Contributi “obbligatori”?
Evitare gli abusi e migliorare la comunicazione

di Anna Maria Bellesia La Tecnica della Scuola, 16.2.2011

Dopo le discusse vicende del 2010, un sindaco di un Paese del veneziano indica di non dare il pasto ad una bimba di quattro anni figlia di immigrati in difficoltà. Per Antonio De Poli, segretario regionale dell'Udc, è una volgare politica razzista, fatto già di per sé esecrabile, sulle spalle di una creatura senza colpe. 

Tempo di iscrizioni e le scuole tornano chiedere soldi alle famiglie. Però c’è modo e modo: non si possono imporre “tasse” e/o “contributi” obbligatori.

Il tema è tornato di attualità sulla stampa nazionale in seguito alle segnalazioni di abusi da parte del sito skuola.net.

Il quotidiano La Stampa, negli articoli del 22 e 28 gennaio scorso, ha intervistato il capo dipartimento del Ministero dell’Istruzione per le risorse umane e finanziarie Giovanni Biondi, il quale si è espresso con molta chiarezza: “Chiedere un contributo limitato è legittimo. Ma le scuole non hanno alcun diritto di chiedere denaro in forma obbligatoria alle famiglie. Se le scuole chiedono ancora contributi in forma obbligatoria compiono un atto del tutto ingiustificato. Chi lo farà verrà segnalato dal ministero agli Uffici scolastici regionali perché si prendano i provvedimenti necessari per eliminare la richiesta”.

Sul sito del Ministero, è scritto altrettanto chiaramente che “eventuali contributi per l’arricchimento dell’offerta culturale e formativa degli alunni possono essere versati dalle famiglie solo ed esclusivamente su base volontaria”.

Va precisato che nessun consiglio di istituto può esigere “tasse”, per il semplice motivo che non ne ha la facoltà. Le tasse “erariali”, da versare allo stato, sono previste nelle scuole di istruzione secondaria superiore e sono di importo piuttosto esiguo: 6,04 euro per la tassa di iscrizione e 15,13 euro per la tassa di frequenza. Sono esonerati dal pagamento gli studenti che si trovano nella fascia dell’obbligo di istruzione, cioè fino a 16 anni, perché in regime di gratuità, secondo le norme vigenti e come ribadito dall’ultima circolare ministeriale del 3/2/2011.

Sul sito dell’Ufficio scolastico regionale per il Veneto è ben spiegata la differenza fra tasse e contributi. Questi ultimi rientrano pienamente nella facoltà delle scuole e nella loro autonomia gestionale, purché mantengano “la natura volontaria e non obbligatoria, fatta eccezione per le spese sostenute dalla scuola per conto delle famiglie (es. assicurazione per infortuni, libretto personale, pagelle)”. Inoltre, “tali contributi devono essere deliberati motivatamente dal consiglio d’istituto; la natura degli stessi e la loro finalità e destinazione devono essere rese note alle famiglie”.

E' vero che oggi le scuole hanno vitale bisogno dei contributi delle famiglie, e d’altra parte quasi tutti i genitori sono disposti a pagare somme non esorbitanti se giustificate nella destinazione.

Ma allora serve una doverosa, corretta e trasparente comunicazione istituzionale. Invece di scrivere “è obbligatorio pagare…”, incorrendo in una palese illegittimità, basterebbe usare formule più consone, del tipo “è richiesto il contributo di euro… finalizzato alle seguenti attività... e detraibile nella dichiarazione dei redditi”.

Lo stesso agguerrito Skuola.net alla fine consiglia di pagare se la famiglia ne ha la possibilità “perché la richiesta delle scuole è giustificata spesso da una reale necessità di sopravvivenza. Inoltre potete giudicare voi stessi se questo denaro è speso bene o male attraverso il servizio erogato dalla scuola”. Insomma bisogna guadagnarsi la fiducia della propria utenza, senza imporre alcunché. E senza trascurare la debita rendicontazione, che è l’aspetto al quale le associazioni genitori ci tengono di più, visto che si trovano ad essere “i principali finanziatori delle scuole dopo lo Stato”.

Concetti fermamente ribaditi dalla presidente dell’A.Ge.Toscana Rita Di Goro durante la trasmissione “La radio ne parla” del 26 gennaio 2011. Non solo: i genitori pretendono che i contributi richiesti siano effettivamente utilizzati per l’ampliamento dell’offerta formativa e non dirottati sulle spese più varie. Del tutto d’accordo si è detto il capo dipartimento Giovanni Biondi, per il quale bisogna fare una netta demarcazione fra il curricolo obbligatorio, da sostenere col finanziamento statale, e le attività di ampliamento/arricchimento per le quali si può ricorrere ad ulteriori risorse pagate dalle famiglie.

Alla trasmissione è intervenuto anche un cittadino portavoce di un malcontento che serpeggia diffusamente: se io pago le tasse per avere i servizi, e la scuola è un pubblico servizio, perché devo versare altre somme non da poco? E' come se il Ministero della giustizia mi chiedesse a sua volta dei contributi per migliorare il funzionamento…

Dunque come fare? Lo ha ammesso Giorgio Rembado presidente dell’Anp: la strada è quella del coinvolgimento delle famiglie, e per questo serve che i dirigenti scolastici acquisiscano doti manageriali. In altre parole occorre una formazione adeguata ai tempi, basta col profilo del “preside” di una volta. Nell’attuale società della comunicazione e della partecipazione, saper comunicare efficacemente diventa pertanto uno dei saperi essenziali del dirigente scolastico.