Sulla valutazione del sistema scolastico italiano: qualche riflessione e una proposta

di Anna Angelucci, 3.12.2011

1) Un necessario preambolo

Sgombriamo preliminarmente il campo da fuorvianti equivoci: una valutazione rigorosa del sistema scolastico italiano, finalizzata al miglioramento della sua qualità e al potenziamento degli strumenti che consentano l’assolvimento del suo mandato costituzionale, è auspicata, oggi più che mai, non solo dai rappresentanti delle istituzioni italiane e europee, ma da ogni singolo cittadino che abbia a cuore il presente e il futuro del nostro paese, primi fra tutti gli insegnanti.


2) Breve storia di un’idea

In Italia si è cominciato a parlare di valutazione di sistema circa venti anni fa e, da allora, tutti i ministri con i loro esperti, e tutti i responsabili delle scelte di politica scolastica a livello istituzionale e amministrativo, con perfetto spirito bipartisan e con uno sconcertante furor burocraticus, hanno prodotto leggi, decreti, direttive, circolari, lettere con cui hanno varato, trasformato, modificato, cancellato e riesumato, sempre dalla stessa costola ministeriale, una pletora di sistemi, enti, istituti, agenzie, servizi preposti alla valutazione nazionale, tutt’altro che autonomi, che non solo non hanno valutato e valorizzato il sistema scolastico italiano ma hanno generato disinformazione, disorientamento, diffidenza (1).
Quand’è che l’idea comincia a prendere corpo? Nel 2008/09, l’Invalsi parte con la rilevazione degli apprendimenti nella scuola primaria, poi nel 2009/10 si prosegue nella scuola media (dove addirittura i test nazionali si sovrappongono alle prime due prove scritte previste dall’Esame di Stato) ed infine nel 2010/11 si passa alla scuola secondaria di II grado, con la rilevazione degli apprendimenti degli studenti del II anno, esattamente in contemporanea con la realizzazione del piano programmatico attuativo dell’art. 64 della legge 133/2008 che realizzerà in quello stesso triennio il più massiccio disinvestimento economico, sociale e culturale mai abbattutosi sulla scuola statale nella storia dell’Italia repubblicana.

In estrema sintesi, possiamo dunque dire che la valutazione del sistema scolastico italiano, messa faticosamente a punto in sede ministeriale e parlamentare nell’arco di un ventennio con notevole dispendio di risorse economiche e umane, si configura oggi per il MIUR come la mera rilevazione degli apprendimenti degli alunni in italiano e matematica attraverso test standardizzati.


3) Il valore aggiunto come indicatore unico per l’accountability delle scuole

E’ l’assunto pedagogico che sottende l’intera operazione: i test misurano il valore aggiunto (o sottratto) dalle scuole alla formazione delle competenze degli studenti (2).
Mette appena conto osservare che, nell’ambito dei sistemi educativi, il dibattito sui significati del termine ‘competenze’ (mutuato da modelli di organizzazione aziendale centrati sulla valutazione delle capacità lavorative degli individui), sul loro grado di effettiva misurabilità e sull’individuazione dei relativi strumenti di misurazione, è ricchissimo, controverso e ancora aperto (3).
La compilazione di un questionario sociometrico con una scheda-raccolta delle informazioni di contesto (dati personali e familiari, corredati, per gli alunni più grandi, da scarse informazioni psicoattitudinali sulle modalità di studio e di apprendimento) permetterebbe di individuare ciò che, nelle risposte degli alunni, non può essere attribuito alla scuola.

Si assume dunque che, attraverso complesse metodologie tecnico-statistiche di elaborazione di una trentina di risposte in italiano e matematica, alla luce di una quantità risibile di dati extrascolastici, si possano calcolare i guadagni cognitivi netti degli studenti (cioè epurati di tutte le variabili di contesto personale, familiare e sociale) e che questo permetterebbe una trasparente operazione di accountability finalizzata, come millantato ai cittadini italiani e alle istituzioni europee, a migliorare il sistema, premiando o punendo docenti e scuole.

