“Meritocrazia”: invenzione gelminiana.
Premio a un docente su cinque
nel massacro della scuola pubblica

Polibio, AetnaNet 24.11.2010

Un tempo ormai lontano, i presidi e i direttori didattici assegnavano alla fine di ogni anno scolastico la qualifica agli insegnanti: ottimo, distinto, buono, sufficiente e insufficiente. E dopo due insufficienze consecutive erano guai per il malcapitato di turno. Nella sostanza, gli insegnanti e le insegnanti erano sottoposti al soggettivo “gradimento” dei capi d’istituto, liberi di scegliere una delle cinque qualifiche. A quel tempo, fino al 1975, una specie di trasformazione del giuramento di fedeltà preteso dal fascismo agli insegnanti durante la seconda parte del famigerato ventennio. Il potere assoluto nelle mani del capo d’istituto, al cui ‘potere’ gli insegnanti e le insegnanti dovevano sottostare nei molteplici aspetti dell’obbedienza e della sottomissione.

Dopo il 1945 si giurava fedeltà alla Repubblica con l’assunzione in ruolo, e gli articoli dei Titoli I e II della Costituzione – Rapporti civili e Rapporti etico-sociali – garantivano tra gli altri l’inviolabilità della libertà personale, la libertà dell’insegnamento, la Scuola aperta a tutti e l’istruzione inferiore obbligatoria e gratuita impartita per almeno otto anni. Ma dal susseguirsi delle qualifiche positive, tipologicamente positive, e pertanto “bisognava” essere almeno “sottomessi” al volere del capo d’istituto, dipendeva il futuro personale, professionale e retributivo.

Alla fine del secolo scorso, esattamente dieci anni fa, il ministro della pubblica istruzione, Luigi Berlinguer, fu costretto a dimettersi a seguito della generale protesta dei docenti delle scuole di ogni ordine e grado e di tutti i sindacati della scuola per avere pensato all’attuazione di un sistema meritocratico che avrebbe premiato, con elargizioni stipendiali, gli “insegnanti più bravi”. La proposta avrebbe portato ad un’inaccettabile differenziazione nell’ambito del corpo docente e ad un’assurda disparità di trattamento tra quanti svolgevano, con impegno e con difficoltà non quantificabili e non valutabili, la stessa funzione di insegnante in ambienti radicalmente diversi sul piano sociale e su quello economico. Travolto dalla generale protesta, il ministro Berlinguer si dimise immediatamente, ed alla carica di ministro gli succedette Tullio De Mauro. Entrambi, Berlinguer e De Mauro, di elevatissimo livello culturale e professionale, puntuali conoscitori del complicatissimo pianeta scuola e soprattutto assolutamente consapevoli dell’importanza della cultura per l’identità e per il futuro dell’Italia nel contesto internazionale. Entrambi del tutto liberi da quei vincoli di sudditanza e di obbedienza che purtroppo (e mettiamo da parte il non praticato principio della meritocrazia!) caratterizzano il comportamento di chi, essendo stato collocato in un determinato posto a guadagnare decine di migliaia di euro al mese, è soggetto, “riconoscente” per motivi di “dovere” nei confronti di chi ha il potere di decidere, a sottostare alla dipendenza politica.

