SCUOLA
Fioroni (Pd): prima del concorso Intervista a Giuseppe Fioroni il Sussidiario 21.12.2011
La proposta del ministro Francesco Profumo di rimettere in moto la
macchina concorsuale ha riaperto il dibattito in tutto il mondo
della scuola. «Voglio riaprire la scuola agli insegnanti giovani» ha
detto il ministro. Sul proposito nessuno ha avuto da ridire. Ma è
sul «come» che gli interrogativi sono molti. Il nuovo iter formativo
disegnato dall’ex ministro Gelmini resterà una pratica senza firma?
Come si concilia il nuovo percorso abilitante con una macchina
concorsuale che prefigura meccanismi di fatto alternativi? E come
indire il medesimo concorso? Con la delega Fioroni del 2008 o con
una legge per la quale servono tempi più lunghi? Aprendolo alla
platea degli abilitati, o di tutti i laureati? E mettendo in palio
quanti posti? Interviene Giuseppe Fioroni, deputato del Pd ed ex
ministro dell’Istruzione. Come ha accolto la proposta di un nuovo concorso lanciata dal ministro Profumo?
L’idea di un nuovo concorso è positiva, perché di per se stessa è
segno di speranza e di prospettive per le nuove generazioni. Credo
però che il ministro Profumo debba valutare tre cose. La prima: c’è
una delega approvata dal Parlamento (la delega Fioroni inserita
nella Finanziaria 2008, ndr) a procedere per via regolamentare al
nuovo reclutamento. Essa dà il massimo rilievo al tirocinio e al
periodo di praticantato. Gelmini ha esercitato quella delega per
modulare la parte della formazione; ora occorre attuare al più
presto la parte relativa al reclutamento.
L’obiettivo dev’essere quello di trasformare le graduatorie ad
esaurimento in graduatorie esaurite. Salvando così i diritti di
quelli che ne fanno parte. Concorso, allora, significa che chi vince
va a fare il docente, e chi non vince si attrezza per fare altro.
È il secondo punto che a mio modo di vedere Profumo dovrebbe
valutare. Occorre reperire bene i posti disponibili da mettere a
concorso, al netto delle ultime assunzioni di precari fatte e
attivandosi perché ai 10mila posti in esubero risultanti da materie
di insegnamento che non esistono più sia applicata la mobilità
all’interno del pubblico impiego con i relativi processi di
riqualificazione. Così da liberare spazi per nuovi ingressi, ma
senza alimentare false illusioni.
Esatto. Io ritengo che il concorsone in sé sia una buona idea, ma
senza adeguamento si svolgerebbe secondo le vecchie modalità, cosa
che non si deve fare. Terzo punto, infine, è che venga firmato il
decreto sul Tfa (tirocinio formativo attivo) bloccato da un numero
inusitato di mesi. Non possiamo continuare ad essere il Paese che
assume decisioni senza dar loro seguito.
Guardi, occorre avere il coraggio di firmarlo perché è parte
integrante dell’ordinamento e non si può far finta che non sia così.
E questo dev’essere fatto al più presto, certamente entro marzo. Chi
si oppone fa finta di non sapere che la formazione non è più quella
di prima, un bel corso di laurea al quale fanno seguito le supplenze
e il piazzamento in graduatoria. Dalla delega in poi, abilitazione e
reclutamento sono distinti.
Le regole sono chiare, i numeri vanno definiti nel rispetto di tutti
i fattori: il nuovo sistema pensionistico e un sistema composito di
riferimento, che non sono soltanto i posti liberi del sistema
statale ma dell’intero sistema d’istruzione pubblico. Il tutto nel
rispetto del mutato contesto, sapendo cioè che siamo in un nuovo
sistema, quello che separa abilitazione da reclutamento.
Penso che il meglio sia spesso nemico del bene; e che attivare
modalità di assunzione diverse da quella di un reclutamento
nazionale rischi di far sì che per cambiare tutto, tutto resti
uguale.
Dobbiamo ragionare con ciò che c’è. Ciò che siamo chiamati a fare è
ammodernare un sistema di reclutamento nazionale sulla base delle
regole che ci siamo dati, tenendo conto della nuova formazione e
dell’importanza del nuovo reclutamento per avere una classe docente
preparata. Il meglio che molti ipotizzano in varie direzioni è
spesso la copertura che impedisce l’innovazione e lascia tutto
com’è.
A tutt’oggi non c’è un processo valutativo dei dirigenti scolastici
e la scuola è l’unico segmento della pubblica amministrazione che
non ha processi valutativi. La valutazione dei ds è il primo
requisito per poter valutare l’attività della scuola e intervenire
con una correzione. E qui si tocca un altro nodo cruciale. L’Invalsi
non può regredire ad interna corporis del ministero, ma configurarsi
in modo più netto come autorità terza e indipendente. Se vogliamo
valutare anche le politiche scolastiche implicite nella valutazione,
un bisticcio tra controllore e controllato diventa una cosa nefasta.
...porterebbe la sgradevole idea di una valutazione ispirata alla
sanzione. Valutare significa premiare chi fa bene, ma dare a chi
resta indietro gli strumenti per recuperare.
Il problema non è la pubblicazione dei dati. I numeri sono
importanti, ma occorre innanzitutto la «saggezza» necessaria per
mettere docenti e scuole in condizione di poter auto-correggere ciò
che non va bene. Anche con il supporto di strutture di sostegno
all’uso e all’analisi dei dati. È questo l’obiettivo, non la
sanzione punitiva. No. Diversamente rischieremmo che se il dato crea disdoro, si faccia di tutto perché la volta dopo il dato non crei più disdoro, anche a prezzo della non verità. Sarebbe indurre al dato edulcorato, ottenendo l’effetto opposto a quello che vogliamo perseguire. |