Sciocchezzario della scuola italiana:
Sprechi a go-gò per esami di Stato
dalle bocciature assurde e abusive
e per concorsi a preside invece di elezione diretta
(a Costo zero).

Polibio, da AetnaNet 24.6.2011

Dopo aver destato grande e inesauribile meraviglia per la sua repentina traversata italica in direzione da nord a sud, da Brescia a Reggio (Calabria, ovviamente, quale chiarimento necessario per chi avesse pensato ad altra Reggio), residenza anagrafica compresa, dove sostenere gli esami per diventare avvocato (incurante dell’incompiuta Salerno-Reggio Calabria, dai molteplici cantieri e intoppi, e dalle molteplici deviazioni, ad allungare di molto il tempo di percorrenza, e d’altra parte le sarà stato più facile e repentino raggiungere Reggio Calabria in aereo, il ministro dell’istruzione, Mariastella Gelmini, è ormai nota e indicata come qualificata concorrente per la conquista del primato dei tagli alla scuola.
Il guaio sta nel fatto che una distruttiva riforma del qualificatissimo esistente, riconosciuto tale in campo internazionale, ha prodotto irregolari accorpamenti di alunni in aule pollaio in violazione delle norme di legge sulla sicurezza, 150.000 posti di lavoro in meno tra quelli degli insegnanti (pur essendo aumentato il numero degli alunni) e quelli del personale Ata (collaboratori scolastici e assistenti amministrativi), circa 10 miliardi di euro sottratti all’istruzione e alla formazione a causa dell’incapacità di recuperarli dalla macroscopica evasione fiscale che annualmente supera i 200 miliardi di euro.

Insomma, un ministro dalla sega facile. Che, sega oggi e sega domani, non riesce purtroppo a segare le spese inutili, come lo sono quelle per pagare da 570 a 1.817 euro un “esercito” di presidenti e di commissari, interni ed esterni alle singole scuole, degli esami di Stato o, se vogliamo usare un termine di comune e diffusissima conoscenza, di maturità. Esami che purtroppo sono “produttori” di ansia per i circa 500.000 studenti che sono obbligati a sostenerli, anche se, dato che per l’ammissione è necessario almeno il 6 in ciascuna delle materie, appare illogica, assurda e abusiva la bocciatura da parte di una commissione composta di tre docenti interni alla scuola (che hanno valutato positivamente gli alunni con almeno il 6 nelle loro discipline), di tre docenti esterni alla scuola (che certamente non possono smentire la valutazione positiva dei docenti e del Consiglio di classe) e di un presidente. Presidente e docenti, e magari con la collaborazione del personale della scuola con funzioni di vigilanza, che hanno anche e prioritariamente il compito di svolgere rigorosa attenzione durante le prove scritte, al fine di impedire agli alunni (pena l’immediata espulsione, e quindi l’anticipata bocciatura) l’uso degli aggeggi multimediali che affollano l’attuale panorama della comunicazione.

Complessivamente, 12.373 presidenti di commissione, 42.483 commissari d’esami e almeno altrettanti docenti interni sempre che le classi assegnate a ciascuna commissione non siano più di due. Poco più di 470.000 gli studenti interni, al netto, quindi, dei non ammessi per insufficienze nelle singole materie agli esami di maturità o di non scrutinati per le assenze. Ammissioni che risultano in calo in determinate tipologie di istituti e in aumento in altre tipologie (soprattutto negli istituti tecnici e negli istituti professionali), in definitiva con oscillazioni comprese tra il 2 e il 12 per cento nell’ambito delle classi di una stessa scuola e dei diversi istituti. Inoltre, è ancora più alta degli anni precedenti la percentuale dei docenti che “rinunciano” per “causa di forza maggiore” e soprattutto per “motivi di salute”.

Sono candidati interni, così nell’ordinanza, gli alunni delle “scuole statali e paritarie che abbiano frequentato l’ultima classe e che nello scrutinio finale conseguano una valutazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina … e un voto di comportamento non inferiore a sei decimi (articolo 6, comma 1, D.P.R. 22 giugno 2009, n. 122”. Condizioni e requisiti validi anche per “gli alunni delle scuole legalmente riconosciute, nelle quali continuano a funzionare corsi di studio fino al loro completamento”. Inoltre, “per procedere alla valutazione finale di ciascuno studente, è richiesta la frequenza di almeno tre quarti dell’orario annuale personalizzato”.

E veniamo alla valutazione. Essa, così al punto 2 dell’articolo 2 dell’ordinanza, è così indicata: “Premesso che la valutazione è espressione della funzione docente, nella sua dimensione sia individuale che collegiale (art. 1, comma 2 del D.P.R. n. 122/2009), la valutazione degli alunni in sede di scrutinio finale è effettuata dal consiglio di classe”, e “in caso di parità prevale il voto del Presidente”.