Di questi tempi, dopo la “riforma epocale Gelmini” che ha dissestato il sistema scolastico e prodotto scompensi, precariato e disoccupazione certamente “epocali”, interviene il sovrapprezzo dell’improvvisato “giorno storico per la scuola italiana”, perché, come ha dichiarato il ministro Mariastella Gelmini che lo ha partorito, “finalmente si iniziano a valutare i professori e le scuole su base meritocratica”. Ma di fatto su base astrattamente meritocratica, perché è impossibile distinguere i docenti in ordine alle “capacità” e alle “professionalità” dimostrate. Tra l’altro, attivando improvvisate commissioni, ciascuna delle quali affidata alla presidenza del dirigente scolastico e alla partecipazione di due insegnanti (che, naturalmente, hanno rinunciato di partecipare alla corsa per la mensilità in più e hanno scelto di fare gli arbitri; anzi, i guardalinee dato che l’arbitro è il presidente dirigente scolastico), sia pure eletti dai colleghi, col compito di “individuare”, tra quanti hanno partecipato su base volontaria e risulteranno positivamente collocati in graduatoria, i colleghi “più bravi” ai quali far corrispondere la quattordicesima mensilità. E c’è di più: il ministro Gelmini assegna i soldi sulla base di una sua libera ed incontrastata scelta. Lo fa escludendo i sindacati, e ci sono quelli che addirittura plaudono ed accettano (infatti, ci sono sindacati che, esclusi da qualsiasi forma di contrattazione sulla destinazione e sulla ripartizione dei 31 milioni di euro, una miseria rispetto agli 8 miliardi di euro complessivamente sottratti alle scuole italiane, tacciono, non battono ciglia e tacciono). Fatta eccezione della Flc-Cgil e dell’Anief, che hanno espresso la loro contrarietà sulla valutazione individuale degli insegnanti, indicandola come operazione ideologica e puramente demagogica in un sistema che conta un milione di addetti e oltre diecimila scuole, e che considerano un’elemosina i pochi euro al giorno che andrebbero a pochi insegnanti “privilegiati” al tavolo della meritocrazia e della valutazione delle poche scuole coinvolte.

Nella corsa alla quale parteciperanno le singole scuole per acquisire un “premio massimo” di 70 mila euro l’anno che l’istituto provvederà a distribuire al suo interno tra gli insegnanti, la valutazione, che riguarderà i risultati alle prove Invalsi, sarà svolta da tre osservatori: un ispettore scolastico e due “esperti indipendenti” (dai vocabolari della lingua italiana, alla voce “indipendente”: “libero da soggezione”; “non legato da rapporti di derivazione, provenienza”; “che non dipende da altri, che non è subordinato ad altro”; “nel linguaggio politico, detto di persona che non appartiene a nessun partito o che, pur aderendo alla linea di un partito, conserva per sé una certa autonomia”). “Esperti indipendenti” nominati da chi? Si tratta di liberi professionisti o di impiegati statali? Facenti parte di associazioni e di istituti di ricerca pubblici o privati?

Oltre alla disparità di trattamento e al ritorno alla “sorveglianza speciale” del “guai a chi protesta” contro chi ha delegittimato i docenti, contro chi ha riformato in peggio la scuola, contro il ministro dell’istruzione che si è reso epocale per i licenziamenti di massa, in definitiva viene provocata una guerra tra poveri, in questo caso gli insegnanti. Inoltre, nulla viene destinato al personale Ata, perché, contravvenendo così al dettato della Costituzione, per i collaboratori scolastici, per gli assistenti amministrativi e per gli assistenti tecnici, qualcuno, afflitto dalla politica del risparmio attuata con licenziamenti di massa, ha pensato che per loro non avrebbe motivo di esistere la meritocrazia della quattordicesima mensilità. E infatti nulla è stato previsto per il personale Ata. “Fannulloni” d’espressione brunettiana, sostantivo che invece riguarderebbe assai bene i politici dalle molte assenze durante le sedute parlamentari, da non essere meritevoli della quattordicesima mensilità!

Insomma, una nuova guerra tra i poveri, facendo riferimento agli stipendi del personale della scuola, ai ritardi sul rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro, alle concrete minacce di incidere negativamente sugli stipendi, sugli scatti di anzianità, sulle RSU e sulla contrattazione collettiva di secondo livello. Una guerra tra i poveri che si aggiunge a quella sull’attribuzione delle funzioni strumentali, sulla scelta dei due collaboratori da parte del dirigente scolastico (entrambi retribuiti, ed il vicario dispensato in parte o del tutto dall’attività didattica), sui progetti per le attività extracurricolari, sulla ripartizione del fondo d’istituto niente affatto equa.

