Lettera aperta al Ministro Profumo sull'università
Luciano Modica, 10.12.2011
Caro Ministro Profumo,
l’università italiana vive da dieci anni una situazione sempre più
difficile. Lei ne è una figura autorevole e non c’è quindi bisogno
di illustrarle i dati oggettivi che sono reperibili in qualunque
analisi internazionale indipendente: una cronica carenza di
finanziamenti, soprattutto per le infrastrutture e per la ricerca;
un carico contributivo sulle famiglie degli studenti tra i maggiori
in Europa; un drastico ridimensionamento numerico del personale
docente e tecnico. Sono tutti fattori che hanno indebolito l’azione
e la capacità innovativa degli atenei italiani. Ma ancor più li ha
indeboliti il furioso attacco mediatico alla credibilità del sistema
che, anche se giustamente motivato da gravi episodi di malcostume da
estirpare con decisione, ha finito col travolgere la fiducia
nell’intera università.
Questa fiducia deve essere assolutamente ristabilita. E’ il primo
obiettivo politico di un Ministro che non si voglia trasformare
nello spietato accusatore dello stesso sistema che governa. E’ un
obiettivo per il quale ci sono tutti i presupposti. Infatti la
ricerca universitaria italiana dà ancora oggi risultati eccellenti
su scala internazionale, soprattutto se rapportati all’esiguità dei
finanziamenti e del numero di ricercatori. La formazione degli
studenti, pur in presenza di problemi infrastrutturali e
organizzativi, è di ottimo livello se comparata con gli standard
europei. Il ruolo culturale, economico e sociale di ciascun ateneo
nel suo territorio è in costante crescita e permette di recuperare
importanti spazi di sviluppo. La dedizione al lavoro del personale
universitario è, salvo eccezioni, ammirevole nonostante che cominci
a diffondersi scoramento. Si tratta di un patrimonio nazionale che
va difeso e rafforzato, non svilito e disperso. Non c’è del resto
alcuna speranza di sviluppo duraturo per un Paese che non “ama” la
sua università. E’ giusto che le chieda sempre i massimi risultati e
la massima trasparenza, ma anche che ne riconosca il ruolo cruciale.
Servono dunque chiare discontinuità rispetto al recente passato. In
questo momento di crisi non sarà facile reperire risorse finanziarie
che compensino i pesanti tagli già subiti o addirittura riportino il
finanziamento a crescere gradualmente verso le medie europee. I
segnali di inversione di rotta, forse limitati in termini
finanziari, devono però essere forti in termini politici.
Si ridia innanzitutto più autonomia e meno burocrazia agli atenei e
contemporaneamente si punti ad una valutazione stringente della
qualità dei risultati ottenuti, senza sconti e senza ritardi. La si
smetta con l’esasperato centralismo dirigistico, col delirio dei
prerequisiti numerici, con la confusione dei ruoli negli organi di
governo e di controllo del sistema. Le leggi potranno essere
modificate o abrogate nei loro aspetti meno condivisibili ma intanto
vanno applicate in forma non occhiuta né burocratica, attenti a
incentivare le innovazioni e le pratiche più efficaci per un
miglioramento continuo, piuttosto che il cieco rispetto delle norme.
La ricerca universitaria va rivalutata perché costituisce l’ossatura
e la parte maggiore del sistema ricerca del Paese, oltre che il
presupposto per una formazione avanzata di buona qualità. Si
privilegi la curiosità innovativa e l’avanzamento della conoscenza,
in ogni campo. Si sostengano i progetti di ricerca di interesse
nazionale il cui finanziamento è sceso ai minimi storici, per giunta
in uno stato di perenne incertezza su tempi e regole, ma si riveda
il meccanismo di assegnazione dei finanziamenti con l’uso di
metodologie e competenze internazionali per eliminare i conflitti di
interesse.
Non si dimentichino le dotazioni infrastrutturali universitarie, il
cui capitolo sul bilancio statale è stato chiuso nel 2002 e mai più
riaperto. Sono ormai al lumicino tanto che spesso le condizioni
logistiche di lavoro sono da terzo mondo e la strumentazione
scientifica obsolescente. Sulla didattica il Ministero, anche in
vista della valutazione e dell’accreditamento, monitori e indirizzi
senza imposizioni burocratiche il passaggio dalle facoltà ai
dipartimenti per evitare che nei corsi di studio si indeboliscano la
progettazione culturale, soprattutto negli aspetti
multidisciplinari, e l’organizzazione.
Un altro settore in cui l’Italia è paurosamente indietro è il
welfare studentesco, in particolare per il sostegno agli studenti
capaci e meritevoli provenienti da famiglie non abbienti. Ne
risultano ostacolate sia la mobilità sociale che quella geografica,
mentre diminuiscono gli immatricolati e non aumentano come
dovrebbero le percentuali di laureati sulla popolazione attiva.
Occorre innanzitutto garantire i servizi del diritto allo studio a
tutti coloro che rientrano nei requisiti di reddito e merito per le
famiglie prive di mezzi. Ma occorre intervenire, con prestazioni
graduate rispetto alle necessità, anche nei confronti di studenti
meritevoli provenienti da famiglie con mezzi ridotti. Non si
dimentichi poi che tutti gli studenti hanno diritto ad avere gli
strumenti e le opportunità per una soddisfacente crescita personale,
culturale e professionale, per una rapida conquista
dell’indipendenza, per una compiuta cittadinanza attiva.
Occorre infine riaprire e regolarizzare sia il reclutamento di
giovani ricercatori e professori di talento, sia le progressioni di
carriera per coloro che lo meritano. Il sistema è bloccato da anni,
la sua fluida regolarità è un miraggio. Con le ultime leggi i
giovani hanno visto aumentare sempre più l’età d’ingresso nei ruoli
universitari. Così molti hanno rinunciato a questa carriera o hanno
accettato offerte di lavoro all’estero. Si sciolgano almeno le
incertezze delle nuove procedure concorsuali, semplificandole e
accelerandole sia per i professori che per i ricercatori a tempo
determinato, lasciando la funzione meritocratica alla valutazione ex
post piuttosto che a intricate regole ex ante.
Sono punti su cui è possibile registrare concordia e consenso ampi.
Auguri di buon lavoro!
Luciano Modica