Graduatorie ad esaurimento: Alessandra Michieletto da Orizzonte scuola, 12.4.2011 Scuola. Una parola che richiama tutto un universo di ricordi, emozioni, esperienze passate, presenti e future. Scuola come gestore delle fondamenta dell’essere umano a livello educativo, sociale, culturale. Scuola come luogo fisico. Scuola come scrigno contenente vite diverse, storie diverse: di bambini, ragazzi, adulti. Scuola come insieme di persone che credono nella loro professione, che hanno studiato, che studiano e che sempre studieranno per questo. Che si impegnano quotidianamente per costruire menti, anime e cuori. E’ la nostra scuola. Dei nostri bambini, di noi insegnanti, del personale ATA, dei DS. Una scuola troppe volte messa in forse da una normativa fin troppo duttile. Una scuola assoggettata all’alternarsi dei governi, delle idee politiche e delle logiche economico-finanziarie. Una scuola che oggi dobbiamo difendere in una battaglia senza esclusione di colpi: una battaglia che sta assumendo, nostro malgrado, una connotazione esclusivamente politica. Chi scrive è un cospicuo gruppo di insegnanti italiani che ormai da anni si sta battendo per il proprio posto di lavoro. La questione riguarda in questo caso non l’emergenza tagli, scure pur sempre presente e che meriterebbe indubbiamente un discorso a parte, ma la gestione stessa della classe docente ormai da cinque anni. Un breve excursus storico consentirà di capire qual è stato il gioco di questo quinquennio. La legge Fioroni 296 del 2007 cambiava nome e natura alle ex graduatorie permanenti trasformandole in Graduatorie ad Esaurimento. In sostanza il meccanismo era semplice e chiaro: scelta di una provincia e formazione di un elenco di insegnanti (ciascuno per ogni ordine e grado di scuola), che avrebbe dovuto rimanere chiuso fino al suo esaurirsi. Non venivano negati i trasferimenti, ma qualora un docente avesse optato per una nuova scelta, sarebbe entrato in posizione subalterna rispetto agli altri: nascevano così le cosiddette code. Quindi ogni maestro, ogni professore fece la sua scelta di vita, optando per una possibilità lavorativa oppure per un’altra. Un cambiamento di sistema che sembrava aver dato finalmente una logica al continuo stravolgimento delle graduatorie alla loro riapertura. Tutto questo fino alla scadenza biennale delle suddette. Arriviamo dunque al 2009 quando un esercito di docenti attendeva con ansia di poter aggiornare il punteggio. Essendo il sistema scuola composto di persone, logicamente ogni professionista aveva delle esigenze personali che voleva veder rispettate. L’esigenza di molti era quella di poter cambiare provincia inserendo il punteggio maturato. Ed è qui che ebbe inizio il contenzioso che, ad oggi, è da molti visto come ragione di spaccatura all’interno della classe docente stessa. Se da un lato c’erano le esigenze di chi per una ragione o per l’altra voleva spostarsi, dall’altro occorreva rispettare i diritti di chi, facendo una scelta di vita, aveva optato per una provincia, magari apportato dei cambiamenti anche significativi alla propria esistenza. Dal 2007 erano passati solo due anni, eppure alcuni avanzarono la richiesta di poter cambiare provincia entrando con il proprio punteggio a “pettine”. Il Ministro dell’Istruzione Gelmini emanò un decreto che, in sostanza, seguiva la norma emanata da Fioroni, dando ai precari la possibilità di inserirsi, sempre in coda, in ulteriori tre province opzionali oltre la propria. Una soluzione che a nostro avviso fu ponderata e che diede molte più possibilità lavorative agli insegnanti, i quali nel frattempo avevano conosciuto da vicino la dura realtà dei tagli. Molti accettarono la volontà legislativa, ottenendo anche incarichi annuali e ruoli tramite le code. Per altri invece questa decisione era inaccettabile: seguendo le indicazioni di una sigla sindacale (del quale ometteremo