Come ho letto in un intervento di Pasquale Almirante sul quotidiano “La Sicilia” di domenica 21 novembre, il meccanismo “dell’evento storico gelminiano” per la suddivisione dei compensi che saranno messi a disposizione dei collegi dei docenti “sta invece dividendo i sindacati, mentre la parola come sempre è negata ai docenti che devono accettare una forma di valutazione pericolosa”. Col “rischio che si stilino ambigue classificazioni di istituti, che si inneschino meccanismi ricattatori o di pressione fra commissari, dirigenti, personale, mentre l’assillo delle ricompense potrebbe seminare contrasti e sospetti fra docenti e fra consigli di classe”. E che “nulla toglie che, per conquistare un’altra mensilità, anche il rapporto con i genitori, con gli alunni, con gli organi collegiali possa marciare su binari di connivenza e di compromissione, mentre la libertà di insegnamento rischia di soggiacere ai vezzeggi di chi detiene la mela della discordia che per sua natura ha semi conflittuali”.

In definitiva, si continua a massacrare la scuola pubblica e ad umiliare gli insegnanti e il personale della scuola. Che a loro volta rifiutano i premi che derivano da una parte delle risorse finanziarie sottratte alle scuole e al diritto allo studio dei disabili, condannano l’affollamento delle classi in dispregio delle norme sulla sicurezza, denunciano l’assenza di progetti a causa della mancanza di risorse; e con determinazione e compattezza aderiscono al blocco dei viaggi di istruzione, dichiarando la loro indisponibilità ad accompagnare i ragazzi nelle gite scolastiche ad esclusione delle escursioni in orario curricolare. Si tenta di ridurre il ruolo delle organizzazioni sindacali in tema di contrattazione collettiva nazionale. Nella sostanza, si cerca di fomentare lo scontro tra il personale della scuola, dando vantaggi stipendiali ancorché minuscoli a determinati gruppi a danno, per esclusione, degli altri. Nel contempo, attuando la strana e strumentale politica (più vecchia del mondo) del qualcuno che toglie qualcosa, ad esempio gli scatti stipendiali, così da provocare una generale protesta, e di un altro che, dopo aver  tolto, “generosamente” ridà, con la gioia di tutti, soprattutto dei sindacati che ritengono, a modo loro, di avere vinto una battaglia.

Resta da chiedersi perché il ministro Mariastella Gelmini, o chi per lei, ha inventato “il giorno storico” dell’introduzione del “merito nel sistema d’istruzione italiano” per “valutare e premiare i docenti migliori”, e “le scuole migliori”, con le risorse che si sarebbero, guarda caso!, rese “miracolosamente” disponibili, destinandole a inventate sperimentazioni dal carattere propagandistico e assurdamente selettivo basato su un metodo che non può trovare accoglienza e applicazione nella scuola, e che anzi è destinato a produrre contrasti ad aggravare la precaria condizione di un sistema scolastico dall’epocale riforma fortemente contestata in tutto il Paese: l’inventata  valutazione individuale dei docenti su base meritocratica è caratterizzata da discrezionalità anche per l’impossibilità di fissare criteri di uniformità. Ai “fortunati” docenti ritenuti, chissà come e perché, “meritevoli” della quattordicesima mensilità verrebbero corrisposti aumenti mensili pari a circa 80 euro. Non c’è dubbio, potrebbero anche fare comodo, ma tuttavia sarebbero limitati nel tempo: un anno sì e negli anni successivi no, anche perché gli altri insegnanti non starebbero a guardare, e allora la guerra sarebbe veramente fra poveri disposti a tutto.

