TENDENZE

Il liceo è indimenticabile
se si fa in India o in Cina

Cresce il numero dei ragazzi italiani che trascorrono un periodo di studio all'estero

Francesco Moscatelli La Stampa, 5.11.2010

MILANO
Bamboccioni si nasce. Soprattutto nelle famiglie bambagia italiane. Antibamboccioni, invece, bisogna diventarlo. E forse conviene mettersi sulla buona strada già negli ultimi anni delle scuole superiori.

Come? Salutando mamma e papà e partendo per un’esperienza di studio e di vita all’estero, ospitati da una famiglia che parla un’altra lingua. Secondo gli ultimi dati di Ipsos-Fondazione Intercultura, nel 2009 l’hanno fatto quasi 4 mila adolescenti italiani, il doppio rispetto a 10 anni fa (3 mila per un intero anno scolastico, gli altri per un semestre o per tre mesi). Ma la novità è che accanto alle tradizionali mete di lingua inglese, Usa, Canada e Australia, sta crescendo l’interesse per le economie emergenti: India, Cina, Brasile e Thailandia.

Lo dimostrano le statistiche di Intercultura, l’associazione italiana con 4 mila volontari che nel 2010 ha organizzato le trasferte di 1383 ragazzi (il bando per il 2011/2012, dedicato ai nati fra il 1 luglio 1993 e il 31 agosto 1996, scadrà il 10 novembre): negli ultimi due anni più della metà degli studenti ha raggiunto un Paese non anglofono. «Molti partono per imparare una lingua straniera, ma poi tornano con una maggiore conoscenza di se stessi e le idee più chiare su cosa vogliono fare da grandi – spiega Roberto Ruffino, segretario generale di Intercultura, diplomato al Gioberti di Torino nel 1959, dopo aver trascorso il quarto anno alla Senior High School di Amarillo, in Texas -. La lontananza e le marcate differenze culturali possono spaventare, ma ricordiamoci che l’aspetto fondamentale di queste esperienze è la rete di conoscenze e amicizie che il ragazzo si costruisce e che si porterà dietro per tutta la vita». Negli ultimi 10 anni, soltanto con Intercultura, 162 studenti sono decollati per il Brasile (dal 2000), 163 per la Cina (dal 2003) e 50 per l’India (dal 2007).

Alessandra Cornacchia, iscritta al secondo anno di università a Cagliari, ha passato 10 mesi sui banchi di una scuola di Chennai, nel Tamil Nadu. «I miei compagni indiani erano molto più bravi di me nelle materie scientifiche, soprattutto in chimica e in matematica – racconta -. Se mi sono iscritta a medicina, lo devo all’alto livello a cui mi sono dovuta adeguare». Anche Giuseppe Cristino, che oggi lavora come cooperante internazionale, ha lasciato giovanissimo il suo paese natale, Montecalvo Irpino, per trascorrere sei mesi nello Stato brasiliano di San Paolo. «Lì mi è nata la voglia di viaggiare e di scoprire il mondo».

I costi, che con Intercultura variano in base al reddito e che possono essere ammortizzati o addirittura azzerati vincendo una delle borse di studio in palio (circa 800), si aggirano intorno ai 10 mila euro per un anno. Ma l’esperienza è organizzata anche da alcune società private. Fra le principali ci sono Wep, Interstudio Viaggi ed Ef (Education First). I requisiti sono quasi sempre gli stessi: un buon rendimento scolastico, una conoscenza di base della lingua straniera e il superamento di un colloquio attitudinale. I bandi scadono fra novembre e dicembre.

«L’unico problema sono i professori italiani – spiega Michela Furlan, responsabile di Education First –. Ci sono ancora troppi docenti che non vedono di buon occhio la permanenza di un anno all’estero. Spaventano i ragazzi e le loro famiglie, dicendo che rimarranno indietro in latino o in greco».