Ebbene, come può essere possibile (e non essere illogico, assurdo e abusivo) “bocciare” uno studente che dai propri insegnanti e dal Consiglio di classe, che ne hanno ampia e puntuale conoscenza, è stato sostanzialmente “promosso” a pieni voti, e anche con voti addirittura superiori al 6 in alcune o in molte discipline, dato che “la valutazione è espressione dell’autonomia professionale propria della funzione docente, nella sua dimensione sia individuale che collegiale”? Impossibile e, quindi, abusiva la bocciatura.

La bocciatura poteva forse risultare legittima nel caso in cui la sufficienza (corrispondente al 6 quale voto medio di materie dal voto inferiore al 6 e dal voto superiore al 6) per essere ammessi all’esame di Stato o di maturità fosse derivata, ad esempio, dalla somma dei voti di tutte le materia divisa per il numero di esse (4 in tre materie, 7 in tre materie e 6 in ciascuna delle altre materie danno la sufficienza, cioè il 6 come voto medio). Pertanto, l’esame di Stato o di maturità, negli anni scolastici precedenti e fino all’anno scolastico 2009-2010, era certamente necessario al fine di accertare se le lacune e le insufficienze erano state colmate e superate o, viceversa, se non erano state affatto colmate e superate.

Verificatasi quest’ultima condizione (cioè, se le insufficienze non erano state superate, ma non nel caso in cui la valutazione per l’ammissione all’esame fosse stata di piena sufficienza, il 6 e addirittura voti anche superiori al 6, in tutte le materie singolarmente considerate), la valutazione della commissione d’esami, con conseguente bocciatura dello studente, sarebbe stata assolutamente legittima, in quanto “espressione dell’autonomia professionale propria della funzione docente, nella sua dimensione … collegiale”, essendo stata negativa quella della “dimensione sia individuale che collegiale” dei docenti interni alla scuola nei confronti di quell’alunno esaminato dalla commissione composta di docenti interni, di docenti esterni e di un presidente.

Ma la bocciatura non può risultare legittima quest’anno, perché l’ammissione degli studenti all’esame di Stato, a conclusione di un ciclo quinquennale, è avvenuta sulla base almeno della sufficienza (6) in tutte le materia singolarmente considerate. Quindi, qui la sega del ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini, specialista nel produrre effetti devastanti là dove non doveva agire, poteva e doveva essere attiva, nella considerazione che l’esame di Stato al quale vengono sottoposti tutti gli studenti che hanno meritato almeno la sufficienza in ciascuna delle materia non può portare alla bocciatura, addirittura con la partecipazione di docenti interni alla scuola, e appartenenti alla classe degli studenti esaminati, che gli alunni hanno valutato con voti positivi a partire dal 6 in ciascuna delle materie. Una giostra, questa dell’esame di maturità, che viene a costare cento milioni di euro, corrispondenti agli stipendi annuali di 3.000 insegnanti, che invece, proprio per questo inutile sperpero, sono condannati a restare senza lavoro.

Peraltro, aspetto ben diverso, sul piano della spesa, di quanto accade per gli esami di Stato a conclusione del triennio della scuola secondaria di primo grado. Esami a costo zero, ad eccezione dei pochi spiccioli, una sorta di mancia, di elemosina per lavavetri delle macchine ai semafori, che vengono “riconosciuti” ai presidente delle commissioni, per il resto tutte composte di docenti interni, come appare giusto e corretto che sia per quanto concerne la loro esclusiva presenza.

Altrettanto dovrebbe avvenire, risparmiando cento milioni di euro e dando occupazione a 3.000 docenti precari e disoccupati, e migliore formazione agli studenti, comprese le attività di recupero nel caso di accertate lievi insufficienze e di orientamento finalizzato alla scelta della facoltà universitaria e del corso di studi. Le commissioni dovrebbero essere composte tutte di docenti interni, con la funzione di presidente svolta dal dirigente scolastico o da un docente da lui delegato. E il cosiddetto “esame”, inteso come confronto e colloquio con finalità formative, sicuramente utile alla conclusione di un ciclo triennale di attività didattiche positivamente superate (come, peraltro, accade nelle facoltà universitaria in sede di laurea), svolgersi sulla base di una tesina, relatore/trice uno/a degli/delle insegnanti, realizzata dallo/a studente/ssa sotto il controllo, vigile e attento, degli/delle insegnanti, al fine di evitare il travaso dai siti informatici. E in conclusione, dopo il colloquio, il voto della commissione, che in definitiva può mantenere invariato il voto di ammissione o aumentarlo di un punteggio, ad esempio, da uno a dieci punti se la positività è compresa tra 60 e 100.