Poiché nel complesso, e quindi se il metodo “meritocrazia” verrebbe applicato sull’intero territorio nazionale e non limitato ad un numero assai ridotto di realtà scolastiche (assai poche nella fase cosiddetta “sperimentale”, che lascia del tutto oscuro il futuro), le risorse necessarie sarebbero notevoli, non si comprende perché queste risorse non possono essere destinate a migliorare il sistema scolastico con  l’assunzione di migliaia di docenti, e di tecnici e di amministrativi, oggi costretti, dopo tanti anni di insegnamento e di lavoro in regime di precarietà, alla “disoccupazione epocale”, quale immediata conseguenza di una riforma della scuola soggettivamente ritenuta “epocale” dal ministro dell’istruzione Gelmini (e della quale si è dichiarata “orgogliosa”), che col collega Tremonti, ossequiosa alla di lui determinazione di tagliare 140.000 posti di lavoro per risparmiare 8 miliardi di euro sull’istruzione e sulla cultura, ne è stata l’artefice. E provvedere anche ad assegnare alle singole scuole le risorse finanziarie necessarie per la nomina dei supplenti anche per evitare le uscite anticipate degli alunni dalle scuole e addirittura le permanenze incontrollate degli alunni all’interno degli istituti scolastici, evitando il gravissimo danno che ne deriva alla formazione degli studenti e garantendo agli stessi studenti quella sicurezza che è disposta dalle leggi in vigore. Leggi che purtroppo non vengono rispettate.

Polibio, quello vissuto nel secondo secolo a.C. da una famiglia di stampo aristocratico, è stato libero, dopo la sua deportazione a Roma, istigata dal partito filo-romano che aveva prevalso rispetto al partito al quale egli apparteneva, di formulare la teoria delle tre forme di Costituzione: monarchia, aristocrazia, democrazia, ognuna delle quali tende a degenerare nella cattiva forma corrispondente: tirannide, oligarchia, oclocrazia (governo della plebe, della massa popolare). Chi nel nostro  tempo ha assunto come pseudonimo il nome di Polibio ritiene che la meritocrazia sia fondamentale in un paese che vuole crescere sul piano sociale e su quello economico. Sa che il merito è fondamentale per l’affermazione professionale e nel lavoro, per la mobilità sociale, per l’assunzione delle cariche pubbliche, per il successo della comunità sociale nella quale si vive. E che la competenza è fondamentale, soprattutto nei settori dell’istruzione, della cultura, della ricerca.

La questione di premiare i meritevoli (ma sarebbe il caso di valutare nel suo complesso il sistema scolastico italiano, e di ricorrere alla valutazione di esperti a livello internazionale) è assolutamente necessaria. Tuttavia, non può essere decisa unilateralmente dal ministro Gelmini. Oggettivamente, non può esserle riconosciuta questa competenza. La valutazione individuale degli insegnanti, che in definitiva non operano da isolati ma agiscono in gruppo, peraltro nella difformità degli istituti scolastici anche con riferimento alla loro collocazione geografica e territoriale, è una cosa assolutamente delicata. Potrebbe accadere che gli insegnanti, con la finalità di ingraziarsi gli alunni e le loro famiglie, abbondino nei voti e nelle promozioni; che siano per nulla rigorosi nei confronti degli alunni che hanno deciso di non partecipare come invece dovrebbero alle attività didattiche; che accettino tutte le critiche dei genitori in difesa dei loro figli; che siano pronti al signorsì nei confronti di tutti, a partire dai dirigenti. Figuratevi se, codice disciplinare in vigore transitato sopra le teste dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali della scuola, gli insegnanti potrebbero essere liberi e meritevoli di dire soltanto una piccola parte di quanto l’odierno Polibio dice.

