IL CASO

Lo stesso test non è uguale per tutti
Atenei, i risultati delle prove d'ingresso

Le stesse ottanta domande in tutta Italia, ma è nel segno della disparità il loro risultato. A medicina, per entrare a Padova servivano minimo il 60% delle risposte esatte, a Campobasso il 48%. Per non parlare della percentuale di iscritti che sono riusciti a passare

Manuel Massimola Repubblica 2.10.2010

Un'unica batteria di ottanta domande uguali per tutta Italia somministrate contemporanemente negli atenei statali, stesso tempo a disposizione per rispondere, identici criteri di valutazione (risposta giusta 1 punto, sbagliata -0,25, non data 0), correzione automatizzata e in forma anonima degli elaborati. Dietro all'apparente "oggettività" dei test d'ingresso universitari per accedere alle facoltà a numero chiuso si cela una realtà ben diversa, all'insegna della più assoluta disparità di trattamento: l'assenza di una graduatoria nazionale degli ammessi genera evidenti storture, come dimostrano i numeri. Per riuscire a superare lo scoglio dei test giocano un ruolo fondamentale due parametri - in continuo divenire e diversi da un ateneo all'altro - che il meccanismo messo in atto dal Miur non prende in considerazione: l'affollamento e la "quota salvezza".

La pubblicazione dei risultati delle prove di Medicina e Chirurgia, facoltà-simbolo del numero chiuso e da sempre in cima ai desideri delle matricole, evidenzia - se mai ce ne fosse ancora bisogno - le molteplici pecche di un sistema di selezione in cui a passare non sono i più preparati. O meglio: non solo. Degli aspiranti 57.163 iscritti ai test ce l'hanno fatta in 8.179, pari al 14,3%: in pratica 1 su 7. Questo il risultato nazionale, ma le realtà locali sono ben diverse e in alcuni casi si discostano significativamente da questa media.

Posti fissi, candidati ad libitum. La prima, palese disparità riscontrata riguarda la distribuzione degli iscritti: i posti a disposizione in ciascun ateneo erano decisi a priori, indipendentemente dagli aspiranti iscritti alla prova di selezione. Per questo chi ha sostenuto il test d'ingresso a Foggia (904 candidati per 75 posti) aveva soltanto l'8,2% di possibilità di entrare, mentre chi ha scelto la Seconda Università di Napoli (330 posti a disposizione a fronte di 1500 aspiranti) aveva ben il 22% di probabilità di farcela, una percentuale doppia rispetto a quella degli altri atenei campani: infatti alla Federico II di Napoli (338 posti per 3.193 candidati) è passato soltanto il 10,6%, a Salerno l'11,2% (150 su 1.340). Poche chance anche a Chieti (9,7%), accessi significativamente sopra la media invece all'Insubria di Varese (18,6%), a Genova (18,5%) e a Palermo (17,6%).

"Quota salvezza", a ciascuno la sua. Qual è stato il punteggio minimo per entrare? In media, sommando l'ultima posizione utile nella graduatoria interna di ciascun ateneo, il risultato di quelli che ce l'hanno fatta per il rotto della cuffia è stato di 43,94. Però, in mancanza di un'unica graduatoria nazionale, questo numero non è rappresentativo di nulla: la "quota salvezza" da raggiungere varia da un'università all'altra, con notevoli differenze e significativi discostamenti dalla media. In tre atenei del Centro-Sud, complice il meccanismo "localistico" del Miur, sono riusciti a passare candidati con meno della metà di risposte esatte: strada quasi spianata a Campobasso (38,25 punti), Sassari (39,25) e Catanzaro (39,75). Particolarmente ostico, invece, l'ingresso in quattro università del Nord: alla Statale di Milano il punteggio minimo d'accesso è stato di 48,75, a Pavia e a Udine 48,50, a Padova 48,25. Un'evidente disparità di trattamento, in barba alla tanto sbandierata "oggettività": lo strumento dei test d'ingresso, così com'è strutturato, non è equo per la mancanza di una graduatoria unica nazionale e di un punteggio minimo d'accesso uguale per tutti. Dunque non opera realmente una selezione dei migliori.

Nozionismo in corsia. Scorrendo l'elenco delle domande sottoposte quest'anno ai candidati non si può non rilevare che ben 40 quesiti su 80 - pari al 50% - erano di cultura generale e ragionamento logico; per sondare, invece, le conoscenze specifiche in campo medico-scientifico, 18 di biologia, 11 di chimica e 11 di fisica. A fare la parte del leone nell'economia della prova, la tanto temuta e bistrattata grammatica italiana: tra questioni da "dirimere" e pratiche da "evadere", una serie di sinonimi-e-contrari e costruzione di frasi da completare scegliendo la parola esatta tra le cinque proposte. Ma è nella cultura "spicciola" che il test dà il meglio di sé: utilissime a selezionare i futuri camici bianchi le domande di letteratura sul Grande Fratello di Orwell e sulla Coscienza di Zeno di Italo Svevo. Se un candidato non è riuscito ad entrare per colpa di una di queste due domande sappia che si trova in una situazione kafkiana. Per la cronaca: significa "paradossale". Ed era una delle domande del test.