Sentiamo, a questo proposito, cosa scrive chi ha già fatto questa esperienza, in America.
Così Diane Ravicth (4), nel suo “The death and the life of the great american school system. How testing and choise are underminig education”, Basic Books 2010:
“Il problema dell’uso dei test per prendere importanti decisioni in merito alla vita delle persone è che i test standardizzati non sono strumenti precisi. Sfortunatamente molti funzionari eletti non lo capiscono, sicuramente non lo capisce l’opinione pubblica. Le persone credono che i test abbiano validità scientifica, come un termometro o un barometro, e che essi siano obiettivi, non offuscati dal fallibile giudizio umano. Ma i punteggi dei test non sono paragonabili a pesi o a misure standard; essi non hanno la precisione di una scala o di un parametro medico. I test variano nella loro qualità, e anche i migliori possono a volte essere soggetti a errori, a causa di errori umani o di errori tecnici. Difficilmente una tornata di test passa senza episodi di cantonate da parte delle principali società che elaborano i test. Talvolta le domande sono malamente espresse. Talvolta alle risposte viene attribuito un punteggio sbagliato. Talvolta la risposta che si suppone giusta è sbagliata o ambigua. Talvolta due delle quattro risposte a una domanda a risposta multipla sono egualmente corrette.” (5)
E ancora: “La Commissione sull’uso appropriato dei test del National Research Council stabilì in un autorevole report nel 1999 che “i test non sono perfetti” e che “il punteggio di un test non costituisce una misura esatta delle conoscenze o delle capacità di uno studente”.
Infine: “Un problema con l’accountability basata sui test, come attualmente definita e praticata, è che rimuove tutta la responsabilità dagli studenti e dalle loro famiglie in merito alla performance scolastica. [….] C’è qualcosa di sbagliato in questo. C’è qualcosa di profondamente sbagliato in un sistema di accountability che trascura i numerosi fattori che influenzano la performance di uno studente in un test annuale, inclusi gli sforzi personali dello studente stesso, eccetto quello che un insegnante fa in classe per un’ora al giorno.” (6)

E’ ancora possibile affermare, come fanno alcuni tra i più strenui sostenitori dell’Invalsi, che “se Mario Rossi ha fatto il test della terza media meglio del 60% degli studenti del suo anno e il test della quinta elementare meglio del 40% degli studenti del suo anno, la differenza di 20 punti percentuali può essere considerata come misura del valore aggiunto che lo studente ha ricevuto dalla sua scuola media” (7), senza considerare la volontà e gli sforzi di Mario Rossi, la sua determinazione ad apprendere, la sua crescita personale, il suo sviluppo cognitivo autonomo, l’impegno e le risorse messe in campo dalla sua famiglia, l’influenza del gruppo dei pari (la classe, gli amici), il ruolo degli apprendimenti informali?
Ed è possibile che i nostri decisori politici, gli esperti, gli accademici più autorevoli, i rappresentanti delle istituzioni e i membri del Governo possano imporre oggi al sistema scolastico italiano quello che è stato apertamente dichiarato fallito negli Stati Uniti proprio da chi l’ha teorizzato e implementato?
Se una delle definizioni di competenza è, secondo Guy Le Boterf, “un insieme, riconosciuto e provato, delle rappresentazioni, conoscenze, capacità e comportamenti mobilizzati e combinati in maniera pertinente in un contesto dato” (8), è mai possibile che la conoscenza e la capacità di riflettere sull’esperienza di una soluzione sbagliata al problema dell’efficacia dei sistemi scolastici non suggeriscano ai nostri esponenti politico-istituzionali un’onesta retromarcia per non reiterare l’errore e le sue pesantissime conseguenze?


4) Proposta per una valutazione del sistema scolastico italiano

Proviamo a utilizzare una definizione ampiamente condivisa come punto di partenza:
Una valutazione di sistema consiste nella formulazione di un giudizio di valore espresso su più dimensioni (formative e organizzative) del contesto scolastico, con l'indicazione della loro distanza da livelli definiti come ottimali. La valutazione di sistema ha una natura funzionale e serve principalmente ad orientare le decisioni di politica scolastica e a regolare l'interno del sistema.
Bene, se questa definizione è corretta e la assumiamo, occorre:

a) individuare e definire con chiarezza le attuali dimensioni formative e organizzative del contesto scolastico italiano, in relazione al quadro giuridico multidimensionale (stato, regione, enti locali e autonomia) che lo caratterizza
b) individuare e definire con chiarezza i suoi livelli ottimali, in termini gestionali e organizzativi, in termini di curriculum e di obiettivi di apprendimento significativi, in termini di partecipazione collettiva agli organi collegiali e decisionali
c) individuare e definire con chiarezza le risorse da allocare alle scuole, tenendo presente dati quantitativi e qualitativi che garantiscano, a ciascuna secondo i propri bisogni, il raggiungimento di tutti gli standard di prestazione, organizzativi e formativi
d) individuare e definire con chiarezza gli indicatori e i parametri che segnaleranno gli scarti
e) individuare e definire con chiarezza le misure compensative atte a ridurre quella distanza.

