Meglio il maestro Manzi del reality Marina Boscaino Il Fatto Quotidiano, 18.4.2011 Non è mai troppo tardi per dire stop a un progetto demenziale. Mentre il nostro Gran Simpatico nazionale continua ad infangare scuola pubblica e insegnanti, esaltando l’illegittimo favore che il governo accorda alle paritarie, in nome della “libertà di scelta”, giunge una notizia dettata da inaspettato buon senso. “Sei un insegnante precario della scuola? Sei disoccupato? Vuoi rimetterti in gioco e fare qualcosa di diverso? Contattaci, puoi vincere dieci anni di stipendio”. È così che Canale 5 nei giorni scorsi reclutava protagonisti per un nuovo reality, dall’oltraggioso titolo Non è mai troppo tardi, citazione di un glorioso programma Rai degli anni ’60. La sconfitta storica del precariato proposta come humus vitale per la Tv immondizia. Il paradossale, surreale, cinico sfruttamento massmediatico delle tragedie della falcidia di posti di lavoro, contrapposte – con una punta ulteriore di sarcasmo, considerato il titolo – a uno dei massimi strumenti di sviluppo civile. Grottesca e disarmante la difesa del direttore di Canale 5, Donelli, alle tante critiche – compresi gruppi Facebook di precari – che gli sono piovute addosso: rivendicava al programma la “valorizzazione di una professione troppo spesso sottovalutata”. Nonostante tanta considerazione, siamo contenti che – grazie anche a quella indignazione – il programma è saltato. E pudore, educazione, sobrietà per una volta hanno prevalso. C’era una volta la Tv di qualità, quella che ha contribuito in maniera determinante ad innalzare il tasso di alfabetizzazione e a rendere la geografia variabile dei dialetti locali, l’italiano parlato da tutti. 1954: la Rai manda i corsi di Telescuola, programma sperimentale realizzato con il sostegno del ministero della Pubblica Istruzione, diretto a consentire il completamento del ciclo di istruzione obbligatoria ai ragazzi residenti in località prive di scuole. Ma è Non è mai troppo tardi il programma che negli anni ’60 ha letteralmente insegnato l’italiano a tante persone che non erano mai andate a scuola. La riforma della scuola media unica e obbligatoria, del ’62, non avrebbe coinvolto una larga fascia di generazioni: rivolta al futuro, non al passato. La giovane Tv diventa una delle leve strategiche di un’effettiva inclusione socio-culturale, strumento imprescindibile, come sostiene Tullio De Mauro, della nascita dell’italiano in un Paese con un tasso di analfabetismo notevole, frazionato in dialetti. In pieno boom economico, si punta all’alfabetizzazione di massa via etere. Eventi, circostanze, obiettivi e finalità che hanno fatto la grande Tv prima dell’avvento delle commerciali. Dimensione e orizzonte completamente differenti da quelli attuali: basti pensare allo stupore dei miei alunni di III liceo quando ho raccontato loro di Ungaretti che introduceva l’Odissea, o della serata fissa destinata al teatro, di cui abbiamo recentemente rivisto alcuni esempi – sfruttando la lavagna interattiva come schermo! – trattando di Pirandello: i ricordi della mia infanzia. Vado a riguardare su YouTube la faccia pulita del maestro Manzi, l’inappuntabile giacca e cravatta, il suo parlare democratico, sobrio, diretto; guardo i visi dei partecipanti di allora: persone che andavano in Tv contornate dalla propria dignità; compiaciute non della propria ignoranza, ma di ciò che stavano ricevendo. Non da un capitale aleatorio di un premio monetario, ma dal capitale cognitivo di conoscenze permanenti. I partecipanti del reality cancellato sarebbero stati selezionati tra i più ignoranti dei programmi precedenti, preparati a dovere dai precari che avrebbero potuto così “rimettersi in gioco”, erudendoli per partecipare a un quiz. Nessuna meraviglia nel Paese in cui un’ex soubrette televisiva, famosa per proposte di legge mai andate in porto, vuole emendare – confermando la sua vocazione all’inanità – i libri di storia, perché “comunisti”. Dall’intellettuale organico a Gabriella Carlucci. Dall’ingresso intenzionale nel mondo dell’alfabeto e della democrazia, al dileggio per la scuola della Repubblica, al cinismo travestito da lusinga. Per questa volta l’abbiamo scampata. Ma prepariamoci al peggio. |