E ora i precari aspettano di Stefano Feltri Il Fatto Quotidiano, 10.4.2011 Adesso diranno che ieri in piazza c’era la parte migliore del Paese. Invece nei cortei, dietro gli striscioni con lo slogan “Il nostro tempo è adesso, il futuro non aspetta”, c’era semplicemente un pezzo d’Italia. Quello più precario. I numeri non sono quelli delle grandi piazze operaie: a Roma circa 30 mila persone, a Milano un migliaio, diverse centinaia a Bologna e così via, in decine di città, anche nelle più piccole. Ma i precari sanno di essere figli di un dio minore, anzi, come si è scritta una ragazza su un braccio “figli di un dio stagista”. Gli unici pullman che si vedono in piazza della Repubblica, da dove parte il corteo di Roma, sono quelli dei turisti. Non c’è l’infrastruttura organizzativa dei partiti, neppure quella dei sindacati, anche se nel comitato promotore della manifestazione e tra gli organizzatori ci sono alcuni ragazzi della Cgil giovani. Viene avvistato il segretario generale, Susanna Camusso, “ma se sale sul palco la fischiano”, dice qualcuno. Le uniche bandiere di partito che si vedono sono quelle dei professionisti dei cortei, micro-formazioni della sinistra radicale. Perché il movimento dei precari, ammesso che sia un movimento, non si fida. Si è sfiorata la scissione già alla vigilia: i milanesi del gruppo di San Precario accusavano il comitato de “Il nostro tempo è adesso” di essere manipolato dal Pd e dalla Cgil e quindi volevano boicottare i cortei. “Magari il Pd e la Cgil potessero influenzare qualcosa” è il commento più frequente che si registra tra i partecipanti. Poi San Precario ha cambiato idea, era a Roma con il suo camion, la musica, i volantini degli “stati generali della precarietà” che ci saranno il prossimo weekend. Avrebbero voluto anche un intervento dal palco. Scissione evitata. “La cosa che colpisce è che questi non sono giovani, l’età media sarà vicina ai 35 anni”, dice una precaria Rai guardando il serpente umano che si snoda nel centro di Roma. I ragazzi sono già brizzolati, molte donne sono mamme. “Ho una bambina di 11 mesi, sto incrociando le dita sperando che accettino la mia domanda per un progetto a Hong Kong, così crescerà trilingue, inglese, italiana e cinese”, spiega una ragazza che oramai si è rassegnata, “ho vissuto in Vietnam, l’Italia ormai è molto simile, con la differenza che il Vietnam è in crescita e l’Italia declina”. A tentare una lettura sociologica del corteo si può dire che ieri in piazza c’era l’élite precaria, quelli con laurea e master, con lavori che una generazione fa avrebbero assicurato benessere e prestigio e che ora si fanno gratis, magari dovendo fare un secondo lavoro per permettersi di non guadagnare nulla con il primo. Non si vedono i precari dei call center immortalati da Paolo Virzì quando il dramma sembrava quello della Generazione mille euro (oggi la soglia è scesa parecchio). Ma ci sono i ricercatori dell’Ispra (l’istituto di ricerca e protezione ambientale del ministero dell’Ambiente) che sono di nuovo sull’orlo della disoccupazione, oppure i vincitori di concorsi pubblici che non riescono a insediarsi nel posto che spetta loro. Uno dei gruppi più numerosi è quello dei ricercatori dell’Istat, l’Istituto nazionale di statistica. Gabriella, 33 anni, una laurea, un dottorato in statistica, un lungo periodo di ricerca quasi gratis in università, spiega perché è una precaria di lusso: “Noi vincitori del concorso abbiamo tutti un contratto di due anni, in busta paga prendiamo 1.800 euro netti, ma siamo qui perché vogliamo che tutti abbiano gli stessi diritti e perché anche per noi la stabilità resta un miraggio”. Ma c’è ovviamente anche chi se la passa peggio. Le lavoratrici delle cooperative che assistono gli studenti disabili ostentano le fotocopie giganti delle loro buste paga: 530 euro al mese, quando va bene 800. A rendere più difficili le definizioni e a smontare gli stereotipi ci sono poi i lavoratori delle Assicurazioni Generali, “produttori”, si definiscono, cioè promotori assicurativi. “Siamo assunti a tempo indeterminato”, dice Gianluca, che poi spiega perché sfila con i precari. “Abbiamo un fisso da 500 euro, poi le provvigioni ma soltanto per i nuovi clienti”. Risultato: “Lo scorso anno ho presentato un Cud da 8.900 euro, non si vive così, siamo tutti costretti ad abitare ancora con i genitori. Soltanto da gennaio a oggi, qui a Roma, si sono dimessi in dieci, uno a settimana”. Le storie, insomma, sono così diverse da rendere difficile una sintesi e una rivendicazione davvero comune. Le ragazze del gruppo femminista romano Diversamente Occupate fanno questo ragionamento: i precari di oggi sono il contrario delle masse operaie degli anni Settanta, oggi è molto più difficile unirsi per contare di più, perché le vicende individuali sono troppo eterogenee, eppure la generazione precaria si sta imponendo proprio con le tattiche vecchio stile, con le manifestazioni di piazza. E anche il prossimo passo si inserisce nel solco della tradizione: uno sciopero, “precario” ovviamente. Come possano scioperare lavoratori che non ne hanno il diritto e che rischiano il licenziamento o la rottura istantanea della collaborazione (se autonomi) è ancora poco chiaro. Forse diventerà un evento tutto virtuale, magari un messaggio in bottiglia su Facebook o un tweet. Di sicuro la protesta non si è esaurita ieri. La politica sembra che se ne stia accorgendo. Rosy Bindi, presidente del Pd, davanti al Colosseo, rievoca i suoi sette anni da ricercatrice universitaria precaria. “Il primo stipendio era 130 mila lire, poi sono arrivata a 700 mila, ma chi lavorava in banca guadagnava il doppio”. Poi, guardando il corteo, aggiunge: “non si può lasciar solo un mondo così”. La aspettano al varco. |