Generazione tradita Massimo Giannini la Repubblica 2.1.2011 Cani randagi nella notte scura, la vita no, non fa paura. Nelle parole di una vecchia canzone c'è la nuova fotografia di tanti giovani di oggi. Vagano irrequieti, a volte arrabbiati, quasi sempre sfiduciati. Abbaiano alla luna. Con un'aggravante: la vita, stavolta, fa davvero paura. Su questa sottile linea d'ombra, sul crinale sospeso tra protesta e proposta per una modesta "riforma" dell'Università, gli Invisibili tra i 18 e i 30 anni sembrano tornati al centro della scena pubblica. A questa Generazione Tradita il presidente della Repubblica ha dedicato il suo messaggio di Capodanno. Parole non banali e non rituali, quelle di Giorgio Napolitano, che alla politica detta un'Agenda totalmente nuova e diversa. Che serva a restituire un'idea di futuro ai giovani, e quindi un progetto di crescita all'Italia intera. Che sia scritta fuori "dall'abituale frastuono e da ogni calcolo tattico". Ma proprio per questo, l'Agenda del Quirinale non ha chance per trasformarsi in un'Agenda di governo. La diagnosi del Capo dello Stato è incontrovertibile. Il profondo malessere delle nuove generazioni. Il distacco abissale e allarmante tra la politica, le istituzioni e la società civile. La mancanza di opportunità di lavoro, senza le quali "la democrazia è in scacco". La disoccupazione che dilaga soprattutto tra i ragazzi e le donne, nella colpevole indifferenza dell'establishment, quando ci sarebbe l'urgenza di trasformarla invece "nell'assillo comune dell'intera nazione". Il dovere di estinguere l'enorme cambiale del debito pubblico che nonni e padri hanno scaricato all'incasso di figli e nipoti, macchiandosi di una "colpa storica e morale". L'imperativo di tagliare il nodo delle disuguaglianze del reddito e della ricchezza, che hanno acuito "l'impoverimento di ceti operai e di ceti medi, specie nelle famiglie con più figli". La necessità che lo Stato dirotti risorse su scuola, formazione e cultura, razionalizzando la spesa corrente e rendendo "operante per tutti il dovere del pagamento delle imposte". L'opportunità che le imprese investano in ricerca e innovazione, perché "passa anche di qui l'indispensabile elevamento della produttività del lavoro". Sono dati di fatto drammatici. Interrogano la responsabilità delle classi dirigenti del Paese. Ma chi raccoglierà concretamente la sfida, al di là degli encomi solenni e rigorosamente bipartisan che sempre accompagnano i moniti del presidente della Repubblica? Berlusconi, occupato a comprare qualche deputato in vista della ripresa dei lavori parlamentari e a minacciare qualche giudice della Consulta in vista della sentenza sul legittimo impedimento? Tremonti, impegnato a non far uscire un solo euro dal bilancio pubblico e a coltivare sogni para-leghisti da primo ministro in caso di collasso del berlusconismo? Marchionne, abituato a "volare alto" su queste miserie italiane e a misurare la produttività di un'azienda solo con il cronometro dei turni alla catena di montaggio? Oppure, sul fronte opposto. Fini e Casini, ingaggiati in un Terzo Polo che li costringe ad allearsi ma anche a marcarsi a vicenda? Bersani e Vendola, condannati a convivere e a confliggere, per impedirsi l'un l'altro di lanciare un'opa sull'intera sinistra? Bonanni e Angeletti, ormai consegnati mani e piedi a un "sindacalismo di maggioranza" dove conta solo la firma purchessia su un accordo, meglio se separato? La Camusso, obbligata prima o poi a una resa dei conti con la frangia interna del "pansindacalismo metalmeccanico"? Nell'Italia politica di oggi, purtroppo, non si vedono le condizioni per raccogliere la lezione civile impartita da Napolitano. Anche il Capo dello Stato rischia di abbaiare alla luna. Già a maggio il governatore della Banca d'Italia Draghi aveva avvisato: "I giovani sono le vere vittime di questa crisi". La disoccupazione nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni è pari al 24,7% a livello nazionale e al 35,2% nel Sud. Quasi il 60% dei disoccupati totali ha meno di 34 anni. Le assunzioni nel 2009 sono diminuite del 30%, mentre quelle andate in porto sono regolate quasi tutte da contratti temporanei. Ma intanto, come avverte Pierluigi Celli nel suo ultimo libro, il 90% dei licenziamenti degli ultimi due anni ha riguardato contratti a tempo determinato. Ciò significa che i giovani pagano due volte il costo della flessibilità: in entrata (hanno solo contratti a tempo) e in uscita (sono i primi a perdere il posto). La pubblica istruzione non aiuta. Scuola e università, con o senza legge Gelmini, sono e continueranno ad essere come li descriveva Alberto Ronchey quasi trent'anni fa: parcheggi antropologici. I nostri laureati sotto i 30 anni hanno un tasso di occupazione inferiore del 20% alla media europea. Le retribuzioni medie, in ingresso, sono inferiori di oltre il 50%. Tutto questo è noto da anni. Eppure la politica non ha mosso un dito. Dobbiamo solo fare "un bel bagno di ottimismo", come ha proposto il Cavaliere nella sua indecente conferenza di fine d'anno. E invece ha di nuovo ragione Napolitano, quando lo avverte che "non possiamo consentirci il lusso di discorsi rassicuranti e di rappresentazioni convenzionali del nostro lieto vivere collettivo". Non lo ascolteranno. Perché al dunque, a dispetto di una certa vulgata "liberale" terzista e a tratti fiancheggiatrice di questo centrodestra, sono loro, i governanti di oggi, i primi veri "conservatori". Sono loro che in due anni e mezzo non hanno cambiato di una virgola la "narrazione" fasulla intorno a questo Paese. I giovani scendono in piazza. Qualche delinquente indulge alla violenza, macchiando un intero movimento ed offrendo nuovi alibi al vecchio Potere. Ma non c'è un assedio al Palazzo d'Inverno, non c'è una piazza che urla e si oppone alle dure e indispensabili "cure" somministrate al Paese. Chi protesta, chi sta male, chi è inquieto, lo fa per la ragione contraria, e cioè perché da troppo tempo non si vede una sola riforma. "Gli abbiamo intossicato il futuro", è l'autocritica dolente che Zygmunt Bauman ha formulato di fronte ai disagi dei giovani d'oggi. "Tornatevene a studiare, invece di tirare le molotov", è la critica sprezzante con cui li ha liquidati Berlusconi, pochi giorni prima che Napolitano li ricevesse sul Colle. Tra queste due "visioni" c'è un abisso spaventoso. L'Italia ci sta precipitando dentro. |