DIRITTO di CRONACA

Guadagno meno, ma viva l'Italia

La storia di un giovane ricercatore rientrato in Italia e deciso a restarci

Flavia Amabile La Stampa, 22.6.2011

Ruggero Pensa è partito da Lecce subito dopo la maturità per andare a studiare ingegneria informatica a Torino. Senza troppe difficoltà ha ottenuto un bel 110 e un Erasmus a Lione. Tesi di laurea discussa all’Insa, l’Istituto Nazionale di Scienze Applicate che per i francesi è uno dei massimi templi della ricerca informatica. Tutto lasciava immaginare un brillante futuro da cervello italiano in fuga, uno dei tanti.
«In effetti l’Insa mi ha chiesto subito di fare il dottorato da loro».

Ha superato un concorso?

«In Francia funziona in modo diverso. C’era la disponibilità di un posto. Era piaciuta la mia tesi. Mi hanno selezionato molto semplicemente sulla base dell’esperienza».

E dopo il dottorato?

«In Francia c’è una forte mobilità, non si fa tutto nello stesso istituto. Dopo il dottorato ho mandato una domanda per un posto da ater, una sorta di associato per un anno, e sono diventato professore a contratto presso l’Università di Saint-Etienne e assistente alla ricerca presso il Laboratorio Hubert Curien».

Professore a 28 anni. In Italia nemmeno i più accaniti baroni oserebbero tanto. E quelli bravi non ci riuscirebbero.

Anche se soltanto per un anno ero professore, sì. In Francia anche i contratti di post-dottorato sono diversi: implicano una responsabilità piena dall’inizio alla fine dei corsi».

Il passo successivo è l’assunzione a tempo indeterminato.

«Ho partecipato ai primi concorsi, non li ho superati ma era normale, ero agli inizi. Nel giro di un anno ce l’avrei fatta, mi hanno detto in tanti».

E perché non lavora in Francia, allora?

«Ero spaventato. Il loro sistema prevede che si inizi subito a preparare 200 ore di insegnamento l’anno. Correvo il rischio di rimanere bloccato sulla ricerca, non era quello che volevo. A quel punto ho iniziato a cercare all’estero e sono tornato in Italia».

Com’è stato il rientro?

«Molto intenso, molto bello. Sono stato prima a Pisa con un assegno di ricerca al Cnr di Pisa. Due anni, quindi ho vinto un assegno all’Università di Torino. Altri due anni, sono finiti i fondi, la ricerca non viene finanziata. Ora lavoro al Cnr di Torino, all’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica».

Quanto guadagnava in Francia?

«L’ultimo stipendio era di 1700 euro al mese. Era il 2006».

E qui?

«Sono sui 1470 euro al mese»

Cinque anni dopo, in un sistema senza fondi per la ricerca e a gudagnare di meno. Ha la valigia pronta per tornare all’estero?

«Ogni tanto mi chiamano dalla Francia, se sapessero quanto guadagno mi prenderebbero per matto: da loro potrei vincere abbastanza in fretta un concorso a tempo indeterminato e guadagnare molto di più».

E allora?

Ho paura di sedermi. Ho 32 anni, sono giovane, posso ancora investire un po’ di tempo nel mio Paese. Qui c’è una cultura dei rapporti umani e della ricerca che trovo perfetti per me. E, poi, se vanno tutti via qui chi rimane? Mia sorella ha vinto la borsa Marie Curie a Londra, non tornerà di sicuro, due cari amici sono a Boston, tanti colleghi lavorano in tutt’Europa. Ho la sensazione che si stia creando un deserto intorno a me ma non ce la faccio a partire di nuovo. Mi sento già in colpa per aver abbandonato il Sud, all’Italia voglio dare tutto quello che posso».