Figuratevi quale meritocrazia sarebbe riconosciuta a quegli insegnanti e a quei commissari d’esami di maturità che ripetutamente hanno bocciato il “Trota” figlio di Umberto Bossi, risultato miracolosamente “meritevole” dell’elezione a consigliere provinciale a diecimila euro al mese in quella Lombardia dove la mafia, la ‘ntrangheta e la camorra sono di casa e la fanno da padrone. E allora sì, dal subconscio del ministro Mariastella Gelmini è emerso con forza l’impulso della valutazione individuale degli insegnanti, e con esso l’idea della meritocrazia finalizzata a corrispondere pochi euro al mese agli insegnanti (ma soltanto a pochi), un obolo, neppure duraturo negli anni, per prendersi un caffé e per dare alcune decine di centesimi di euro ai lavavetri delle macchine ferme ai semafori. Un esame di coscienza certamente su casi di sua conoscenza quello del ministro Gelmini, che ha improvvisamente deciso di puntare sulla meritocrazia “di facciata”. D’altra parte, lei – che, figlia dell’ex sindaco democristiano del comune di Milzano, è nata il 7 luglio 1973 a Leno (in provincia di Brescia, in Lombardia), centro di importanza agricola e industriale, e che ha frequentato il biennio del ginnasio al “Manin” di Cremona e, dopo alcuni mesi al liceo “Bagatta” di Desenzano del Garda, il triennio superiore presso la scuola confessionale liceo privato “Arici” di Brescia, conseguendo la maturità classica con la votazione di 50/60 – ha tutti gli elementi per essere intenditrice privilegiata della meritocrazia. Tanto da essere eletta alla Camera dei deputati nel 2006 e da essere nominata ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca nel 2008 (IV governo Berlusconi), dopo essere entrata in Forza Italia nel 1998 ed essere stata presidente del Consiglio comunale di Desenzano del Garda fino al 2000 (anno in cui fu sfiduciata con delibera del Consiglio). E poi assessore al territorio per la provincia di Brescia nel 2002 e assessore all’agricoltura nel 2004, consigliere regionale per la Lombardia-circoscrizione di Brescia nel 2005, coordinatrice regionale di Forza Italia fino al 2008. Nel frattempo, si laurea in giurisprudenza all’università di Brescia, e a tempo debito entra a far parte dei pellegrini giudiziari, per la residenza anagrafica trasferita dal Nord al Sud d’Italia (perché la residenza per sostenere gli esami di abilitazione alla professione forense deve essere nel distretto della Corte d’appello, in questo caso nella provincia di Reggio Calabria, “dovendo lavorare subito”, come risulta in un articolo di Gian Antonio Stella sul “Corriere della Sera” del 4 luglio 2008), e diventa avvocato con iscrizione all’albo nel 2001. Deputato e ministro certamente non per meritocrazia di accertata derivazione scolastica, perché da questo punto di vista tanti altri l’avrebbero magari ampiamente superata, bensì per specifica meritocrazia di partito e politica. Un motivo in più, questo, per ribadire che la valutazione individuale degli insegnanti “è operazione puramente demagogica”.

Tutto, comunque, resta appeso ad un filo, quello della crisi di governo che da qualche tempo a questa parte è diventata più travagliata e più imminente, e non soltanto per le tante volte che l’attuale Governo è stato battuto alla Camera dei deputati. Il 14 dicembre, alla Camera e al Senato, i deputati e i senatori voteranno, nelle rispettive sedi, contemporaneamente, due diverse mozioni: di fiducia al Governo al Senato e di sfiducia al Governo alla Camera. Votazioni dal risultato delle quali l’attuale Governo (presidente e ministri) potrebbe essere sostituito da un Governo (con altro presidente e con altri ministri) che, dopo aver approvato fra le altre anche la legge elettorale, rassegnerà le dimissioni al Presidente della Repubblica, il quale, sentiti i presidenti della Camera dei deputati e del Senato, valuterà se esistono le condizioni per sciogliere le Camere e conseguentemente indire le elezioni delle nuove Camere. E per la scuola italiana potrebbe essere l’alba di un nuovo giorno!

Polibio