I test Invalsi, che continuano ad essere dolosamente sbandierati in Italia e in Europa come unità di misura degli apprendimenti da cui sarebbe possibile desumere la qualità del sistema, la qualità della singola scuola, la qualità degli insegnamenti, la qualità dei docenti, vanno semplicemente ridimensionati e relativizzati.
Essi sono uno strumento di rilevazione esterno alla scuola, che può avere una sua ragion d’essere, in un quadro complessivo di valutazione di sistema, solo se “i risultati delle prove standardizzate” saranno “confrontati con la performance degli studenti così come tradizionalmente misurata dai voti assegnati dagli insegnanti nel corso dell’anno e negli esami di fine d’anno. I risultati dovranno altresì essere confrontati con opportune prove non standardizzate, come già avviene nei test OCSE-PISA. Ciò allo scopo di effettuare una valutazione basata su più dimensioni che consenta di non perdere alcuni aspetti fondamentali della nostra "cultura" scolastica non rilevabili attraverso l’esclusiva somministrazione di prove standardizzate, quali ad esempio la verifica della capacità di esposizione orale o di composizione di un testo, la capacità di esposizione critica e sistematica del proprio pensiero, la capacità di cogliere ed esprimere i nessi fra più discipline, la capacità di "produrre" opere complesse.” (9)
E solo se, vorrei aggiungere, insieme alla rilevazione degli apprendimenti fatta attraverso una pluralità di strumenti diversi, si promuova una forma di responsabilizzazione e di rendicontazione sociale delle scuole (basata in primis sull’autovalutazione) che non generi meccanismi di selezione e competizione tra docenti e tra scuole (fortemente condizionabili da comportamenti opportunistici, da nuove forme di discriminazione sociale, da una didattica finalizzata all’addestramento) ma che riconosca e valorizzi tutti i processi cooperativi dell’attività educativa, dall’organizzazione delle attività scolastiche allo svolgimento dell’attività didattica, al rapporto con le famiglie e con le istituzioni culturali e sociali.
(10)

Una valutazione di sistema che miri a innalzare il livello generale dell’istruzione e che abbia come obiettivo reale, e non come puro slogan demagogico, la valorizzazione del capitale umano deve essere sostenuta da politiche scolastiche di investimento sulla scuola (e questa è sì una fondamentale raccomandazione della Comunità Europea, che definisce l’investimento in istruzione e formazione “un indicatore globale”), sulla formazione continua degli insegnanti (disciplinare, pedagogica, psicologica, didattica) e sull’apprendimento permanente dei cittadini, “essenziale, non solo per la competitività, l'occupabilità e la prosperità economica, ma anche per l'inclusione sociale, la cittadinanza attiva e la realizzazione personale delle persone che vivono e lavorano nell'economia della conoscenza.” (11)
In Italia, il livello di istruzione va incrementato con l’innalzamento dell’obbligo scolastico e non formativo, anche attraverso l’introduzione di un biennio unitario (con uno zoccolo duro di insegnamenti linguistici, umanistici, scientifici e artistici) e con la riduzione del numero degli alunni nelle classi più numerose; con la promozione e il finanziamento dell’educazione prescolastica; con la promozione e il finanziamento del tempo pieno nella scuola primaria; con la promozione e il finanziamento delle attività di recupero dei debiti formativi nella scuola secondaria; con la promozione e il finanziamento delle attività didattiche per gli alunni disabili o con bisogni speciali; con la promozione e il finanziamento delle attività didattiche finalizzate alla prevenzione della dispersione scolastica nelle aree a rischio (12).
Concludendo:
“Se vogliamo migliorare l’istruzione, dobbiamo prima di tutto avere una visione di cosa sia una buona istruzione […..] Chiunque abbia a che fare con l’istruzione dei ragazzi deve chiedersi perché noi educhiamo. In che cosa consiste una persona ben istruita? Quali conoscenze deve aver conseguito? Cosa ci aspettiamo quando mandiamo i nostri figli a scuola? Cosa vogliamo che loro imparino e conquistino durante la loro permanenza a scuola fino al diploma? Certamente noi vogliamo che imparino a leggere, a scrivere e a far di conto. Queste sono le abilità di base su cui poggiano tutti gli altri apprendimenti. Ma non è tutto. Noi vogliamo prepararli ad una vita sensata. Noi vogliamo che siano in grado di pensare con la propria testa quando sono nel mondo da soli. Noi vogliamo che abbiano una bella personalità e che sappiano prendere decisioni sulla loro vita, il loro lavoro, la loro salute. Noi vogliamo che affrontino le gioie e le difficoltà della vita con coraggio e con humor. Noi speriamo che essi siano gentili e compassionevoli nei loro comportamenti con gli altri. Noi vogliamo che abbiano il senso della giustizia e della bellezza. Noi vogliamo che capiscano la loro nazione e il mondo e le sfide che abbiamo di fronte. Noi vogliamo che siano cittadini attivi e responsabili, preparati a formulare proposte con attenzione, ad ascoltare differenti punti di vista e a prendere decisioni razionalmente. Noi vogliamo che loro imparino scienze e matematica per capire i problemi della vita moderna e partecipare alla ricerca delle soluzioni. Noi vogliamo che essi apprezzino il patrimonio artistico e culturale della nostra e delle altre società.
Ognuno di noi potrebbe allungare sempre di più la lista dei risultati sperati, ma un punto deve essere chiaro. Se questi sono i nostri obiettivi, l’attuale, angusta focalizzazione sul nostro regime nazionale di test non è sufficiente per raggiungere nessuno di essi .” (13)

