Quello che nessuno racconta sui docenti italiani. Sentenze di vita (e scatti di orgoglio) per gli insegnanti senza lavoro in un'Italia descolarizzata. Perché i sindacati hanno accettato passivamente il precariato illegale che oggi la magistratura punisce?
E il giudice rimette in cattedra di Vincenzo Brancatisano da arcoris.tv, 21.10.2010 È davvero imbarazzante l’accondiscendenza dei sindacati di fronte all’illegalità del precariato scolastico. Ed è singolare che a questa accondiscendenza faccia da sponda una pressochè totale indifferenza degli stessi interessati, fatte salve alcune importanti esperienze di precari che hanno deciso di ricorrere alle vie legali. Nei giorni scorsi due organi giudiziari italiani hanno dato ragione a precari della scuola che avevano denunciato l’abusiva reiterazione di contratti a termine. La Corte d’Appello di Brescia ha condannato il Ministero dell’Istruzione a risarcire il danno in favore di una docente precaria cui era stato reiterato per più di tre anni il contratto a termine. Il Tribunale di Siena, innovando in materia, ha addirittura trasformato in rapporto a tempo indeterminato un contratto di lavoro a termine ugualmente reiterato negli anni. Queste due sentenze confermano e rilanciano le tesi esposte nel libro “Una vita da supplente. Lo sfruttamento del lavoro precario nella scuola pubblica italiana, nel quale chi scrive ha dimostrato senza tema di smentita come nella scuola pubblica italiana si perpetri una delle più gravi e illegali forme di discriminazione tra lavoratori che svolgono analoghe mansioni in violazione delle più elementari norme del diritto del lavoro, della Costituzione e delle norme comunitarie dirette a prevenire l’abuso dei contratti a termine. Una discriminazione che si appalesa attraverso la lettura attenta del contratto collettivo della scuola firmato dai sindacati i quali hanno sempre evitato di fornire agli iscritti le informazioni necessarie a prendere coscienza degli strumenti che, pure, la legge prevede sia a tutela sia a compensazione degli abusi subiti. La disparità passa attraverso diversi e impensabili aspetti della vita lavorativa. Si va da quelli più severi a quelli (apparentemente) futili: si pensi ai permessi per lutto familiare, laddove ai docenti di ruolo spettano tre giorni per ogni evento mentre ai docenti precari spettano tre giorni in totale: scegliere se partecipare ai funerali del padre o a quelli della madre non è un’esperienza augurabile ma i sindacati d’accordo con la controparte, sono riusciti a consacrare anche questa odiosa differenza. E che dire dell’accesso al credito agevolato presso l’ente previdenziale? Ai docenti di ruolo è permesso un credito agevolato per l’acquisto della casa attraverso il Fondo Credito, finanziato con i soldi prelevati forzosamente nella busta paga degli iscritti, di ruolo e precari, come emerge dal cedolino dello stipendio. Ma se un precario chiedesse anche cento euro di prestito si vedrebbe rigettata la domanda perché lavoratore a tempo determinato. In sostanza, il precario finanzia la prima e (fino a due mesi orsono, prima delle inchieste di chi scrive) anche la seconda casa del proprio collega di ruolo, nonché a tutte le iniziative sociali dell’ente, ma egli stesso non potrà accedervi né evitare di pagare per gli altri. Il precario della scuola non ha il diritto di candidarsi nelle Rsu, può solo votare e si potrebbe continuare all’infinito. Ma è sullo stipendio che si concentrano le maggiori violazioni del principio di non discriminazione consacrato nella clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE diretta a prevenire gli abusi dei contratti a termine, recepita in Italia dall’art. 6 del D.Lgs. 368/2001. Lo Stato mantiene in un precariato annuale perenne 140.000 docenti e 100.000 non docenti. Da un lato ci rimette, visto che paga loro una serie di indennità per disoccupazione estiva e mancata fruizione delle ferie e tfr