Fini, alla scuola un ruolo di traino
nei processi di integrazione

"Integrare gli alunni stranieri non è un compito speciale della scuola ma ordinario"

 La Stampa, 28.6.2011

ROMA
La «scuola è aperta a tutti» è un veicolo decisivo sul fronte dell’integrazione. Gianfranco Fini cita l’articolo 34 della Costituzione per tornare a sollecitare il riconoscimento della cittadinanza ai ragazzi stranieri che sono nati in Italia. Fini parte dalle osservazioni dell’«Indagine conoscitiva sulle problematiche connesse all’accoglienza di alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano», svolta dalla commissione Cultura della Camera.

Dall’indagine emerge che «la presenza degli alunni stranieri, pari al 7% del totale degli studenti (con un valore assoluto di 629.360 unità, rispetto ad una popolazione scolastica complessiva di 8.945.978 unità), è diventato ormai un aspetto strutturale del nostro sistema scolastico. In tutti gli ordini e gradi di scuola -ricorda Fini- è aumentato anche il fenomeno degli alunni stranieri nati in Italia, che hanno superato, nel periodo 2008-2009, le duecentomila unità, con un incremento del 17% rispetto all’anno precedente».

«Se a questo si aggiunge che lo scorso anno sono nati 104 mila bambini da coppie straniere, pari quasi al 19 per cento del totale delle nascite in Italia, si comprende in modo inequivocabile, dal momento che i numeri hanno un valore oggettivo, come la sfida delle moderne democrazie sia proprio quella di affrontare in modo nuovo rispetto al passato, il tema dell’integrazione e della cittadinanza».

«Naturalmente, in Italia, le iniziative normative volte a disciplinare il settore - dichiara ancora Fini- non devono essere immaginate o interpretate come strumenti posti a protezione degli italiani dal rischio “stranieri”, ma come, invece, strumenti di programmazione e di regolazione di un fenomeno nuovo e sempre più destinato ad incidere all’interno della nostra società».

«In tal senso, la questione dell’integrazione scolastica degli alunni stranieri, che si interseca in modo profondo con quella relativa all’ottenimento della cittadinanza italiana, deve essere affrontata, a mio avviso, con lungimiranza, anche perché il 60% dei minori stranieri che risiedono in Italia sono nati qui da noi ed è anche a loro che dobbiamo guardare, dal momento che, nei fatti, sono già, a tutti gli effetti, veri e propri cittadini italiani, anche se non hanno ancora avuto il riconoscimento giuridico e lo status».

«Rispetto al tema della cittadinanza, è emerso, infatti, che molti giovani nati in Italia vivono questa limitazione con estremo disagio e che tale condizione, com’è evidente, non favorisce l’integrazione in una società che deve tendere ad essere sempre più pluralista ed aperta», afferma inoltre il presidente della Camera.

«I criteri molto restrittivi per ottenere la cittadinanza italiana - ricorda Fini- divengono un ulteriore peso per molti giovani che ormai si sentono italiani» e «ciò influisce spesso sulla scelta di abbandonare il percorso scolastico e d’istruzione dopo la scuola dell’obbligo». «E questa non può che essere la sfida che si consegna alla scuola del futuro chiamata ad assumere un fondamentale ruolo di traino dei nuovi processi di integrazione, come è già successo in passato per l’integrazione degli alunni provenienti dalle regioni del Sud d’Italia che si trasferivano al Nord con le famiglie».

«D’altronde, gli studenti vivono già con grande naturalezza una scuola caratterizzata da forti presenze di compagni di studio con formazione culturale profondamente diversa. Di questa rilevante evoluzione socio-culturale devono, quindi, ora acquisire una sempre maggiore consapevolezza le istituzioni centrali e territoriali, le forze politiche e sociali, l’intera opinione pubblica del Paese, al fine di superare diffidenze, svuotare sacche di ignoranza e presentare la realtà per quello che veramente è».

«Occorre rimuovere paure ingiustificate, ritardi culturali e psicologici, cedimenti ad ogni forma di “etnonazionalismo”, che ostacolano il governo delle grandi trasformazioni sociali. Per farlo -conclude il presidente della Camera- bisogna superare la logica dell’emergenza e definire un progetto di società più aperta, più evolutiva e più libera».