Cosa impara davvero Premiare e punire i ragazzi senza offrire loro un orizzonte di sensatezza nel quale inscrivere quelle sentenze rischia di lasciarli in mezzo al guado Maurizio Muraglia, la Repubblica 31.7.2011 Nella Palermo dei settemila bocciati, che a quanto pare rappresentano un record negativo stante la media nazionale, l´opinione sfavorevole dell´Ocse sull´istituto della bocciatura getta una luce sinistra che non può non indurre alla riflessione, per quanto l´ombrellone non rappresenti, in genere, una sede amata dagli insegnanti per discutere di scuola. La discussione in ogni caso c´è stata e ha percorso in lungo e largo la rete, perché la questione delle bocciature è un nervo scoperto della cultura professionale degli insegnanti nonché dello sviluppo sociale, ed il suo utilizzo più o meno massiccio rappresenta una cartina al tornasole della sensibilità educativa che circola nelle scuole cui affidiamo i nostri figli. Qui val la pena a mio parere rilanciare alcune piste non nuove di riflessione, perché la rilevanza sociale del tema non è di poco conto. A prescindere dall´Ocse, che ci ha messo il suo autorevole timbro, non mancavano le perplessità sui presunti benefici di una bocciatura in ordine al percorso educativo di un giovane, soprattutto alla luce dell´esperienza.Un alunno bocciato può imparare la lezione, talvolta, ma sono molto più frequenti i casi in cui lo stop rappresenta l´inizio di un declino che porterà ad ulteriori insuccessi, se non al cambio di scuola o ancora all´abbandono degli studi. La dispersione scolastica non è infatti da intendersi esclusivamente come abbandono, ma molto più frequentemente come dispersione dell´intelligenza o dispersione della motivazione. La bocciatura molto spesso è causa ed effetto al tempo stesso di una motivazione che molti insegnanti erroneamente considerano quasi un tratto innato della persona. Non è così. La scienza pedagogica in questo ha le idee molto chiare. La motivazione in genere è un connotato dinamico dell´individuo e cresce o diminuisce a seconda delle attribuzioni di significato che ciascuno, risentendo del proprio ambiente sociale e culturale, opera rispetto a quel che fa. Così anche la motivazione allo studio. Devo avere un motivo per studiare, uno scopo, un interesse, una "convenienza". Apprendere, come amare, non è un verbo che tollera l´imperativo. Si apprende perché c´è una ragione che fa valer la pena di apprendere. Certo, sapere in anticipo che si potrà restare al palo per un anno, per intere generazioni di studenti ha costituito un buon deterrente alla demotivazione. La paura è sempre un buon deterrente, ma allora era legato anche ad altre ragioni, afferenti al senso complessivo che aveva l´esperienza dello studio. Un senso che aveva forti legami con un cultura del progetto che a sua volta aveva come presupposto la possibilità che ciascuno con i propri studi potesse costruire qualcosa. Non si studiava soltanto per paura di essere bocciati, dal momento che questa paura era avvolta da un´aura valoriale più complessiva che induceva a stare in partita e stringere i denti, anche quando il sapere della scuola era per nulla interessante. La sensazione invece è che il contesto attuale abbia lasciato la bocciatura orfana del suo scenario valoriale di riferimento. Nelle mani dei docenti non ha più la forza persuasiva di un tempo. Si continua a bocciare, ma la sensazione diffusa è che l´impatto educativo di una misura del genere si riduca sempre di più, che è poi quello che rileva l´Ocse quando considera l´effetto sociale negativo prodotto da una massa critica sempre crescente di ripetenti (quando ripetono). Non è un problema di buonismo, lasci perdere il ministro, che parla di scuola come se non fosse avvenuto nulla negli ultimi quarant´anni né a livello sociale né a livello di ricerca educativa. Nessuno amerebbe un mondo in cui tutti vengono trattati allo stesso modo, senza alcun riconoscimento delle opere meritevoli e nessuna denigrazione del disimpegno e della superficialità. Però per i ragazzi è diverso. Premiarli e punirli senza offrire loro un orizzonte di sensatezza nel quale inscrivere quelle sentenze rischia di lasciarli in mezzo al guado. Di quest´orizzonte andiamo in cerca oggi tutti, adulti e ragazzi, ed è forse questa assenza di complicità nella ricerca che molte volte soggiace alla decisione di chiudere il rapporto con quell´alunno. Quando un gruppo di adulti decide di bocciare, in fondo ha deciso che la partita è persa. Sul piano formale, delle evidenze numeriche che oggi tutti inseguono (voti, pagelle ecc.), il più delle volte una bocciatura è ineccepibile e bene fanno gli insegnanti a stabilire dei criteri sensati per le loro valutazioni. Il problema è un altro. Il problema è cercare di capire se la bocciatura non sia rimasta l´ultima trincea da cui gli adulti tentano di dire agli studenti che la vita dev'essere presa seriamente, dal momento che tanti segnali prodotti dagli stessi adulti li persuadono ogni giorno che di serio in giro è rimasto ben poco. |