anticipato. Ma specula sulla mancata progressione di carriera e di stipendio. Anche dopo decenni di rapporti a termine i precari della scuola, docenti e non docenti, percepiscono stipendi di prima nomina a differenza dei colleghi di ruolo che (com’è successo nei giorni scorsi con l’ultimo scatto stipendiale) vedono periodicamente incrementare lo stipendio. È questo il movente. Ed è proprio questo il punto. La domanda è: come mai in tutti questi anni i sindacati hanno accettato la discriminazione, consentendo alla contrattazione collettiva, alla quale tanto risalto si dà in questi giorni, di escludere la progressione di stipendio ai precari? Non conosciamo la risposta, né i sindacati hanno speso una parola in proposito neppure ora che gli scatti di anzianità per i lavoratori stabili stanno diventando oggetto di attacchi da parte del governo. La verità tuttavia è che la magistratura ordinaria, seguendo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, sta dando ragione ai precari che hanno fatto causa adducendo l’illegalità della discriminazione da ultimo descritta. Ma cosa stabilisce l’ordinamento giuridico nazionale e sovranazionale e la giurisprudenza? La Corte di Giustizia delle Comunità Europee di Lussemburgo ha fatto proprio con sentenze importanti il principio di non discriminazione. A queste sentenze si sono ispirati decine di giudici italiani, da Livorno a Orvieto, da Roma a Treviso, a Siena, a Tivoli, a Brescia e così via. I giudici, disapplicando quasi con sdegno i contratti collettivi che danneggiano i precari della scuola, hanno condannato a ripetizione il Ministero dell’Istruzione riconoscendo, a seconda delle richieste degli avvocati dei ricorrenti: a) gli scatti di anzianità e di stipendio; la conversione del rapporto da determinato a indeterminato; il risarcimento dei danni. Quest’ultimo è previsto esplicitamente dalla legge italiana – senza che gli interessati lo abbiano mai appreso dai propri sindacati – quale compensazione della mancata conversione in rapporto a tempo indeterminato, compensazione imposta dalla normativa comunitaria che in questo modo intende prevenire gli abusi anche nel settore pubblico dove i sindacati tendono a far credere che i diritti siano meno tutelati rispetto al settore privato, in materia di conversione automatica del rapporto. “Si tratta di un presunto diritto”, continua a ripetere la Cisl scuola in merito agli scatti di anzianità dei precari, noncurante del fatto che le sentenze favorevoli sono ormai un fiume in piena. Quanto al risarcimento del danno, una precaria della scuola ha ottenuto dal Tribunale di Orvieto, un risarcimento di 45.000 euro per i suoi 9 anni di precariato abusivo. Interpellata da chi scrive, la Flc-Cgil sostiene però che non esiste alcun diritto in tal senso. Eppure questi diritti esistono. Di più: un ipotetico riconoscimento massivo dei medesimi farebbe venir meno il movente per il quale lo Stato datore di lavoro mantiene nel precariato i dipendenti della sua scuola. Un precariato che non paga sul piano dei diritti dei lavoratori e nemmeno su quello dell’efficacia dell’offerta formativa. Solo un’illusione statistica evita di percepire la vera dimensione del dramma. Secondo la statistica il 13 per cento del corpo docente è precario, sembrerebbe un’inezia ma non lo è. Ogni docente ha un numero multiplo di classi, fino a nove, pertanto la propria precarietà si aggiunge, in ogni classe, a quella di altri colleghi tanto che spesso le classi hanno il 90 per cento di docenti precari, che saranno da un’altra parte l’anno successivo. Come potrebbe mai essere soddisfatto un Piano dell’offerta formativa, il mitico Prof, se ciascuno degli obiettivi si infrange contro l’annuale turn over di buona parte dei docenti?
Approfondimenti
http://www.bresciaoggi.it/stories/Home/189431_scuola_stipendio_
http://www.orizzontescuola.it/node/11827
http://www.vincenzobrancatisano.it/articoli/latino.htm
Il libro |