Alla scuola mancava solo
la riforma hi-tech

Giorgio Israel da Tempi.it, 17.11.2010

Uno dei fenomeni più – come dire? – bizzarri del periodo presente è che di questioni come la cultura, la salute, l’istruzione si sentano in diritto di pontificare più che gli addetti ai lavori (intellettuali, professori, medici), imprenditori o manager. Intervengono su tutto. Arrivano al punto di ammonire che dobbiamo comprendere l’importanza di misurare le “competenze della vita”, che sarebbero non soltanto le nostre capacità sul lavoro, ma quelle di educare i figli, di avere buoni rapporti con la moglie, di coltivare le amicizie, e via dicendo.

Ho letto di recente un’intervista all’ad di Microsoft Italia, Pietro Scott Jovane. Anche lui non si esime dal fornire ricette sulla sanità e la scuola. È del tutto ragionevole la sua tesi che sia opportuno digitalizzare settori come quelli delle imposte e della giustizia. Ma sulla sanità bisognerebbe andarci più cauti e prevedere un sistema di digitalizzazione con qualche parete stagna per garantire la privacy e anche l’efficacia del sistema. Dice l’ad che «con un sistema di database incrociati, aggiornabili in tempo reale, la salute del cittadino sarebbe sempre sotto controllo». A parte il brivido nella schiena che fa venire quel «sempre sotto controllo», il fatto è che la relazione tra medico e paziente è un rapporto di fiducia personale che non può essere trasformato in un rapporto tra il paziente e il “sistema” senza rischiare di compromettere l’efficienza del sistema stesso stimolando la pigrizia del medico che sarà tentato di affidarsi alla diagnosi fatta da altri che gli appare sullo schermo. E poi: se mi avessero fatto una diagnosi fasulla, se il medico che mi ha visitato non riscuotesse la mia fiducia perché troppo frenetico o troppo lassista, e tra me e lui non si fosse creato quel rapporto personale indispensabile a rendere possibile una cura efficace, cosa accadrà? Dovunque vada subirò la condanna delle vicende trascorse e non potrò mai avere un rapporto nuovo e “azzerato”? Scherziamo?

Poi il nostro ad vanta la digitalizzazione dei libri di testo, francamente una delle poche novità di questo ministero che non mi convince. Certo le famiglie risparmieranno sull’acquisto dei libri di testo. Ma, a meno che non si creda che lo studio scolastico si possa fare tutto sullo schermo (scherziamo?), quei file bisognerà stamparli, a suon di costose cartucce di stampante e di carta strappata alle foreste amazzoniche. Per giunta pacchi di orrida cartaccia che si sparpaglieranno dappertutto, creando disordine fisico e mentale, e che andranno ristampati in continuazione.

Infine, il nostro ad osserva: «c’è una cosa che mi sembra pazzesca: che a scuola si insegni ancora informatica. Oggi informatica è in tutte le materie». Lo racconti agli informatici che la loro disciplina è ormai dissolta. E poi che vuol dire? Le lettere dell’alfabeto sono in tutte le materie, così la grammatica e la sintassi. Anche la matematica sta dappertutto. Dovremmo per questo sopprimere l’insegnamento della lettura e scrittura, della grammatica e della matematica? Peraltro, studiando storia, geografia o fisica non si apprende l’informatica. E neanche la matematica è riducibile all’informatica o la insegna.

Si può ben capire che i sogni di un imprenditore dell’informatica siano fatti di aule piene di lavagne interattive, di computer (anche se in alcuni paesi li stanno eliminando perché atrofizzano le capacità di calcolo mentale), di smartphone e di tablet. È il loro mestiere vendere questi prodotti e vanno capiti. Ma, per favore, non vengano a fare lezioni “culturali” sull’impianto disciplinare della scuola. Come diceva Totò, a ogni limite c’è un tutto.