Il cavallo di Troia e i dogmi dell'on. Aprea: Pasquale Almirante, da AetnaNet 11.5.2011
Ci sono due dogmi che i rappresentati più autorevoli in materia di
scuola di questo Governo cercano di far passare ad ogni costo e in
qualunque occasione: il tirocinio formativo attivo, come elemento
principe per sapere insegnare, e l'arbitrarietà alle scuole di
scegliersi il docente, capovolgendo l'attuale procedura. Sul primo
dogma nessuno finora ha dimostrato la sua validità scientifica,
anzi, a parere di esperti pedagogisti, è una emerita sciocchezza
tant'è che la nostra scuola, quando era (ma forse lo è ancora) la
prima al mondo non ha mai adottato simili strategie tirocinanti.
L'altro dogma, esplicitato da un intervento della onorevole
Valentina Aprea su Il Sussidiario, si inerpica sul concetto che non
essendo tutti i docenti “adatti allo specifico progetto della
scuola, né sono intercambiabili le storie professionali e i percorsi
che portano alle competenze personali o, più precisamente, alle
persone competenti”, sarebbe opportuno che sia la scuola a
scegliersi il professore, attingendo da un albo professionale, e non
il professore la scuola come è avvenuto finora. E detta così
potrebbe pure apparire una proposta interessante, un bel dogma su
cui, in modo fideistico, puntare per rivoluzionare la scuola e
migliorare le performance dei nostri alunni. Ma solo in modo
fideistico perchè nello stesso momento in cui è la scuola a
scegliersi il professore, cadrebbe immancabilmente il pilone
principale della istruzione pubblica italiana, che è appunto la
libertà di insegnamento. Ma cadrebbe pure l'indipendenza del docente
nei confronti del dirigente e della istituzione scuola, la libertà
di opinione coi colleghi e pure la possibilità di critica e di
opposizione. E di più. Ogni scuola pubblica, implementando un
proprio progetto culturale, così come afferma l'Aprea, al quale il
nominato professore deve adattarsi, adeguando la sua formazione e la
sua visione del mondo, all'atto della nomina e negli anni a venire,
si trasformerebbe in una sorta di scuola privata, ma come una sua
brutta copia perchè sarebbe ipocrita in quanto negherebbe ciò che il
privato apertamente afferma e cioè la sua particolare matrice
informativa e formativa. In altre parole una presidenza con un suo
progetto educativo basato sul materialismo storico, e quindi sulla
interpretazione marxista della realtà, mai chiamerebbe a insegnare
un professore dichiaratamente idealista o di formazione cattolica.
La pluralità culturale e ideologica (ideale) che ha fatto grande la
nostra scuola pubblica, perirebbe sotto i colpi di una dirigenza,
anche una sola, ottusa e miserabile, ma col crisma e l'imprimatur
del pubblico e dello Stato laico. E non solo. Il dirigente
diverrebbe una sorta di imprenditore, un datore di lavoro o un
padrone al quale bisogna presentarsi col cappello in mano per
lavorare, visto che nulla toglie che le sue nomine potrebbero essere
dettate, non già dalla competenza ma dalla convenienza, esattamente
come avviene nel privato. Per essere ancora più concreti: il dogma
espresso dalla onorevole Aprea ha tutta le sembianze del cavallo di
Troia, allettante ma costruito per evitare di espugnare la
cittadella della scuola pubblica con le armi del dibattito leale: il
problema sta ora nel decidere se accogliere il suo ingresso con
giubilo, come un dogma di fede, o se è il caso di abbattere del
tutto le ormai fragili mura della nostra istruzione pubblica o se
cercare di resistere esaminando bene dove sta il trucco. |