La sega del ministro Mariastella Gelmini sembra essere anche inoperosa rispetto allo sperpero di 47 milioni di euro per il concorso a dirigente scolastico il cui bando è ormai da tempo rinviato un mese dopo l’altro; e attualmente è in attesa che vengano “trovati”, viene da più parti detto “nel termine di sette giorni”, i 47 milioni di euro che al momento sono considerati assolutamente necessari, fermo restando che altre necessità finanziarie potrebbero, e certamente lo saranno, essere necessarie nel prossimo futuro, considerato in almeno 30 mesi (due anni e mezzo) dalla pubblicazione del bando di concorso. Al momento i 47 milioni di euro non sanno dove trovarli, ma intanto circa 150.000 insegnanti restano in attesa della pubblicazione del bando di concorso e continuano a spendere, in libri e lezioni private per la preparazione, anche per quanto concerne i quiz, potendosi chiamare l’atteso concorso con l’espressione il “concorso del quiz”.

Le notizie più recenti indicano in 2.386 i posti di dirigente scolastico che sarebbero messi a concorso, già sforbiciati di circa 500 posti rispetto a quanto era stato precedentemente annunciato, da oltre un anno, dal ministro dell’istruzione. Il “concorso del quiz” taglierà circa l’85% dei concorrenti, poiché gli ammessi alle prove scritte non saranno più di 23.860. E comunque, poiché il concorso non sembra possa concludersi in meno di 30 mesi, continua ad essere applicato il regime delle reggenze in attesa di ridurre, forse anche notevolmente, l’organico dei dirigenti scolastici, anche perché molte sono le scuole che hanno meno di trecento alunni e moltissime quelle che ne hanno meno di cinquecento.

Intanto, il regime delle reggenze continua a lasciare senza lavoro migliaia di docenti; quello della riduzione delle scuole autonome a seguito di un dimensionamento nazionale (regione per regione, provincia per provincia) potrebbe portare alla perdita di circa 20.000 posti di lavoro e lasciare disoccupati docenti precari, collaboratori scolastici precari e assistenti amministrativi precari, a cui si aggiungono tanti DSGA quanti sono gli istituti scolastici che saranno “cancellati”. Va evidenziato che i 47 milioni di euro di spesa per il concorso tuttora in attesa del bando corrispondono allo stipendio annuale di circa 1.500 insegnanti.

Per evitare la disoccupazione di migliaia di docenti, ed anche di personale Ata, bisogna cancellare le reggenze e ridurre la spesa per l’organico dei dirigenti scolastici, realizzando l’elezione democratica dei presidi, come peraltro avviene nelle università italiane, nelle quali il rettore, i presidi di facoltà, i direttori di dipartimento, i presidenti dei corsi di laurea sono tutti democraticamente eletti, con mandato limitato nel tempo (con la nuova riforma non più di 6 anni), con attività didattica ridotta, con compenso mensile, differenziato rispetto alla funzione ricoperta, compreso tra 700 e 250 euro in aggiunta allo stipendio. Lo stesso procedimento potrebbe essere realizzato nelle scuole, ovviamente sulla base di un regolamento che fissi le condizioni per concorrere all’elezione a preside, tra le quali, ad esempio, il master di secondo livello in dirigenza scolastica, gli anni di pregressa permanenza nella scuola, la dichiarazione di rimanere nella scuola fino alla conclusione del mandato, magari con esonero totale dall’insegnamento e con un’indennità in aggiunta allo stipendio.

Si tratta di una questione che più volte è stata trattata, anche con una serie di particolari, in questo sito, ed è in questo sito tuttora disponibile, ad esempio, nel “Top Redattori”, cliccando sulla voce Polibio e su quella di altri redattori.

Sul governo democratico delle istituzioni scolastiche, sulla definizione di una dirigenza scolastica di tipo democratico, sono state presentate articolate proposte di legge che puntano “al superamento dell’attuale modello burocratico e dirigistico di derivazione aziendalistica, prevedendo la temporaneità del mandato del rappresentante dell’istituzione scolastica e il conferimento dell’incarico attraverso l’elezione (preside elettivo) da parte della comunità scolastica”, anche al fine di coniugare “le esigenze di un governo efficace e democratico della scuola, quale risorsa fondamentale per il nostro Paese, con un modello avanzato di regole volte a garantire la qualità della professione docente, la sua autonomia e la piena responsabilità della funzione”. I risparmi realizzati andrebbero utilizzati per l’occupazione di docenti e di personale Ata al momento condannati alla disoccupazione, con la finalità di migliorare il sistema scolastico, e con esso favorire una migliore istruzione e un’altrettanto migliore formazione degli studenti, preziosa risorsa per il nostro Paese nell’attuale società della conoscenza.