 

Roma, 3 dicembre 2011

 

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Note

(1) Si legga, al riguardo, la lettera di M. Tiriticco, “Della valutazione di sistema: come e perché”, 19/11/2011, in rete.

(2) Roberto Ricci, “La misurazione del valore aggiunto nella scuola”, in Programma Education Fondazione Giovanni Agnelli, Working Paper n. 9 (12/2008)

(3) Tra i tanti contributi sull’argomento, si segnalano Nico Hirtt, “A proposito dell’approccio attraverso le competenze. Abbiamo bisogno di lavoratori competenti o di cittadini critici?”, in Solidarietà, anno 4, n. 25, 2003 e Giorgio Israel, “Sulla questione delle competenze”, in Scuola Democratica, n. 2 della nuova serie, giugno 2011

(4) Diane Ravitch è Research Professor of Education alla New York University e storica dell’educazione, nonché Adjunct Professor of History and Education alla Columbia University. Dal 1991 al 1993 è stata responsabile dell’Office of Educational Research and Improvement in the U.S. Department of Education, sotto la presidenza di George H.W Bush. Dal 1997 al 2004 è stata membro del National Assessment Governing Board, che sovrintende il National Assessment of Educational Progress, il programma federale di testing. Sotto la presidenza di Bill Clinton ha collaborato con il responsabile del Dipartimento dell’Educazione. Nel 1999 è stata uno dei membri fondatori della Koret Task Force della Hoover Institution presso la Stanford University: la Task Force supporta le riforme dell’istruzione basate sul principio dell’accountability. Nell’aprile 2009 si è dimessa dall’incarico.

(5) Mi permetto di rinviare, a questo proposito, alle mie riflessioni sul test Invalsi d’italiano 2011 per le classi seconde della scuola secondaria di secondo grado (“Finzioni”, maggio 2011, in rete)

(6) Dal testo originale, non ancora tradotto in italiano, pp. 152-53 e 163

(7) D. Checchi, A. Ichino, G.Vittadini, Un sistema di misurazione degli apprendimenti per la valutazione delle scuole: finalità e aspetti metodologici, proposta elaborata per l’Invalsi, 2008

(8) Guy Le Boterf, De la compétence: Essai sur un attracteur étrange, 1990, Les Ed. de l’Organisation.

(9) D. Checchi, A. Ichino, G.Vittadini, op. cit.

(10) Angelo Paletta, La scuola socialmente responsabile. Ripensare i meccanismi di
accountability nella prospettiva del Bilancio Sociale, Rivista dell’Istruzione, 6/2007, Maggioli Editore, Rimini

(11) Commissione delle comunità europee, Un quadro coerente di indicatori e parametri di riferimento per monitorare i progressi nella realizzazione degli obiettivi di Lisbona in materia di istruzione e formazione, 2007

(12) Si leggano, al proposito, la lucida analisi e la proposta di riforma del sistema scolastico italiano di Marina Boscaino, Un programma per la scuola, in Micromega, 7/2011

(11) Diane Ravitch, op. cit, pp.230-31