Caro
Ministro della Pubblica Istruzione, se vuole bene alla scuola, si
dimetta.
Emanuele Rainone, 20.12.2011
Milano , 20/12/2011
Caro Ministro della Pubblica Istruzione,
se vuole bene alla scuola, si dimetta. Non mi riferisco ovviamente
al Prof. Profumo, ma proprio al Ministro, al suo ruolo e alla sua
funzione. È una semplice constatazione: negli ultimi vent’anni, se
non ci fossero stati ministri dell’istruzione, la scuola sarebbe
andata sicuramente meglio. Tutte le grandi riforme annunciate e
attuate a metà sono andate contro la scuola e non hanno fatto altro
che aggravare una situazione di crisi permanente. La scuola, come
del resto la società italiana, ha resistito alle incompetenze e alle
bizzarrie – per usare un eufemismo – della politica. Ha resistito
significa che ha in sé il movimento vitale del tutto autonomo per
continuare da sola e la politica è stata semplicemente un corpo
estraneo legittimato a strapazzarla a seconda dei capricci dei
potentati di turno. Ma guardiamo all’oggi: tale regola purtroppo non
aveva ancora la possibilità di essere falsificata o riconfermata dal
nuovo ministro, ma sono bastati pochi giorni ed ecco che il brivido
della falsificazione dovrà attendere forse ancora qualche tempo:
‘concorso per 300.000 insegnanti entro il 2012; motivo: vogliamo i
giovani!’.
Le illustro il mio caso personale, perché la mia storia è comune a
molti. Le scrive un insegnante che all’età di 25 anni – quando era
giovane - si è abilitato all’insegnamento; oggi ne ha 34, ha una
famiglia e un lavoro precario. Per lo standard italiano è ancora
giovane, ma non troppo. Ha fatto un concorso (quiz, orale, scritto)
per frequentare la scuola di abilitazione (due anni a tempo pieno
con frequenza obbligatoria, esami e tirocinio) e un concorso (tesi,
scritto, orale) per uscire dalla stessa scuola con l’abilitazione.
Insegna da ben 9 anni. Attende pazientemente il suo turno in
graduatoria permanente per avere il ruolo. Bene: questo insegnante
dovrà fare un altro concorso per ottenere il posto che attualmente
ricopre, che gli spetta e che aspetta da 9 anni. Vogliamo farne una
questione formale? Il concorso siss non era formalmente un concorso
a cattedra? Obiezione accolta. Controbiezione: chi è in grado di
giudicarmi? Una commissione formata da insegnanti che magari hanno
solo qualche anno di anzianità in più di me e che potrebbero essere
miei colleghi? Qualche barone universitario che non ha mai messo
piede in una scuola? Non sto parlando di ‘valutazione’
dell’insegnamento, sto parlando di continuare o meno a fare il mio
lavoro.
La retorica dei ‘giovani’ è totalmente priva di senso: nella scuola
siamo entrati tutti da ‘giovani’, il problema è che siamo
invecchiati da precari. Il fatto che sfugge totalmente a questa
boutade del concorso è che il lavoro che gli insegnanti precari
fanno da decenni nella scuola vale zero, nulla. Io non ho
assolutamente nulla di differente dal mio collega di ruolo, se non
il fatto che per motivi di bilancio delle casse dello stato, non
sono di ruolo. Cosa dovrei dimostrare con il concorso, che so fare
il lavoro che faccio da 9 anni?
La scuola non ha bisogno di ‘giovani’ in quanto giovani; il problema
della scuola è – come sempre quando si tratta di cultura – un
problema di senso. Un tecnico forse queste cose non le capisce, ma
un professore universitario dovrebbe almeno porsi il problema. Sì,
proprio un problema di senso. E come si risolvono i problemi di
‘senso’? Prima di tutto ponendoseli.
Pensare di risolvere la cosiddetta crisi della scuola ricorrendo
alla vuota retorica del merito, ai test invalsi o alla metafisica
della palingenesi generazionale, significa continuare a mirare al
bersaglio sbagliato. Spero tanto che prima o poi le cartucce
finiscano.
Emanuele Rainone