fare una piccola scommessa sul fatto che in un sistema così complesso come quello della scuola, conviene rischiare un po’ di più sui giovani piuttosto che togliere loro qualsiasi possibilità. Abilitando non creiamo nuovi precari, ma diamo ai giovani una possibilità di inserirsi nella scuola, e in ogni caso di continuare la propria formazione in un senso didattico formativo.

Come accade nell’università.

Sì. Noi abbiamo addottorato, come università di Milano, circa 500 persone nel 2011. Di queste mediamente soltanto un 10 per cento prosegue la sua carriera all’interno dell’università. L’altro 90 per cento di dottorati li offriamo al mondo dell’impresa, delle professioni, della cosiddetta società civile. Non capisco perché, sia pure in misura più ridotta, lo stesso non possa essere fatto per le abilitazioni.

Cosa direbbe al ministro?

Che favorire le speranze dei giovani, oltre che vitale per il paese, è anche politicamente intelligente.