SCUOLA

Precari e graduatorie:
e se sparigliassimo con un bel concorso?

Max Bruschi il Sussidiario 27.4.2011

Mi sono astenuto, sino ad oggi, da ogni esteso commento circa il futuro inserimento a “pettine” previsto nell’aggiornamento delle Graduatorie ad esaurimento. Come è noto, il “corpo mistico dell’organico” e le sue tecnicalità, così come si sono venuti stratificando nel corso dei lustri, sono fuori dalle mie corde. Tutte le volte che mi ci addentro per dovere d’ufficio, penso con nostalgia alla reazione di Alessandro Magno di fronte al “nodo di Gordio”: un colpo di spada e fine delle trasmissioni... Ma le prese di posizione di questi giorni, di parte politica e sindacale, hanno bisogno di una qualche forma di risposta e riflessione a mente fredda.

Ora, la cronistoria della vicenda e la posizione che era stata scelta dall’Amministrazione sono perfettamente esposte nella richiesta di parere formulata dal direttore Luciano Chiappetta all’Avvocatura Generale dello Stato, nella quale si prospettava per le GAE la possibilità di aggiornare i punteggi e sciogliere le riserve senza consentire spostamenti.

Come è noto, l’Avvocatura si è dichiarata di diversa opinione, negando che si potesse, alla luce della sentenza della Corte costituzionale, procedere in tal modo: trattandosi della struttura che difende l’Amministrazione in caso di contenzioso, non si poteva non tenerne conto. E, come dovrebbe essere altrettanto noto, anche la soluzione legislativa è stata bloccata dal macigno rappresentato dalla sentenza della suprema Corte (sentenza dove, mi sia permesso sommessamente di evidenziarlo, più volte le graduatorie permanenti e le graduatorie ad esaurimento sono state considerate, addirittura usando le due dizioni come sinonimi, come fossero la stessa cosa: il che non è). Insomma, più che di decisione del ministero (uno decide tra diverse alternative, se le alternative non ci sono, il suo libero arbitrio è cancellato), occorrerebbe parlare di una presa d’atto della situazione. Che poi non piaccia, è altra questione. Ma ad impossibilia, nemo tenetur.

Quanto alla soluzione di legge, è forse utile rievocare quanto la materia del personale scolastico sia stata e sia preda di decisioni prese nelle aule dei tribunali a prescindere dalla volontà del Parlamento. Il mantra dei “diritti acquisiti” e delle “legittime aspettative” è la formula contro cui si schianta ogni intervento basato sul buon senso e sulla necessità di fare piazza pulita di un sistema di reclutamento focalizzato su tutto tranne che sulla selezione qualitativa degli assunti. Ho il forte timore che qualsiasi soluzione che non sterilizzi le GAE, evitando persino di sfiorarle e considerandole un fatto compiuto, possa essere più o meno facilmente smontata in sede giudiziaria e far sì che il vecchio trascini il nuovo nel suo abisso.

C’è un altro rischio: soprattutto passata la boa della metà legislatura, ogni proposta di intervento sul personale della pubblica amministrazione e a maggior ragione sul personale della scuola, unico settore dove ancora si assume, può diventare l’occasione non per una riflessione seria sul cosa sia meglio per la qualità del sistema, ma per un assalto alla diligenza da parte di gruppi o gruppuscoli alla ricerca della sanatoria o dell’ope legis e per la conseguente approvazione di emendamenti trasversali che rispondono a logiche diverse dalla fermezza sulla qualità.

E allora? Allora forse è il caso, a tambur battente, in attesa che comunque il Parlamento si esprima sui disegni di legge già da tempo alle Commissioni parlamentari (ma perché non pensare a una sintesi del meglio del pdl Aprea e del pdl Pittoni?), di rimettere in moto la macchina concorsuale, sia per dare uno sbocco meritocratico alla nuova formazione iniziale docenti, sia per riservare una sorta di corsia di sorpasso a tutti quei bravissimi docenti, inseriti nelle GAE o comunque abilitati, che l’attuale sistema delle graduatorie condanna, a prescindere dal merito, ad anni e anni di purgatorio.

Insomma, sarebbe bene sparigliare, dando una possibilità a chi si vede immeritatamente scavalcato dai raccoglitori di punti, da qualunque parte provengano, e indicando una strada diversa alle immissioni in ruolo. A maggior ragione di fronte all’opportunità che, nei prossimi anni, ci siano massicce immissioni di personale: come selezionarlo determinerà la qualità del sistema scolastico nei prossimi vent’anni.

Lo strumento c’è, ed è la delega “Fioroni” a un nuovo regolamento concorsuale, delega più volte ricordata dalle magistrature di controllo e dal CNPI nell’espressione dei pareri sulla nuova formazione iniziale. Delega che non può fare tutto (ad esempio, non può istituire albi regionali, non può passare il personale alle scuole), ma potrebbe rappresentare una svolta.

Quanto al come esercitarla, ci sono alcuni paletti che, a mio avviso, dovrebbero essere tenuti fermi, alla luce dello stato attuale e delle esperienze del passato. Primo, la platea concorsuale dovrebbe essere costituita dal personale abilitato, nelle GAE o fuori dalle GAE. Secondo, occorre evitare la costruzione di nuove graduatorie, dunque a bando dovrebbero essere messi esclusivamente il 50% dei posti disponibili per le assunzioni (il resto, come da legge, è patrimonio delle GAE): non uno di più e non uno di meno. Terzo, le prove dovrebbero essere strutturate in maniera iperselettiva. Quarto, si dovrebbe intervenire sulle assegnazioni, stabilendo innanzitutto che l’anno di prova debba essere svolto nella sede di “titolarità”, che la commissione chiamata a valutarlo sia rafforzata come competenza e autorevolezza (attualmente è elettiva... ce lo vedete un grecista a valutare un insegnante di Scienze motorie?) e che il vincolo successivo di permanenza nella sede debba essere quinquennale, senza scappatoie. Quinto, che in alcuni specifici casi l’assegnazione sia fatta non con un criterio meramente burocratico (chi primo arriva, sceglie), ma facendo incontrare il profilo dei docenti, già “aventi diritto” al posto, perché vincitori di concorso, con le particolari esigenze delle singole scuole.

Resterebbero aperte altre questioni che solo la via parlamentare può affrontare, a partire dallo stato giuridico dei docenti per arrivare a una rivisitazione complessiva dell’intera materia. Ma forse è meglio, anziché restare bloccati, compiere i passi possibili.