IL CASO
Adro, via i Soli leghisti dalla scuola
sindaco furioso: denuncio il dirigente
Il funzionario fa rimuovere tutti i simboli
padani.
Lancini all´attacco: voglio pareri scritti poi ci muoveremo
di Piero Colaprico,
la Repubblica
di Milano 13.10.2010
Sono le 11 passate da poco e ad Adro, nel cortile della scuola suo
malgrado più famosa d'Italia, compare il signor Gianluigi Cadei. Ha
in mano due zerbini, con il timbrone del "sole delle alpi". Dà
un'occhiata a quello che fanno i collaboratori, come adesso si
chiamano i bidelli, e torna dentro, muto come un pesce.
C'erano 700 simboli padani, o pagani. Li aveva voluti il sindaco
leghista Oscar Lancini. E, nonostante gli inviti dei ministri, non
li voleva togliere. E così, in mezzo a troppi Ponzio Pilato, ieri è
stato un semplice funzionario scolastico ad assumersi il compito di
buttare "la politica" nel ripostiglio, allontanandola, almeno finché
si può, dai banchi dei bambini e degli adolescenti.
Cadei sparisce con i tappetini leghisti dietro la trincea della sua
scrivania al piano terra e nel frattempo, in questa ricca terra
della Franciacorta, avviene a sorpresa quello che chiedeva il
presidente della Repubblica: e cioè vengono estratti dall'erba gli
avvisi del "vietato calpestare l'erba", con la "o" che aveva la
forma inequivocabile del sole a sei raggi, e sono subito sostituiti
con i nuovi, già preparati.
Si raschiano dai vetri degli ingressi altri soli, piazzati dai
decoratori proprio là dove si uniscono le mani dei bimbi stilizzati
della vetrofania, in un girotondo padano: anzi, a voler essere
precisi, si raschia quel che restava dei soli, alcuni erano già
stati abrasi nei giorni scorsi, dalle unghie di mamme e papà.
Gli operai di una ditta staccano, con gli attrezzi necessari,
l'alluminio dei cestini, con l'incisione. E le bidelle cominciano a
staccare, con tanta pazienza, l'adesivo dai banchi numerati. E
questo adesivo che stava a perdita d'occhio sui banchi, in un'alba
politica perenne, ha un piccolo retroscena.
I simboli cancellati
Lo racconta Lino Massari, consigliere comunale d'opposizione e papà
di un'allieva: "Ma sapete quando l'hanno messo, il sindaco e i suoi?
Il venerdì notte, poche ore prima di inaugurare la scuola il sabato
mattina. Certo che sapevano di farla sporca. E chissà quanti
leghisti ci sono voluti. Come papà sono contento - dice - che il
responsabile della scuola li ha tolti, ma come politico no, doveva
toglierli chi li ha messi, il sindaco, questo invasore di campo".
Tanto tuonò, che piovvero i carabinieri sul "sole padano"
all'insegna del "non si sa mai". E nelle retrovie del pensiero
politico moderno sembra doversene tornare anche il professor
Gianfranco Miglio. La scritta cubitale che lo ricorda è ancora là,
sul muro della scuola, ma sulle pagelle e sui documenti ufficiali
tornerà l'antico nome, quello dei fratelli Dandolo, martiri del
Risorgimento: la scuola era dedicata a loro quando le aule stavano
nell'antica rocca, dove ora ha sede il Comune, perché i Dandolo sono
di queste terre e sono morti giovanissimi per unire l'Italia.
Come tanti: come lo stesso Mameli, morto diciannovenne, in un'epoca
in cui Giuseppe Mazzini non voleva tra i suoi nessuno che avesse più
di trent'anni. Quando la sede scolastica cambiò indirizzo - in via
Lazzaretto, non lontano da un'incredibile via Padania - tutti in
paese parlavano dell'"Omnicomprensivo" e basta, il nome Dandolo
sparì, il burocratese aveva vinto.
E ora? Nel paesino tornato ad essere l'epicentro di un gigantesco
sciame sismico di equivoci politici la tensione non cala. Non ci
sono risse e diverbi, più che altro, confida una mamma, "ci si
ignora per non litigare". La Lega sta con il tricolore o con il
verde che spunta dai fazzoletti nei taschini? Sta con l'Italia o con
la Carinzia? Erano le domande che circolavano anche davanti alla
scuola, c'è sconcerto per l'assenza di risposte nette dal ministro
degli Interno Roberto Maroni, da Mariastella Gelmini
dell'Istruzione, né tantomeno aveva detto una parola Silvio
Berlusconi. Solo i Bossi, padre e figlio, avevano fatto capire al
sindaco di mollare il colpo, ma nessuno aveva realmente ordinato al
primo cittadino di smetterla e di passare dalle parole ai fatti.
E Lancini? Nervoso, ma combattivo: non ci sta a fare la figura del
cavedano. Passa in auto, con un amico, alle 14.20, davanti alla
scuola. Non si ferma: "Non voglio vedere niente, non voglio
fomentare il clima", dice. E Sbotta: "Li denuncio tutti, la scuola è
del Comune, non è loro. Il Consiglio d'istituto può deliberare quel
che vuole, ma non può rimuovere alcunché. Abbiamo fior di tecnici,
voglio i pareri scritti, poi ci muoveremo noi". E quanto gli piace
l'idea di denunciare il dirigente scolastico Cadei, "l'unico
responsabile degli arredi e delle strutture". Ma, quando a diritto
penale e civile, chissà come va a finire.
C'è anche chi, come i radicali, vogliono trascinare il sindaco
davanti alla Corte dei Conti. E ci sono tante sfumature, in questa
vicenda che ha sconfinato dal paese. Non è nemmeno un caso che Cadei
sia intervenuto a poche ore di distanza dalla riunione di un gruppo
di genitori e di associazioni che avevano lanciato un aut aut: "O li
togliete voi, o il 4 dicembre prendiamo provvedimenti noi". Anche
Giuseppe Colosio, direttore scolastico della Lombardia, s'era dato
infine una mossa, confortando il collega, disponendo "l'immediata
rimozione dei simboli".
A sera, in effetti, sono rimasti due soli delle alpi, versione maxi,
sul tetto, ma dal basso non si notano. E un ultimo sole è
all'esterno della cancellata, su un portacenere. Adro, Italia. O
Adro, Padania. Questo è il dilemma, che tanti - nonostante i simboli
siano sotto gli occhi di tutti - fingono di non vedere.