Scuola, sul piede di guerra per l’INVALSI

di Davide Pelanda da Nuova Società, 11.4.2011.

Che "la vita è tutta un quiz", come cantava Renzo Arbore nel programma tv "Indietro tutta", lo dimostrano i questionari dell'INVALSI (Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema scolastico). Quei test per capirci che le scuole italiane da qualche anno somministrano per valutare i singoli ragazzi delle elementari (seconda e quarta) e delle media inferiori (seconda e terza, in quest'ultimo anno sono presenti all'esame di licenza ndr).

Tali test, previsti di matematica, italiano e pare quest'anno (ma è notizia fresca fresca non ufficiale ndr) anche di inglese, dovrebbero far parte di quel sistema di valutazione sostenuto dai vari governi di ogni colore e raccomandato anche da numerose direttive europee. Ma che, di fatto in Italia, non sono mai diventate legge dello Stato ma che si basano solo ed esclusivamente in una circolare e nota di un dirigente ministeriale. Ma, come si sa, le note o le circolari ministeriali interpretano la legge esistente e la sua applicabilità, non sono fonti del diritto. E' la legge che deve essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale per essere applicata e rispettata.

Ma i quiz per parecchi motivi non sono amati dagli insegnanti, i quali, attraverso i soli Cobas, stanno tentando da più tempo di boicottarli. «Di anno in anno le prove si sono fatte sempre più invasive – dicono i Cobas - dall'obligatorietà del quiz in terza media introdotta dal ministro Fioroni all'alargamento della rilevazione a tutte le classi di tutte le scuole italiane, fino alla somministrazione di un "questionario per lo studente" al limite della schedatura di massa. Tale pervasività ogni docente può misurarla nei libri di testo che offrono in misura sempre maggiore strumenti di allenamento ai quiz».

Da più parti ci si domanda: ma questionari a cosa servono? Semplice, dice dal ministero del'Istruzione il capo dipartimento per le Risorse Umane Giovanni Biondi: sono «un'ulteriore opportunità offerta per compiere un'analisi delle competenze dei loro studenti. Ma è una scelta dei singoli istituti». Il sospetto venuto a più di un docente è che, invece, a chi avrà risultati eccellenti di queste prove vengano erogati contributi in più per il funzionamento dell'istituto (una specie di meritocrazia?), mentre a chi avrà risultati scarsi nulla.

Secondo i Cobas queste prove vogliono essere oggettive ed asettiche «che annullano di colpo la soggettività non solo dell'alunno, ma anche dell'insegnante: la relazione intersoggettiva, basilare in ogni sano rapporto pedagogico, è sostituita da una performance e una valutazione oggettive». E l'esempio è in italiano dove, essic dicono, «il tema ha perso la centralità a favore della comprensione del testo. Si preferisce una prova completamente decontestualizzata. Anche la matematica si sta rapidamente riducendo ad un molto più applicativo problem solving, minando allo statuto stesso della disciplina».

Eppure gli stessi genitori degli alunni ed i docenti pare non si possano opporre a questa imposizione. Ci hanno provato in una scuola di un circolo di Roma lo scorso anno che non aderì alla somministrazione e dove fu inviato un ispettore. «Fra ammonimenti, minacce di provvedimenti disciplinari anche a carico del Dirigente scolastico – ricorda la Dirigente Renata Puleo – si ottiene che alcuni docenti ritirino la dichiarazione resa precedentemente e che i precari diano disponibilità a sostituire i colleghi». E le prove INVALSI in maniera coercitiva e dal sapore dittatoriale vennero ahinoi fatte ugualmente.