Dossier
Pensioni, uomini via dal lavoro a 42 anni Si chiude l'era del sistema retributivo, da gennaio 2012 tutti i lavoratori avranno il contributivo. Finisce anche la lunga stagione dell'anzianità, un'anomalia con effetti pesanti sulla spesa corrente. Salvi gli assegni sotto i mille euro di Roberto Mania la Repubblica, 5.12.2011
SI CHIUDE un'epoca per
il sistema previdenziale italiano: quello del sistema retributivo e
delle disparità di trattamento. L'estensione a tutti del sistema di
calcolo contributivo rappresenta una novità importante e un passo
decisivo verso l'armonizzazione delle regole. Saremo tutti uguali
davanti alla pensione e i nostri assegni dipenderanno dal livello
dei versamenti accantonati e non dal livello delle retribuzioni
degli ultimi anni di lavoro.
Il governo - ed è
significativo che l'abbia deciso un ministro donna - ha scelto di
accelerare l´equiparazione dell´età pensionabile di uomini e donne.
Obiettivo: 67 anni di età media effettiva del pensionamento. Già dal
prossimo anno quella della donne salirà a 63 contro i 66 degli
uomini.
Per le donne, inoltre,
è prevista una fascia flessibile per il pensionamento tra i 63 anni
e i 70. La flessibilità di uscita per gli uomini è invece prevista
nella forchetta tra 66 e 70 anni. Chi lascerà il lavoro prima
dell'età per la vecchia subirà una penalizzazione. Rinviare l'uscita
significherà raccogliere più contributi che contribuiranno ad
aumentare il montante sul quale si calcolerà l'assegno
pensionistico. Si reintroduce così un principio di flessibilità
nell'uscita dal lavoro, coerente con un sistema di calcolo
contributivo. Sia per gli uomini sia per le donne sarà necessario un
requisito minimo di anzianità contributiva di 20 anni. Alle casse previdenziali privatizzate dei professionisti (che hanno regola autonome) il governo chiede la messa in sicurezza dei conti in una prospettiva medio lunga, altrimenti si applicherà anche a loro il metodo contributivo a partire, sempre, dal primo gennaio del 2012.
Il governo punta
all'armonizzazione delle regole anche tra i diversi fondi dell'Inps
che ancora godono di trattamenti particolari, da quello dell'energia
a quello dei dirigenti d'azienda.
Dal 2012 gli uomini
potranno lasciare il lavoro con 42 anni e un mese di versamenti
indipendentemente dall'età, le donne, invece, con 41 anni e un mese.
Tuttavia chi entro il 31 dicembre di quest'anno maturerà i requisiti
per il pensionamento d'anzianità (per esempio 40 anni
indipendentemente dall'età anagrafica) potrà lasciare il lavoro
senza penalizzazioni. Le penalizzazioni scatteranno dal 2012 e si
tradurranno in un 2 per cento in meno nel trattamento per ogni anno
di anticipo rispetto all'età minima (62 per le donne e 66 per gli
uomini). Restano in vigore le norme sulle aspettative di vita che,
dal 2013, allungano l'età di tre mesi Le risorse per l'adeguamento degli assegni al costo della vita arriveranno - ha detto ieri il presidente del Consiglio, Mario Monti, durante la conferenza stampa dopo il varo della manovra - "dai proventi derivanti del bollo sullo scudo fiscale". In un primo tempo, per ragioni di risorse finanziarie disponibili, si era pensato di adeguare completamente solo le minime e indicizzare solo per il 50 per cento la quota di pensione dal minimo a quella due volte il minimo. Il governo Berlusconi era già intervenuto sull'indicizzazione delle pensioni. Per gli assegni da tre a cinque volte il minimo era previsto, per il 2012, l'adeguamento del 90 per cento. Per chi ha una pensione pari a cinque volte il minimo l'adeguamento era del 70 per cento.
Quasi la metà dei
pensionati riceve attualmente meno di mille euro al mese. E solo il
15 per cento della platea dei pensionati riceve ogni mese intorno ai
duemila euro. Attualmente con il metodo retributivo ogni anno di pensione vale il 2 per cento circa dell'ultima retribuzione. Quindi nel caso di un lavoratore con 40 anni di contribuzione l'assegno pensionistico si traduce in circa l'80 per cento dell'ultima retribuzione. È evidente che non è proprio la stessa cosa raggiungere questo risultato con un'aliquota del 20-21 per cento oppure con una che rasenta il 33 per cento. C'è dunque uno scarto, per i lavoratori autonomi, tra quando versato all'Inps durante la propria carriera e quanto si riceve sotto forma di pensione. |