il nome), avviarono una serie di ricorsi contro la normativa suddetta, avanzando le già citate richieste, fino ad arrivare dinnanzi la Corte Costituzionale. Trascorrono altri due anni, durante i quali sui due fronti, comunemente chiamati “pro” e “contro” pettine, sono cresciute aspettative, speranze, paure, nei confronti del proprio futuro lavorativo. Il 2011: l’anno del giudizio. La Corte Costituzionale dichiara illegittime le code, abrogando le norme ad esse collegate. In tanti esultano, tanti altri piangono vedendo avvicinarsi lo spettro dei trasferimenti o allontanarsi una possibilità lavorativa in più. Il mondo dei precari è sempre più spaccato, diviso, lacerato al suo interno. Maestri contro maestri, professori contro professori, educatori contro educatori. Con l’approssimarsi del nuovo aggiornamento lo scenario è ad oggi quantomeno incerto e soggetto alla diatriba politica ed alle logiche interne ai partiti di maggioranza ed opposizione. Sono molte le opinioni che il lettore potrà farsi leggendo queste righe. Sono tante le emozioni di chi scrive, di chi non parla solo di norme, ma che vi fa riferimento per arrivare ad una costatazione fondamentale: la nostra Costituzione all’art. 3 tutela il diritto al lavoro di tutti i cittadini ed il diritto alla realizzazione personale senza che ciò si attui a scapito delle legittime aspettative di altri lavoratori ed in corso d'opera, manipolando, mutilando e stravolgendo la normativa di volta in volta. I dettami dell' art. 3 non possono essere mai oggetto di facile manipolazione a seconda delle diverse maggioranze parlamentari e delle diverse convenienze politiche, in quanto, ribadiamo, nessun cittadino ha diritto al lavoro a scapito di un altro, soprattutto quando la normativa vigente, Legge 296, regola con ordine e chiarezza la materia inerente le Graduatorie ad Esaurimento che gli scriventi hanno rispettato negli anni creandosi, elemento innegabile, dei legittimi e non sacrificabili progetti di vita personale e familiare. Purtroppo la questione è stata palesemente strumentalizzata e presentata nei termini di una contrapposizione tra docenti del Nord e del Sud, ma questo non risponde assolutamente al vero. Sarebbe sufficiente dare uno sguardo veloce ai movimenti regionali denominati No Pettine per accorgersi che sono attivi in quasi tutte le regioni d'Italia, dal Nord al Sud. Presentando le cose secondo quest'ottica miope e distorta, non si tiene conto del fatto che proprio tanti insegnanti del Sud hanno, a suo tempo, fatto una precisa scelta di vita trasferendosi al Nord, su cui hanno imperniato l’esistenza di intere famiglie e, ora, potrebbero veder calpestati i propri diritti, ma soprattutto i propri sacrifici. Noi precari NO-PETTINE chiediamo un intervento legislativo mirato che tuteli i nostri diritti. I diritti di chi rispettoso della volontà legislativa ha effettuato una scelta. I diritti delle nostre famiglie, che non devono vedersi stravolgere l’esistenza a causa del nostro a dir poco mutevole scenario lavorativo. I diritti dei nostri alunni, a cui deve essere assicurata la continuità didattica come garanzia di qualità. I diritti della nostra scuola. Di una scuola che amiamo dalle fondamenta, per la quale siamo nati, per la quale quotidianamente impegniamo la nostra ragione ed i nostri cuori. Diritti che ad oggi possono essere sintetizzabili nel dovere di chi ci governa di bloccare i trasferimenti, garantendo così il normale funzionamento delle singole realtà educative, ma soprattutto garantendo il rispetto di esistenze ormai legate indissolubilmente a scelte passate. La libera scelta è libera proprio in quanto ragionata, ponderata e sofferta. Non è più libera nel momento in cui viene assoggettata a decisioni o contingenze altrui: diverrebbe, in tal modo, schiava degli eventi. Noi continueremo a batterci per questa libertà. Per una SCUOLA LIBERA. |