I giovani visti dai loro prof

Flavia Amabile La Stampa, 18.12.2011

Ecco due interviste a due professori, il primo in pensione, la seconda molto più giovane, sul loro rapporto con gli studenti.


Ha quarant’anni di scuola alle spalle, Lino Picca, prof ora in pensione in quello che un tempo era l’istituto magistrale e ora è diventato il liceo socio-pedagogico. Insegnava filosofia in provincia di Salerno, e ha iniziato nel ‘68.

In quegli anni gli adolescenti conoscevano la loro strada?

«In quarant’anni di insegnamento ho avuto modo di distinguere tre generazioni di studenti. Quelli che hanno studiato con me negli anni che vanno dal ‘68 alla fine degli anni Settanta erano i più motivati, avevano le idee chiare e fortemente impegnati da un punto di vista politico».

E negli anni successivi?

«Si è andata via via affievolendo la tensione verso temi politici. Da una generazione tutta proiettata verso l’esterno si è arrivati agli studenti degli anni Novanta quasi narcisistici. Persino io che sonos empre stato il professore di sinistra, amato, impegnato, mi sono opposto a scioperi convocati solo per il gusto di saltare un giorno di scuola».

Come si restituisce a questi ragazzi il futuro?

«Io sono sempre stato molto impegnato sul piano politico. Anche negli anni Ottanta e Novanta sono riuscito a coinvolgerli. L’importante era la scelta dei temi: la pace e l’aiuto verso i Paesi più poveri sono sempre stati gli argomenti giusti per dare anche ai ragazzi meno interessati la possibilità di impegnarsi.

In che modo?

«Con le idee. Ho istituito ad esempio una ‘scuola di pace’, partecipavano 200 studenti ogni anno degli 8 istituti superiori della mia città. I ragazzi hanno avuto modo di incontrare persone come Alex Zanotelli o don Ciotti: è stato molto importante per loro».

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Mila Spicola ha 43 anni, per l’età media dei professori di ruolo delle scuole italiane è considerata una delle giovani leve. Insegna arte in una scuola media di Palermo dove i ragazzi della vita conoscono già il lato peggiore e difficilmente qualcuno racconta loro che non c’è solo questo.

Come si può parlare a ragazzi come questi?

«E’ più semplice di quanto si possa immaginare. A quell’età e in quel contesto il rapporto non può essere disciplinare ma affettivo. Innanzitutto bisogna amare quello che si insegna e bisogna stabilire con i ragazzi un rapporto di affetto. A quel punto è fatta: quello che viene insegnato in classe diventa la cosa che piace alla persona a cui vuoi bene e quindi piace anche a te. E’ un po’ ruffiano ma è l’unico metodo che funzioni».

E’ sicura che funzioni davvero?

«Ho la fortuna di avere ragazzi che in genere sono sinceramente disinteressati.E, quindi, quando sono interessati sono sinceramente interessati. Non esiste alcuna falsità in loro, il rapporto è basato sull’autenticità».

E le regole?

«Con loro bisogna essere rigorosi ma non all’inizio, altrimenti si ottiene l’effetto opposto. Prima bisogna stabilire un rapporto affettivo».

E dal punto di vista didattico?

«Bisogna imparare a parlare la loro lingua. Caravaggio e Leopardi saranno sempre gli stessi, è il modo di comunicare con i ragazzi ad essere cambiato. Il problema è che i professori sono l’unica categoria a essere priva dell’aggiornamento obbligatorio. Tutto è lasciato alla buona volontà dei singoli. Non è giusto né nei confronti dei docenti, né degli alunni».